modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

lunedì 6 settembre 2010

Relazione a cura di Denise Di Matteo

Il potere delle parole:

L’esercizio del potere,soprattutto nella società moderna, è sempre più raggiunto attraverso il linguaggio. Le parole incidono sulla realtà, la modificano. Il linguaggio è un fenomeno sociale che ha degli effetti sulla società,quindi va anche considerato come azione semantico-persuasiva. Ad interessarsi di questo argomento è anche Michel Foucault il quale nel discorso inaugurale del College de France, tenta di spiegarci come nella nostra società vengano esercitati poteri di controllo nei confronti del discorso in particolar modo da parte delle autorità. L'ipotesi che egli avanza è la seguente: “suppongo che in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurare i poteri e i pericoli, di padroneggiare l'evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità”.

A partire da qui individua e cerca di analizzare le modalità in cui le varie autorità controllano la produzione testuale e nello specifico individua tre differenti categorie: le procedure d’esclusione, le procedure d’ordinamento-limitazione e le procedure che determinano regole d’accesso al discorso. Per quanto riguarda le procedure d’esclusione, egli ne riconosce tre:

· L’interdizione;

· La partizione della follia;

· La volontà di verità;

L’interdizione si riferisce alla censura e all’autocensura; come sappiamo nella nostra società non si può parlare di qualsiasi cosa e le regioni in cui l’interdetto è più fitto sono la sessualità e la politica; per quanto riguarda la partizione della follia essa fa riferimento ai discorsi dei folli ritenuti irrilevanti; Il terzo tipo di procedura di esclusione è la volontà di verità. Nella Grecia del VI secolo il discorso vero era quello pronunciato da chi si occupava di giustizia ed era il discorso di chi regnava e cui tutti dovevano sottomettersi. Con gli anni la verità non risiedeva più in quel che il discorso era ma nell’enunciato stesso,in ciò che esso diceva. Le procedure di controllo citate fin’ora sono quelle che agiscono dall’esterno e riguardano la parte del discorso che mette in gioco il potere e il desiderio, ma Foucault ci parla anche di procedure interne cioè esercitate dal discorso stesso per classificare, ordinare, padroneggiare la dimensione del discorso come evento. Abbiamo perciò il commento il quale da una parte ci dice ciò che era stato già detto,e dall’altra da vita ad un nuovo discorso. Esso dunque crea una sfasatura tra il testo originale e quello ripetuto. Poi abbiamo la limitazione da parte dell’autore,dobbiamo però specificare che cosa intende Foucault per autore:per lui l’autore non è l’individuo parlante che ha scritto o pronunciato il testo, ma un principio di raggruppamento dei discorsi. L’autore da al testo ordine ed unità.

Infine abbiamo il terzo tipo di procedura che appartiene alle discipline:la disciplina rappresenta un principio di limitazione perché è la somma di tutto ciò che può essere vero a proposito di qualcosa.

Esiste poi un terzo gruppo di procedure di controllo, di esso fa parte il rituale che si riferisce alla qualificazione che deve possedere l’individuo parlante e i gesti e i comportamenti che deve attuare.Infine abbiamo l’appropriazione sociale dei discorsi, nello specifico l’autore ci parla dell’educazione definendola comelo strumento grazie al quale ogni individuo, in una società come la nostra, può accedere a qualsiasi tipo di discorso”.Infatti in ogni società è proprio attraverso l’insegnamento che si formano i cittadini,quindi un’educazione troppo manipolata dal potere politico formerà una classe politica e sociale con i paraocchi,inconsapevole delle altre possibilità di scelta. Potremmo accostare queste idee di Foucault al concetto di violenza semiotica di cui ci parla Bourdieu,sociologo, ma anche antropologo, filosofo e sostenitore del movimento anti-globalizzazione. Vi è "violenza simbolica" secondo Pierre Bourdieu quando al soggetto vengono imposte le struture mentali attraverso le quali egli percepisce il mondo sia sociale che intellettuale. Si tratta di una violenza dolce che si esercita con la complicità della coscienza di chi la subisce ed è sempre grazie a questa sorta di complicità e di consenso che la violenza o se vogliamo l'ordine si impongono. Infatti noi tutti sappiamo che il consenso è il fatto di essere d' accordo su un qualcosa e per quanto riguarda la nozione di violenza simbolica il consenso si riferisce al codice di comunicazione. La comunicazione avviene sempre tra due o più locutori e fa sì che essi associno lo stesso senso allo stesso segno, e lo stesso segno allo stesso,perciò il linguaggio è un medium di comunicazione; perciò la dominazione all' interno di una società si compie sulla base di un codice comune ovvero sulla base del linguaggio. Secondo lo studioso Fairclough si possono individuare tre tipi di meccanismi di esercizio del potere

