modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

venerdì 7 maggio 2010

A PROPOSITO DI CENSURA

A PROPOSITO DI CENSURA

"Alla ricerca del libro perduto"


ENRICA MARRELLI


Nell’ipotesi di Barthes, la biblioteca di Babele esiste ab aeterno.

Così, i “bibliocausti”(1), sussistono ab aeterno e continueranno ad esistere ab aeternum.

Nel discorso che Foucault tenne al College de France nel 1970, il filosofo, afferma che ogni società opera una sorta di controllo e selezione dei testi attraverso tre tipi di procedure: dall’esterno, dall’interno e dei soggetti parlanti. Anche se il discorso è stato pronunciato in tempi molto recenti, le procedure descritte dall’autore, sono applicate da secoli ad ogni tipo di discorso.

Infatti, con la creazione dei primi “codices(circa il II secolo d.c.), tessuti di seta o i fogli di papiro o le pelli di pergamena, nascono contemporaneamente meccanismi di filtraggio che hanno impedito la libera circolazione delle idee; senza questi, forse, oggi avremmo biblioteche piene di capolavori di cattivo gusto e stupidità (2), oppure, quello che abbiamo perso era quanto di meglio fosse stato scritto; forse lo scrittore più grande è quello di cui non sappiamo nulla e di cui non abbiamo letto nulla.

Al di la di questo dubbio, e al di là dell’opposizione verso i testi, questi hanno continuato ad essere gli strumenti privilegiati per la lettura e per la trasmissione delle conoscenze, nonostante l’ideazione di nuove tecnologie che sembrano minarne la sopravvivenza.

L’idea di collezionare lo “scriptum” è molto antica; già i romani volevano possedere rotoli e collezionarli, quindi , le perdite derivano da qualche motivazione specifica.

Innanzitutto, tutti gli sforzi per conservare quanto rimane di una cultura, sono stati vanificati dalla natura stessa delle biblioteche; queste infatti, costruite per lo più in legno, prendevano fuoco alla prima occasione.

Il fatto che la biblioteca ne Il Nome della Rosa (1980) finisce per bruciare, non è un fatto straordinario in quel periodo.

Una seconda causa è da rintracciare nella caccia a cui i libri sono stati sottoposti, ossia ricerca di quei testi scomodi attraverso i quali, chiunque leggesse, avrebbe potuto acquisire nozioni tali da poter invalidare quelle verità assunte come dogmi indubitabili.

I libri proibiti sono, dunque, quelli che hanno suscitato scandalo, oppure che hanno anticipato i tempi; talvolta considerati fastidiosi, altre volte semplicemente inopportuni e, per questi motivi,  osteggiati fin dalla loro nascita oppure furiosamente combattuti.

Ma alcuni di questi testi, riabilitati in epoche successive, hanno aperto gli occhi dell’umanità; altri invece sono rimasti nell’ombra delle biblioteche e, per secoli, sottoposti a maltrattamenti e distruzioni.

Sono quei testi che Borges include nella sua Biblioteca di Babele, quelli scritti e che saranno scritti, e, inevitabilmente, quelli bruciati e che saranno bruciati.

Sarebbe impossibile citare tutte le biblioteche che sono stati bruciate, soprattutto perché, ironia della sorte, mancano testimonianze scritte di questi avvenimenti; ma, i casi più eclatanti, ci dimostrano come il desiderio di distruggere appartiene al lato più oscuro dell’uomo.

Sappiamo che già nel 260 a.c. l’imperatore Shih Huang Ti ordinò la distruzione di tutti  testi posseduti dall’impero cinese che fossero stati scritti prima della sua nomina, in modo tale da impedire che l’opposizione facesse riferimento a questi per elogiare l’operato degli antichi imperatori a scapito del suo onore.

Ciò da cui Shih Huang Ti voleva difendersi, più che dagli eserciti, erano i letterati; fu per questo motivo che si accanì maggiormente sui testi di Confucio il quale esortava i giovani, oltre che all’arte meditativa, allo studio costante.

Dunque, da un lato l’imperatore volle affermare la sua superiorità rispetto ai grandi scrittori del passato, ma dall’altro, aveva trovato un pretesto per spedire ai lavori forzati, per un periodo lungo quattro anni, tutti coloro che sarebbero stati scoperti in possesso di un libro; così, oltre che instaurare un regime di terrore, riusciva ad ottenere mano d’opera gratuita per completare la costruzione della grande muraglia.

