Susan Sontag ,come riportato ne “La Stampa-Tutto libri” ,scrive :
Barthes fa della scrittura una forma di coscienza idealmente complessa: un modo
di essere allo stesso tempo passivi e attivi,sociali e asociali,presenti e assenti nella propria vita.
Ne “Il piacere del testo” è menzionato l’autore, la cui istituzione sarebbe morta in quanto è il testo ,questo oggetto feticcio che mi desidera
Ma di cosa si parla ,di piacere o di godimento? La complessità della relazione tra piacere e godimento non ci permette di arrivare ad una chiara distinzione fra le due parti. È però innegabile che lo stesso Barthes più volte accosta il piacere all’appagamento e il godimento alla perdita, al mancamento. In questi termini lo studioso ricorda che del piacere è possibile parlare,del piacere è possibile criticare. Non lo stesso si può affermare del godimento. Con lo scrittore di godimento(e il suo lettore) ha inizio il testo impossibile,fuori-critica e fuori-piacere,di cui si può parlare solo nel suo stesso modo attraverso un altro testo di godimento. Il piacere del testo è scandaloso perché atopico, se per atopico si rinvia al significato di atopia,ovvero,quello stato allergico che produce reazioni anomale con agenti normalmente innocui. È il suo essere atopico a costituirne la significanza , il superamento del sistema. Sul piacere del testo non è possibile alcuna tesi. Eppure si gaude! Si legge nell’opera barthesiana . Dal sapore quasi galileiano, questa espressione evidenzia come a dispetto di tutto io godo del testo. Nel corso dell’analisi a volte piacere e godimento sembrano completarsi,altre porsi quasi agli antipodi.
A questo punto della discussione ,Barthes ne “Il piacere del testo” fa emergere la figura dello scrittore come una creatura di linguaggio trascinato nella guerra delle parlate,sempre alla deriva; lo paragona addirittura al morto del bridge : necessario allo scontro,ma privo in sé di senso fisso. Nel gioco del bridge il morto è il compagno del dichiarante,un punto cardinale che si limita ad esibire le carte sulla tavola. Lo scrittore tace il godimento insito nella gratuità della scrittura,a volte lo combatte al fine di negarlo, gioca col corpo della lingua materna, può arrivare a sfigurarla,squartarla ,per trarre godimento da un tale sfiguramento .
M’interesso al linguaggio perché mi ferisce o mi seduce (Barthes,Il Piacere del
testo, Einaudi 1999)
Solo il nuovo,il nuovo assoluto,che evita lo stereotipo della novità,turba la coscienza e procura godimento:l’avanzare verso di esso può portare alla distruzione del discorso. Probabilmente anche la ripetizione genererebbe godimento,ma per Barthes non può essere la ripetizione prodotta all’interno della discutibile cultura di massa, che giudica vergognosa, a poter far questo. Quella massa che ha un’unica voce e terribilmente forte.
In questo panorama sottostiamo,forse è il caso di dire, alla frase che per l’autore del Piacere del testo è gerarchica e in quanto tale implica delle soggezioni.
Una sera ,semiaddormentato sul sedile di un bar,cercavo per gioco di censire
tutti i linguaggi che entravano nel mio ascolto:musiche ,conversazioni,rumori di sedie,di bicchieri,tutta una stereofonia,di cui una piazza di Tangeri è il luogo
esemplare. Si parlava anche dentro di me,e questa parola detta interioresomigliava molto al rumore della piazza[…]io stesso ero un luogo pubblico.
(Barthes,Il piacere del testo,Einaudi 1999 ,p.112)
Questo “rumore” di fondo torna ne “Il brusio della lingua” :
L’altra sera, vedendo il film di Antonioni sulla Cina, ho avvertito
improvvisamente, all’apparire di una nuova sequenza, il
brusio della lingua: nella strada di un villaggio alcuni bambini, appoggiati a
un muro, leggevano a voce alta, ciascuno per sé, tutti insieme, un libro diverso; era un brusio ben riuscito, come una macchina che va bene;
Un brusio che ancora una volta nel suo vuoto costituisce l’erotismo in senso lato,uno slancio o una scoperta ,che Barthes avverte nei visi dei bimbi cinesi. Il brusio è quel rumore che funziona,il rumore di un’assenza di rumore,il rumore del godimento plurale. La frase però ,a differenza del discontinuo definitivo che Barthes descrive nel passo ,tratto dal piacere del testo, è qualcosa di compiuto e come si poteva interpretare dal pensiero di Julia Kristeva : ogni enunciato compiuto corre il rischio di essere ideologico
È detto scrittore non colui che esprime il proprio pensiero,passione o
immaginazione,con frasi,ma colui che pensa delle frasi :Un
Pensa-Frasi. (Barthes,Il piacere del Testo,1999 p.113)
Lo scrittore appartiene a quella lunga schiera di figure che creano l’artefatto e si fanno gioco di questo oggetto eccezionale di cui la linguistica spiega il paradosso: la frase è immutabilmente strutturata eppure infinitamente rinnovabile.