tramite consenso che coinvolgono i discorsi e il linguaggio, e che producono un cambiamento e se vogliamo anche un’influenza nel sapere, nelle credenze, nelle relazioni sociali, ecc... Abbiamo innanzi tutto l’adozione di pratiche e discorsi universalmente accettati e seguiti poichè nessuna alternativa possibile sembra concepibile, immaginabile; poi abbiamo l’imposizione di pratiche attraverso un esercizio del potere ‘nascosto’ quindi non esplicito; infine abbiamo l’adozione di pratiche che vengono adottate attraverso un processo di comunicazione razionale e di dibattito quindi stiamo parlando dell’atto stesso di comunicare.

Questi tre meccanismi sono tutti esercitati nella società contemporanea ed inculcano nelle persone delle categorie di percezione, di apprezzamento, di valutazione, e allo stesso tempo dei principi di azione sui quali si basano le azioni e gli ordini simbolici. Nelle nostre società la violenza simbolica di cui ci parla Bourdieu viene messa in atto in particolar modo dal sistema scolastico;difatti è sui ragazzi che, con l'arbitrio culturale imposto dalla violenza simbolica, si realizza una tacita e invisibile mutilazione della loro coscienza. Il sistema educativo, come altre istanze,(ad esempio le istanze statuali, ecc...) esercita sulle persone che gli sono affidate delle forme di violenza che consistono nell' imporre, per esempio, certe categorie del pensiero.A tal proposito Foucault dice:”La disciplina è il meccanismo di potere con cui riusciamo a controllare gli elementi più sottili del corpo sociale, a raggiungere gli stessi atomi sociali, cioè gli individui. Tecniche di individualizzazione del potere. Come sorvegliare qualcuno, come controllarne la condotta, il comportamento, le attitudini, come intensificare la sua prestazione, moltiplicare le sue capacità, come collocarlo nel posto in cui sarà più utile”. La violenza pedagogica insomma consiste nell' imporre dei saperi, delle conoscenze che si pensano come universali,determinati concetti e persino precise modalità di comportamento. Nelle nostre società il sistema scolastico è uno dei luoghi dove si trasmettono le forme di classificazione, i princìpi classificatori, le tassonomie e i concetti che usiamo per ecc... E queste tassonomie diventano delle strutture mentali attraverso le quali noi percepiamo il mondo intellettuale ma anche il mondo sociale. Questa è la violenza simbolica: vale a dire l'inculcazione di forme mentali, di strutture mentali arbitrarie.

A tal proposito mi sembra opportuno accennare al rapporto tra l’educazione e l’istruzione e i vari regimi totalitaristi. Nei regimi ad essere presa di mira è sempre la scuola o comunque gli enti di istruzione istituzionalizzati in generale;attraverso di essi si cercava di infondere nei giovani determinate idee. Particolari strutture linguistiche vengono messe in atto anche dai vari despoti, basti pensare alle “tecniche” utilizzate per incutere timore e per sottomettere il popolo quali un tono della voce molto fermo ed alto, una postura severa,l’utilizzo di “parole ad effetto”, parole “forti”, ecc... Il potere risiede quindi nel fatto che il portavoce agisce su altri agenti attraverso le parole, ma egli ha bisogno della collaborazione di coloro che esso governa e questa collaborazione viene la si ottiene attraverso le istituzioni sociali che hanno la capacità di produrre complicità. Inoltre occorre dire che ciò che caratterizza il rapporto del discorso con le relazioni di potere è il suo essere opaco. Ovvero, non è così chiaro che nel processo di mediazione, di comunicazione, si da vita all’esercizio di potere. Quest’ultimo è sempre un potere “nascosto” in quanto non reso esplicito, di cui la maggior parte delle persone non sono consapevoli. A tal proposito Pierre Bourdieu affermava:“è perché i soggetti […] non sanno cosa stanno facendo, quel che fanno ha più significato di quanto sanno”. Questa opacità, questo essere nascosto lo riscontriamo anche nei media: chi narra l’evento può omettere o evidenziare un aspetto piuttosto che un altro, può lasciare ad intendere piuttosto che dichiarare esplicitamente le relazioni tra oggetti, fatti e persone, ecc...