Anche nella Grecia antica, si mise in atto la stessa impresa ideata dall’imperatore cinese: la biblioteca alessandrina, costruita nel 332 a.c. per volere di Tolomeo I e contenente circa settantamila volumi, venne distrutta per ben tre volte.

Nel primo caso, nel 48 a.c., la parziale distruzione fu causata da un incendio appiccato da Giulio Cesare. In un secondo momento, nel 390 d.c., la biblioteca fu completamente distrutta dal vescovo cristiano Teofilo; nel 641 d.c. l’opera venne completata dai maomettani.

Proprio in quest’ultima occasione, il califfo Omar, davanti la biblioteca afferma:


Se i libri contengono la stessa dottrina del Corano, sono inutili in quanto ripetizioni;

se i libri non sono in accordo con la dottrina del Corano, non è il caso di conservarli.

 

Quelle del califfo, sono parole che potrebbero essere pronunciate da altre migliaia di burocrati del terrore culturale sparsi in tutte le epoche e religioni.

Perché i libri, quelli scritti nel piacere e non sotto l’effetto di un semplice bisogno di scrittura, non sono mai in accordo con la Verità, la Fede, il Progresso, la Missione (3).

Sia nel caso della biblioteca di Alessandria che in casi successivi, i motivi di censura di molti testi erano legati a proibizioni religiose.

Ma, il primo atto ufficiale nei confronti della circolazione dei libri, nella storia della Chiesa, fu il decreto di Papa Gelasio I (496 c.ca), che conteneva una lista di libri, ripartita tra libri raccomandati e libri proibiti. Tuttavia, per il primo indice ufficiale, bisogna attendere più di mille anni.

Prima della pubblicazione dell’Index, nel 1515 Papa Leone X pubblicò la bolla pontificia “Inter Sollicitudine” la quale, riprendendo le disposizioni già emanate in precedenza da Papa Innocenzo VII nel 1487 e da Papa Alessandro VI nel 1501, sanciva il divieto di stampare libri senza l’autorizzazione ecclesiastica: l’imprimatur.

L’inquisizione, storicamente stabilita nel concilio presieduto a Verona nel 1184, istituì nel 1588 il suo strumento più spietato: l’Index Librorum Prohibitorium, creato sotto il pontificato di Papa Paolo IV. Ma, la caduta dello stato pontificio con l’unità d’Italia, privò la Santa Inquisizione delle funzioni repressive con le quali era nata, riducendola ad un apparato puramente censitorio attento soprattutto a vietare la circolazione di prodotti culturali contrari alla propria etica.

Essa, tuttavia, non è stata abolita; semplicemente è stata rinominata Sacra Congregazione del Sant’Uffizio nel 1908 con Papa Pio X, e, con Papa Paolo VI nel 1965, Congregazione per la dottrina della fede.

Proprio dall’opera messa in atto dalla Santa Inquisizione presero spunto numerosi autori, alcuni dei quali trattarono l’argomento esplicitamente, come Umberto Eco ne Il nome della rosa, altri invece in maniera ambigua in modo tale da renderlo visibile solo a coloro i quali avessero avuto le conoscenze necessarie ad individuarlo.

E non è forse anche questa una forma di censura?

Una censura sulla scia di Roland Barthes il quale, nascondendosi dietro uno stile letterario frammentario, inserisce citazioni dotte individuabili solo dal suo lettore ideale.

Un lettore alla Calvino, ovvero un destinatario in grado di afferrare le varie possibilità di interpretazione implicite nei testi.

Lo scrittore statunitense, Ray Bradbury nel suo celebre romanzo Fahrenheit 451, immagina una società emancipata dalla cultura e dai libri.

Il testo fa esplicito riferimento ai vecchi riti nazisti di purificazione della cultura ma, bisogna ricordare, il mito che una popolazione incolta sia più facile da governare, non è solo dei regimi totalitari ma anche delle democrazie più democratiche.

Cosi, in Fahrenheit 451, si ripropone lo stesso tema.

In questo ipotetico futuro leggere libri è un reato e, per impedire la violazione della legge, è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco il cui unico compito è bruciare ogni tipo di volume


I libri non servono a nulla, sono spazzatura, rendono gli uomini antisociali e tristi.

