modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

martedì 1 febbraio 2011

Quando le parole non bastano

Nel suo libro “L‘ordine del discorso” Michel Foucault parla di diversi tipi di esclusione dal discorso, nominando, in particolare, tre categorie:
  • l’interdetto;
  • il folle;
  • il falso.
In particolare egli afferma:
<< In una società come la nostra si conoscono naturalmente, le procedure d‘esclusione. La più evidente, ed anche la più familiare, è quella dell’interdetto. Si sa bene che non si ha il diritto a dir tutto, che non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza, che chiunque, insomma, non può parlare di qualunque cosa. […] Noterò solo che, ai nostri giorni, le regioni in cui il reticolo è più fitto, in cui si moltiplicano le caselle nere, sono le regioni della sessualità e della politica. […] il discorso, in apparenza, ha un bell’essere poca cosa, gli interdetti che lo colpiscono rivelano ben tosto, e assai rapidamente, il suo legame col desiderio e col potere. >>
Alle categorie proposte da Foucault, però, si potrebbe aggiungerne una quarta, a mio parere, che prescinde da aspetti circostanziali o da specifici privilegi. Tale categoria si può configurare come quella contenente le persone che non parlano, non per scelta di tacere o per imposizione censoria, ma per ragioni puramente fisiche. Sto parlando dei muti, anzi più specificatamente dei sordomuti, in quanto è la sordità la prima causa di mutismo nel mondo. Che considerazione si ha avuto nei confronti di queste persone nel corso della storia e come vengono considerate oggi?
Si potrebbe opporre, al mio oggetto di tesi, la seconda figura proposta da Foucault, e cioè, il folle. Il folle, infatti, parla a vanvera, senza dare senso alle sue parole, al contrario nei sordomuti la loro natura viene riconosciuta in quello che “non dicono”.
La prima testimonianza di sordità da parte di uno studioso risale all’incirca al 355 a.C. ed è di Aristotele che nel libro “Historia Animalium” si pronuncia così:
<< Il linguaggio è proprio dell’uomo. Ogni essere che ha un linguaggio possiede anche la voce, ma non tutti gli esseri che hanno una voce possiedono un linguaggio. É questo il caso dei nati sordi i quali sono sempre anche muti. Essi possono si ammettere qualche suono vocale, ma non hanno alcun linguaggio >>.
Oltre a ciò, Aristotele sottolinea la propria linea di pensiero con il suo concetto di uomo come “animale linguistico”, escludendo perciò da tale gruppo i sordomuti, che a suo dire hanno solo la voce e non il linguaggio. Il linguaggio, secondo Aristotele, rende l’uomo un “animale sociale” capace di relazionarsi ai propri simili tramite esso.
Dilagò, su questa scia di pensiero (forse travisando all’estremo gli scritti aristotelici), l’idea che i sordomuti non mostrino segni d’intelligenza, data l’assenza di linguaggio e per questo motivo essi dovessero essere estromessi dai programmi d’istruzione in quanto considerati ritardati.
Quasi contemporaneamente (360 a.C.) Platone nel dialogo del Cratilo, attraverso la figura di Socrate, avanza l’idea che i sordi si esprimano attraverso una loro propria gestualità. Egli individua nel canale visivo - gestuale una delle possibilità attraverso cui può essere declinata la prassi linguistica. Tale gestualità, è importante quanto il linguaggio ed implica l’intelligenza di coloro che la usano. Inoltre, Platone, considera il linguaggio come arbitrario, in quanto esisterebbe un’altra realtà al di fuori del nome, rappresentata dalle cose a cui i nomi si riferiscono senza però alcun legame naturale con esse.