In S/Z del 1970 Barthes parla di testualità ideale ,partendo dall’analisi della novella Sarrasine di Balzac. Questa viene,infatti, divisa da Barthes in 561 “blocchi di significazione” o lessìe, attraverso i quali sono intrecciati i 93 lessie che costituiscono il commento del medesimo Barthes. Nell’appendice sono poi suggerite alternativi ingressi nel testo e rimontaggi.Si fuoriesce in questo modo dalla struttura fissa delle pagine del libro. Durante questo esperimento linguistico si inciampa nella figura di un lettore sempre meno esclusivamente lettore e sempre più autore/produttore.
questo testo è una galassia di significanti;[…]vi si accede da più entrate di
cui nessuna può essere decretata con certezza la principale;[…] di questo testo assolutamente plurale, i sistemi di senso possono sì impadronirsi, ma il loro
numero non è mai chiuso, misurandosi sull’infinità del linguaggio.
(R. Barthes, S/Z, Seuil, Paris 1964, trad. it. S/Z, Torino Einaudi, 1970,
p. 11.)
Il “divorzio inesorabile” tra lettore e autore,sancito dall’istituzione letteraria, è messo così in crisi dalla pluralità del testo. La possibilità di percorsi alternativi e a l’apertura ad una infinita rete di rimandi e significanti porta alla ribalta la nascita del lettore,distinguendo un testo “leggibile” da un testo”scrivibile”. Il primo rende il lettore mero consumatore,il secondo ne fa un personaggio attivo in grado di realizzare propri processi di significato [3]. Sarebbe qui interessante riflettere sulla proposta offerta da Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Opera sul piacere di leggere ,in cui si persegue il tentativo di far scomparire il fantasma dell’autore anonimo a vantaggio di uno scrittore che gioca abilmente con le trame del racconto,in cui il lettore rimane imbrigliato,per i continui cambi di ritmo.
Ti prepari a riconoscere l’inconfondibile accento dell’autore. No. Non lo
riconosci affatto. Ma, a pensarci bene, chi ha mai detto che questo autore ha un accento inconfondibile? […] Ma poi prosegui e t’accorgi che il libro si fa leggere
comunque, indipendentemente da quel che t’aspettavi dall’autore, è il libro in
sé che t’incuriosisce, anzi a pensarci bene preferisci che sia così, trovarti di fronte a qualcosa che ancora non sai bene cos’è.
Lo studioso distingue,ancora, tra scrivente e scrittore,tra trascrizione e scrittura. Il primo,lo scrivente,è un uomo che Barthes definirebbe transitivo
Sin dalle prime opere barthesiane la scrittura tende sempre a liberarsi dalla storia e dal commercio dei segni. Il punto di partenza è la ricerca di una scrittura non-letteraria
[…]la scrittura è sovente (o sempre?) servita a nascondere ciò che le era
affidato.
Ecco di seguito altre definizioni proposte da Barthes in “Variazioni sulla scrittura”:
1) È un gesto manuale ,opposto al gesto vocale[…];
2) È un registro legale di contrassegni indelebili ,destinati a trionfare sul tempo,sull’oblio,sull’errore,sulla menzogna;
3) È una pratica infinita ,nella quale tutto il soggetto è coinvolto,e quest’attività si oppone di conseguenza alla semplice trascrizione dei messaggi […];
Più volte Barthes cita il corpo ,come abbiamo visto,parlando di testo e di scrittura. Nelle “Variazioni sulla scrittura” vi dedica addirittura un paragrafo ,percorrendo le tappe storiche della scrittura in Oriente e Occidente ,perché la relazione alla scrittura è relazione al corpo e passa attraverso il codice della cultura ovviamente diverso tra i due mondi. In Oriente la scrittura è calligrafica,fin dall’origine connessa al disegno cosicché uno stesso gesto accomuna l’artista allo scriba . Un’arte nobile che implicava un controllo psicosomatico.
[…]non conosco della mia scrittura che ciò che so del mio corpo (Barthes
,Variazioni sulla scrittura)
Ciò che riguarda la scrittura è un viaggio continuo,infinito che interessa tanto il lettore quanto lo scrittore.
Ho davanti a me una pagina di manoscritto;qualcosa che […] si chiama lettura si
mette in moto. […] Cosmonauta ,eccomi attraversare mondi e mondi,senza fermarmi a nessuno di essi . […] Dalla parola di chi scrive potrei risalire alla mano,alla
nervatura ,al sangue ,alla pulsione ,alla cultura del corpo, al suo godimento. […] la scrittura-lettura […] impegna l’uomo nella sua interezza ,corpo e storia; […] la sola
definizione certa è che non potrà fermarsi da nessuna parte.