 

La tematica che l’autore vuole trasmettere ruota attorno alla descrizione di una società distopica, in cui la realtà e le informazioni sono distorte da un potere dominante. L’assenza di libri, infatti, rende ignoranti ed è possibile uscire da questa condizione solo abbandonando la città per raggiungere luoghi in cui non esiste censura di alcun tipo.

Qui, comunità di uomini amanti dei libri, uomini che diventano essi stessi libri, vivono in clandestinità; ognuno impara un testo a memoria, in modo tale da scongiurare la minaccia di distruzione.

Bradbury da dunque vita ad una Biblioteca di Babele in cui tutti i testi sono contemporaneamente; una biblioteca umanizzata, “voci che gridano nel deserto”, che sostituiscono quella distrutta nella città.

Anche Calvino propone la figura del censore, in Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Arkadian Porphyritch è il direttore generale degli archivi della polizia di stato a Ircania; il suo compito è quello di classificare, catalogare, microfilmare e conservare opere stampate o ciclostilate o dattilografate o manoscritte, censurate dal regime poliziesco.

A differenza del protagonista di Fahrenheit 451, Porphyritch, in quanto responsabile della più completa e aggiornata biblioteca di Ircania, non può astenersi dalla lettura dei libri che gli vengono sottoposti; inoltre, li legge, non solo per dovere professionale, con una lettura per sommi capi, ma anche per il suo esclusivo piacere personale con una seconda lettura più attenta.

Si riprendono quindi, forse inconsapevolmente, quei due regimi di lettura proposti da Barthes in Le plasir du texte:


Una lettura va direttamente alle articolazioni del testo, ignorando i giochi linguistici; un’altra non fa passare niente, pesa, aderisce al testo, legge, se così posso dire, con applicazione e trasporto, coglie in ogni punto del testo l’asindeto che taglia i linguaggi.

 

Il tipo di procedura applicata da Calvino ai testi in Se una notte d’inverno un viaggiatore è estremamente più complessa di quella di Fahrenheit 451, ma riprende una delle procedure di Foucault: l’interdetto.

Applicando l’interdizione si ha tabù dell’oggetto, rituale della circostanza, diritto privilegiato o esclusivo del soggetto che parla. Così in Calvino, ogni paese ha regimi di polizia diversi e spesso anche avversi; dunque esiste una censura diversa a seconda del luogo in cui quel determinato testo viene letto. Quello che si viene a creare è un sistema di equilibri in cui i diversi regimi si bilanciano e sostengono a vicenda, in quanto è necessario giustificare continuamente l’esistenza del proprio apparato repressivo. Ci deve sempre essere qualcosa da reprimere.

La volontà di scrivere cose che danno fastidio all’autorità costituita è uno degli elementi necessari a mantenere questo equilibrio. Per cui, in base ad un trattato segreto con i paesi di regime sociale diverso, si viene a creare un’organizzazione comune con la quale libri proibiti, in un determinato paese, posso circolare clandestinamente in altri.

Esiste anche un altro meccanismo di esclusione nel romanzo di Calvino: la congiura degli apocrifi.

A capo di questa congiura si trova Ermes Marana che, spinto dalla gelosia nei confronti di Ludmilla, lettrice ideale, sognava una letteratura tutta d’apocrifi, di false attribuzioni, di imitazioni e di contraffazioni; una copia di quel meccanismo combinatorio che Borges postula nella sua Biblioteca. Se questa idea fosse riuscita ad imporsi, se un’incertezza sistematica sull’identità di chi scrive avesse impedito al lettore di abbandonarsi con fiducia alla voce che racconta, forse esternamente nell’edificio della letteratura non sarebbe cambiato nulla ma, nelle fondamenta, là dove si stabilisce il rapporto del lettore col testo, qualcosa sarebbe cambiato per sempre.

All’interno di questo meccanismo borgesiano sarebbe stato impossibile ricostruire la verità di un testo, in quanto la stessa figura dell’autore viene minacciata dalla contraffazione.

Mentre in Calvino la diffusione dei testi viene favorita da organizzazioni segrete, a cui è stato affidato specificamente questo compito, ne “Il nome della Rosa”, Eco, relega i libri in una prigione di cemento.

La biblioteca è testimonianza sia della verità sia dell’errore e i testi che vi sono conservati sono sottoposti ad una triplice esclusione:

1.      I testi possono essere letti solo da coloro che possiedono le giuste conoscenze. Dunque si trova applicato il terzo tipo di esclusione di Foucault, ovvero la società di discorso.