Nel Medioevo i sordomuti vengono considerati al pari di altre figure ai margini della società (come i folli presi in considerazione da Foucault), tale situazione viene testimoniata dal “Corpus Iuris Civilis”, redatto dall’imperatore Giustiniano I°, che impedisce ai sordomuti di tenere il controllo di proprietà, scrivere testamenti validi e stipulare contratti. Tutto ciò viene anche confermato dagli scritti di Sant’Agostino nel suo “Contra Iulianum” afferma che:
<< La sordità è un male perché può portare una mancanza di fede >>, anche se si contraddice nel libro “De Quantitate Animae” dove ammette di aver visto un << sordomuto in grado di esprimersi compiutamente attraverso la lingua dei segni >>.
Già nel 500, però, si hanno le prime notizie che riguardano l’educazione dei sordi soprattutto con personaggi come Giordano Cardano e Pedro Ponce De Léon, che insegnava a parlare ai sordi prima con la scrittura e poi provocando movimenti della lingua. La svolta vera e propria si ha solo con l’avvento dell’Illuminismo in Francia e con l’idea rivoluzionaria dell’abate Charles Michel de l’Épée. Quest’ultimo s’imbatte in due gemelle sorde e osservandole capisce che le due bambine avevano sviluppato tra loro una complessa forma di comunicazione gestuale. L’abate pensò perciò che si poteva far sviluppare ai sordi una comunicazione per loro naturale: i segni, essi, però, per costituirsi come una lingua vera e propria dovevano essere correlati da una struttura grammaticale. Nacquero, così, le prime lingue segnate convenzionali del tutto autonome dal linguaggio naturale. L’Épée istituì, inoltre, la prima scuola pubblica per sordi a Parigi nel 1755. Alla sua morte il direttore scolastico divenne Roch-Ambroise Sicard, che tramutò la scuola dell’abate nell’Istituto Nazionale dei sordomuti.
La lingua dei segni francese fu poi introdotta negli Stati Uniti da Thomas Gallaudet e si diffuse ampiamente anche lì. Sarà poi il figlio di quest’ultimo a fondare la prima università per sordi che utilizza i segni nell’attività didattica, la Gallaudet University.
A questo periodo di particolare fervore culturale a favore dei sordo muti, segue un lasso temporale negativo determinato dalle teorie di Alexander Bell, il più accanito oralista dell’Ottocento. Egli, infatti, appoggiava la teoria oralista che propone per i sordi un approccio medico-riabilitativo, che affianca l’uso di protesi a una terapia logopedica, per far divenire quanto più possibile i sordi parlanti . Si pensava, infatti, che per un’integrazione del sordo nella società era indispensabile l’acquisizione della lingua verbale, considerata superiore sul piano cognitivo. L’apprendimento delle lingue segnate, invece, era considerato come un impedimento per lo sviluppo culturale dell’individuo. Per questo motivo fu vietato l’uso delle lingue segnate e il relativo insegnamento. Tutto ciò rappresentò un atto estremo di negazione dell’identità delle persone sorde.
Solo dal 1960, con le teorie di William Stokoe, si assiste all’ennesima svolta nella storia dei sordi durante la quale si ha il definitivo riconoscimento scientifico delle lingue segnate.