Nell’Enciclopedia Einaudi v. 8°,si legge che per molti secoli l’Occidente ha praticato un metodo di scrittura chiamato retorica,la quale poneva l’accento sulla composizione e sullo stile. Accenno che ritroviamo anche nelle ultime pagine del “Piacere del testo” ,nelle quali Bathes ricorda come nell’antichità la retorica facesse anche uso dell’actio che consisteva in un insieme di ricette atte a permettere l’esternamento corporeo del discorso: L’oratore era anche attore. Con l’avvento della democrazia borghese sembra si sia andati incontro ad nuovo ordine. Non è più importante imparare a scrivere,ma imparare a leggere,decifrare criticamente i testi ,sviluppare un’intelligenza critica. Se un tempo la lettura non si concepiva che ad alta voce ,dal VI secolo in poi cominciò a diffondersi l’uso della lettura silenziosa operata nei monasteri. Si assiste ad una sorta di disincarnazione della lettura che abbandona il corpo e si concede allo spirito. Barthes insinua che il tipo di lettura praticato oggi abbia origini religiose,anzi cristiane. Una sorta di mito la lettura cristiana che scaccia il godimento,al quale si potrebbe ritornare facendo risuonare il testo,sentendolo squillare nella testa. Un punto che ci conduce alla discussione sulla scrittura ad alta voce : Se fosse possibile immaginare un’estetica del piacere testuale,bisognerebbe includervi la scrittura ad alta voce (Barthes,Il piacere del testo,p.126). Una scrittura vocale che non viene praticata mai,ma che per Barthes deve comunque avere importanza visto che cita Artaud. Ovviamente non è descritta la vita dello scrittore,nonché commediografo francese, ma se ci si sofferma sull’importanza che la scrittura ebbe per questi,non stupirà il fatto che venga nominato nel “Piacere del testo”. Per Artaud la scrittura era un ritorno al corpo,un ritorno al proprio io. Un corpo , un io ,il suo,abbattuto dalla malattia e dalle terapie [2] .
Pourquoi j’écris? Pour me libérer, pour m’atteindre (V, 159)
[Perché scrivo? Per liberarmi, per raggiungermi].
Scrive Artaud in una delle sue lettere nel 1932. La parola diventa un mezzo per ri-costruirsi seguendo un percorso apparentemente non lineare,che prevede la frantumazione del linguaggio,proprio come auspicava,in un certo senso, Barthes. Neanche nella scrittura ad alta voce il corpo è abbandonato del tutto. Essa cerca gli incidenti pulsionali,un linguaggio tappezzato di pelle,la stereofonia della carne profonda. Vi si avverte l’articolazione del corpo,della lingua,non più del senso o del linguaggio. La grana della voce, al pari della dizione, diventa materia di un’arte , quella di condurre il proprio corpo.
Carlo Ossola ,nell’introdurre i lavori di Barthes ,sottolinea quanto per millenni la scrittura abbia fatto corpo con la struttura antropologica dell’uomo ,col suo volto,con la sua mano. La mano del pittore,dell’artista,dello scrittore. La mano che oggi percorre veloce i tasti di un computer,per cui scrivere si limita ,spesso,ad un tasto “canc” o “invio”. Una pratica in cui l’errore è rimosso e con esso le tracce del suo vissuto. Per Barthes , sostiene ancora Ossola, la scrittura era irreversibile e in quanto tale persino l’errore che alterava il “supporto” aveva la sua enorme importanza nel percorso del senso. Oggi ,il tutto è assorbito da un calcolatore e nei suoi calcoli l’errore come la riuscita sembrano perdere il loro valore.
[…] ciò che costa ,nella scrittura,è il sollevar la penna. (Barthes,Variazioni
sulla scrittura,pag.52)
È vero che per Barthes lo scrittore è soltanto quell’immenso dizionario cui attinge una scrittura che non può conoscere pause,che l’autore non è mai nient’altro che colui che scrive,e che è il lettore lo spazio pregnante in cui si inscrivono tutte le citazioni di cui è fatta la scrittura [4]. Ma se la vita non fa mai altro che imitare un libro ,l’errore sul “supporto” è l’errore nella vita,ciò che la rende reale,leggendo Ossola,viene quasi da pensare se lo scrittore fatto a pezzi,quello “morto”,non sia poi quello dei nostri giorni.
Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire[…]. Il senso ultimo a
cui rimandano tutti i racconti ha due facce :la continuità della vita,l’inevitabilità della morte.(Calvino,”Se una notte d’inverno un viaggiatore”)
Riferimenti:
[1] “Le garzantine”,Filosofia,Garzanti,2008.
2] “Pol.it”,The italian on-line psychiatric magazine.
[3]”L’ipertesto”,G.Landow,Paolo Ferri.
4] Barthes,”la morte dell’autore” in “Il brusio della lingua”,Einaudi,Torino,1988.
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