Concludo questa mia relazione con una citazione di Reboul: “Come per la magia, le parole non hanno un senso, hanno un potere; un potere che è inversamente proporzionale al loro senso.”

Passando sul cadavere dello scrittore

Roland Barthes ha dedicato buona parte delle sue opere alla scrittura e insieme ad essa all’immagine dello scrittore.
Susan Sontag ,come riportato ne “La Stampa-Tutto libri” ,scrive :


Barthes fa della scrittura una forma di coscienza idealmente complessa: un modo
di essere allo stesso tempo passivi e attivi,sociali e asociali,presenti e assenti nella propria vita.

Ne “Il piacere del testo” è menzionato l’autore, la cui istituzione sarebbe morta in quanto è il testo ,questo oggetto feticcio che mi desidera, a scegliere l’autore che in qualche modo si perde sempre in mezzo ad esso. Espressione quella del “feticcio che mi desidera” che quasi ben racchiude la storia del termine. In antropologia feticismo rimanda ad un oggetto o manufatto che si ritiene abitato da una forza,da uno spirito. In psicologia,indica la tendenza o condotta sessuale in cui l’interesse erotico del soggetto si concentra su una parte del corpo o dell’abbigliamento femminile[1]. In Barthes, non è più la sua persona ad esercitare la paternità sull’opera. Il testo si muove in uno spazio tra piacere e godimento, intriso di un continuo margine di indecisione ,di rottura ,collisione. Per far si che esso non balbetti è necessario che sia frutto di un minimo di nevrosi in grado di sedurre i suoi lettori. La crepa che nasce dal compromesso del linguaggio è l’erotismo a cui Barthes tende,il godimento. E se l’ apprezzamento per Flaubert è sempre presente è proprio perché la rottura da quest’ultimo operata ,pur rendendo disconnessa la narratività ,permette comunque che la storia resti leggibile senza pagare il prezzo della perdita del piacere da parte del lettore, anzi. L’erotismo del vedo non vedo qui si compie, la pelle del testo luccica fra due bordi e il suo scintillio seduce. Non è quindi ,in mancanza di questo momento di lacerazione,la suspense narrativa a costituire il vero piacere,ma una speranza dal gusto edipico, uno svelamento. Dunque l’idea di un testo che prevale sull’autore,quasi fosse pervaso da una qualche forma di spirito,l’erotismo e l’immagine del corpo,tipici del feticcio,sembrano esserci tutti nell’analisi condotta da Barthes. L’autore ignora ciò che può interessare al lettore,non conosce ciò che non verrà letto. Eppure è proprio l’essere in balia di tale imprevisione che ha fatto il piacere di grandi racconti,che conduce la corsa ad ostacoli del lettore col giusto ritmo. Per spiegare meglio il ruolo che gioca il testo nel rapporto tra scrittore e lettore Barthes prende in prestito la frase : L'occhio attraverso cui vedo Dio è lo stesso attraverso cui lui mi vede (Angelo Silesio). In riferimento al testo non esiste,quindi, un soggetto o un oggetto.

Ma di cosa si parla ,di piacere o di godimento? La complessità della relazione tra piacere e godimento non ci permette di arrivare ad una chiara distinzione fra le due parti. È però innegabile che lo stesso Barthes più volte accosta il piacere all’appagamento e il godimento alla perdita, al mancamento. In questi termini lo studioso ricorda che del piacere è possibile parlare,del piacere è possibile criticare. Non lo stesso si può affermare del godimento. Con lo scrittore di godimento(e il suo lettore) ha inizio il testo impossibile,fuori-critica e fuori-piacere,di cui si può parlare solo nel suo stesso modo attraverso un altro testo di godimento. Il piacere del testo è scandaloso perché atopico, se per atopico si rinvia al significato di atopia,ovvero,quello stato allergico che produce reazioni anomale con agenti normalmente innocui. È il suo essere atopico a costituirne la significanza , il superamento del sistema. Sul piacere del testo non è possibile alcuna tesi. Eppure si gaude! Si legge nell’opera barthesiana . Dal sapore quasi galileiano, questa espressione evidenzia come a dispetto di tutto io godo del testo. Nel corso dell’analisi a volte piacere e godimento sembrano completarsi,altre porsi quasi agli antipodi.