Alla fine degli anni 70, invece, in Italia, un gruppo di ricercatori, sotto la guida di Virginia Volterra, studia ed elabora il LIS, ossia la lingua italiana dei segni. Nel mondo abbiamo tante lingue dei segni ognuna indipendente dalle altre, in quanto non esiste una lingua segnata universale. Esse sono del tutto naturali, infatti, i bambini fin dalla nascita esposti tanto quanto ad una lingua vocale, la apprendono con la stessa rapidità seguendo gli stessi passi (commettendo perfino i medesimi errori). Un esempio eloquente della naturalezza che i sordi hanno nell’apprendere la lingua dei segni è rappresentato dalla nascita della lingua segnata nicaraguense (ISN). Fino al 1970 non c’erano centri di accoglienza per sordi in Nicaragua, ma con la formazione di uno dei primi centri che conteneva circa 50 bambini sordomuti, si avviò una rieducazione basata su la lettura labiale e l’insegnamento dello spagnolo, che però non ebbe molto successo. Quando la scuola si espanse fino ad arrivare ad un numero di 400 individui, si notò che i bambini nei momenti dedicati al gioco, nei corridoi e sugli scuolabus, riuscirono da soli a sviluppare una comunicazione che gli permettesse di entrare in relazione tra loro. Avevano dato vita ad una vera e propria lingua, con accordi per esempio tra verbo e soggetto e altre convenzioni grammaticali. Infatti, come il linguaggio vocale le lingue segnate sono sistemi semiotici aperti, e cioè, capaci di incorporare prestiti e neologismi, essendo anche soggette a cambiamenti di origine dialettale e varietà regionali. Godono dei principi di metalinguisticità , sistematicità, sinonimia, arbitrarietà (pur essendo più iconiche, perché gestuali, rispetto alle lingue naturali). Esse inoltre utilizzano l’area di Broca (area nell‘emisfero sinistro del cervello, che è coinvolta nell’elaborazione e nella comprensione del linguaggio) nello stesso modo in cui viene utilizzata dai parlanti.
Prendendo atto della storia dei sordomuti ed osservando ciò che sono stati capaci di creare, è lecito domandare: come è possibile che per secoli a questi individui non fu riconosciuta la loro identità di persone sordomute con capacità intellettive uguali ai normodotati? Come mai essi hanno dovuto occupare per tutto questo tempo posti nella società rilegati a persone mentalmente ritardate? Forse tutto questo è dovuto al loro silenzio?
Per spiegare meglio quello a cui la mia tesi vuole giungere riprendo un passo tratto dal saggio “Il problema del significato nei linguaggi primitivi” di Bronislaw Malinowski. Egli enuncia che:
<< Per un uomo allo stato di natura il silenzio di un altro uomo non è fattore rassicurante ma, al contrario, qualche cosa di allarmante e pericoloso >>. Egli continua dicendo che: << la rottura del silenzio, la comunione delle parole è il primo atto per stabilire quei vincoli di amicizia che si consolidano durevolmente >>.
Egli parla per questo di comunicazione fatica, cioè di << un tipo discorso in cui si crea un legame col puro scambio di parole >>, le parole, infatti di questo tipo di comunicazione << adempiono una funzione sociale >>.
Malinowski continua dicendo che: << la situazione consiste proprio in questa atmosfera di socievolezza, in questa comunione personale, raggiunta in pratica attraverso il discorso; la situazione nei casi che andiamo esaminando è creata dallo scambio di parole, dai sentimenti specifici alla base del cameratismo conviviale, dal dare e avere delle espressioni adatte alle chiacchierate >>.
Nell’accezione malinowskiana, il linguaggio agisce, quindi assume la funzione di azione e crea uno spazio sociale. É proprio questo che rende il nostro linguaggio unico, che ci distingue dagli altri animali. Ciò però non toglie il fatto che, anche se le parole non vengono pronunciate, ci sia un linguaggio simile al nostro, con simili caratteristiche che permette, nonostante il silenzio, una funzione sociale. Quest’ultima non viene adempiuta completamente a causa della scarsa conoscenza delle lingue segnate (a causa anche alle sciocche imposizioni poste dalla teoria oralista fino al 1960). Con una conoscenza più ampia di tale lingua, si attribuirebbe senza dubbio una funzione sociale e quindi fatica anche ad essa.
I sostenitori delle lingue segnate come il professore Tommaso Russo Cadorna e Virginia Volterra, hanno da sempre reso nota la loro più grande utopia, e cioè: << una città progettata per “tutti coloro che utilizzano la lingua dei segni”, nella fattispecie la Lingua Americana dei Segni (ASL). Non è una città per sordi; è una città di segnanti, una città in cui “i sordi convivranno con gli udenti, agevolati da un ambiente concepito apposta per loro” >>. (dal Bollettino Filosofico XXIV 2008).
Questo è il loro grande sogno, finora rimasto incompiuto.
Giulia Galletta
matricola 117197