2.      I testi possono essere trovati nella biblioteca solo da colui che ne conosce il segreto, ovvero il bibliotecario. Il motivo è duplice: l’accesso alla biblioteca dell’Abbazia benedettina è consentito solo al bibliotecario e al suo assistente; entrarvi rappresenta una condanna a morte, perché è un labirinto pieno di trappole di cui solo il bibliotecario conosce il segreto.

3.      Testi più scandalosi sono custoditi nel “Finis Africae”, ovvero in una biblioteca dentro la biblioteca, a cui si può accedere solo attraverso la soluzione di un enigma.

Il bibliotecario conserva tutti quei testi la cui lettura comporterebbe la nascita di forti dubbi sulla religione cristiana; il romanzo però ruota attorno ad un unico libro: il secondo della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia.

 

Se è possibile ridere di tutto - come affermato nel testo proibito - è possibile ridere di Dio, contrapponendo al dogmatismo la ragione umana e portando al relativismo e alla caduta della religione(4) .

 

Jorge da Burgos, anziano cieco, profondo conoscitore dei segreti del monastero e in passato bibliotecario, intuisce il pericolo insito nel libro ed è lui a provocare la catena di omicidi per impedire la conoscenza del messaggio aristotelico.

Ma proprio l'eccessivo amor di Dio e della sua verità lo porta a compiere un'opera diabolica.

Il tema del libro proibito viene ripreso in numerosi romanzi, anche moderni, tra i quali “Angeli e Demoni”, scritto nel 2000 e pubblicato nel 2004, da Dan Brown.

L’intera storia si fonda su un libro misterioso, scritto da Galileo Galilei subito dopo l’abiura, di cui molti ignorano l’esistenza: il Diagramma della Verità, la cui unica copia si trova nell’Archivio Segreto Vaticano.

Anche in questo romanzo, quindi, siamo di fronte ad una biblioteca costituita da libri proibiti, come nel Nome della Rosa, e anche in questo caso l’accesso è consentito (solo nel romanzo, non nella realtà) a determinate circostanze. Chiunque voglia consultare i testi qui custoditi deve ottenere l’autorizzazione scritta del curatore e del consiglio dei bibliotecari o il mandato papale.

Relativamente al Diagramma, fu Galilei a mettere in atto una procedura di esclusione nei confronti del clero: il messaggio, che rappresenta il segreto del libro, è scritto in inglese, ovvero nella lingua sconosciuta alla chiesa al tempo di Galileo.

In realtà, l’intera ricerca della chiesa degli illuminati rappresenta una procedura di selezione; solo colui che sa interpretare gli indizi in modo corretto potrà raggiungere la verità.

In Dan Brown siamo di fronte ad uno Sherlock Holmes senza pipa, come già nel Nome della Rosa.

La distruzione dei libri è un'azione che ricorre costantemente nella storia umana.

La scelta del fuoco come strumento di annientamento non è casuale. Il fuoco non lascia dietro di sé nessuna traccia, nessuna rovina sulla quale poter costruire il futuro o ricostruire il passato.

Si riprende dunque la visione eraclitea secondo cui tutto nasce dal fuoco e tutto si distrugge col fuoco, perché possa rinascere.


Il fuoco ha condotto al silenzio biblioteche intere, come se i roghi si nutrissero l’un l’altri[..](5)


L’intento, quindi, non è quello di distruggere il supporto materiale, bensì qualcosa di immateriale: la memoria e la verità. Infatti, è attraverso la storia di un libro si può ricostruire la storia della cultura e di una civiltà.

Confidiamo, dunque, nell’esistenza di altri luoghi come Qumran nel Mar Morto in cui mani provvidenziali hanno posto in salvo pergamene e rotoli, codici e libri, sottraendoli alla distruzione di uomini ciechi, facendoli vivere fuori dal tempo e dallo spazio per consegnarli ad una posterità attenta, ma talvolta non più in grado di leggerne i caratteri.

 

NOTA PER IL LETTORE: Ho deciso di specificare quanto Foucault lasciava implicito perché, ancora oggi, dopo l’ultima biblioteca distrutta a Bagdad, sembra che nessuno si accorga della gravità di  queste azioni e soprattutto della portata delle conseguenze.


NOTE: (1) Carrière e Eco, 2003; (2) Ibidem; (3) Barthes 1792; (4) Eco 1980(5); Carrière e Eco, 2003