A questo punto della discussione ,Barthes ne “Il piacere del testo” fa emergere la figura dello scrittore come una creatura di linguaggio trascinato nella guerra delle parlate,sempre alla deriva; lo paragona addirittura al morto del bridge : necessario allo scontro,ma privo in sé di senso fisso. Nel gioco del bridge il morto è il compagno del dichiarante,un punto cardinale che si limita ad esibire le carte sulla tavola. Lo scrittore tace il godimento insito nella gratuità della scrittura,a volte lo combatte al fine di negarlo, gioca col corpo della lingua materna, può arrivare a sfigurarla,squartarla ,per trarre godimento da un tale sfiguramento .


M’interesso al linguaggio perché mi ferisce o mi seduce (Barthes,Il Piacere del
testo, Einaudi 1999)

Solo il nuovo,il nuovo assoluto,che evita lo stereotipo della novità,turba la coscienza e procura godimento:l’avanzare verso di esso può portare alla distruzione del discorso. Probabilmente anche la ripetizione genererebbe godimento,ma per Barthes non può essere la ripetizione prodotta all’interno della discutibile cultura di massa, che giudica vergognosa, a poter far questo. Quella massa che ha un’unica voce e terribilmente forte.

In questo panorama sottostiamo,forse è il caso di dire, alla frase che per l’autore del Piacere del testo è gerarchica e in quanto tale implica delle soggezioni.


Una sera ,semiaddormentato sul sedile di un bar,cercavo per gioco di censire
tutti i linguaggi che entravano nel mio ascolto:musiche ,conversazioni,rumori di sedie,di bicchieri,tutta una stereofonia,di cui una piazza di Tangeri è il luogo
esemplare. Si parlava anche dentro di me,e questa parola detta interiore somigliava molto al rumore della piazza[…]io stesso ero un luogo pubblico.

(Barthes,Il piacere del testo,Einaudi 1999 ,p.112)


Questo “rumore” di fondo torna ne “Il brusio della lingua” :


L’altra sera, vedendo il film di Antonioni sulla Cina, ho avvertito
improvvisamente, all’apparire di una nuova sequenza, il
brusio della lingua: nella strada di un villaggio alcuni bambini, appoggiati a
un muro, leggevano a voce alta, ciascuno per sé, tutti insieme, un libro diverso; era un brusio ben riuscito, come una macchina che va bene;

Un brusio che ancora una volta nel suo vuoto costituisce l’erotismo in senso lato,uno slancio o una scoperta ,che Barthes avverte nei visi dei bimbi cinesi. Il brusio è quel rumore che funziona,il rumore di un’assenza di rumore,il rumore del godimento plurale. La frase però ,a differenza del discontinuo definitivo che Barthes descrive nel passo ,tratto dal piacere del testo, è qualcosa di compiuto e come si poteva interpretare dal pensiero di Julia Kristeva : ogni enunciato compiuto corre il rischio di essere ideologico (Barthes,Il piacere del testo). Così quando il professore è qualcuno che finisce le sue frasi e il politico intervistato si da un gran da fare per immaginare la giusta fine del suo enunciato, lo scrittore,come affermava Valéry, non pensa parole,ma solo frasi.

È detto scrittore non colui che esprime il proprio pensiero,passione o
immaginazione,con frasi,ma colui che pensa delle frasi :Un
Pensa-Frasi. (Barthes,Il piacere del Testo,1999 p.113)

Lo scrittore appartiene a quella lunga schiera di figure che creano l’artefatto e si fanno gioco di questo oggetto eccezionale di cui la linguistica spiega il paradosso: la frase è immutabilmente strutturata eppure infinitamente rinnovabile.
In S/Z del 1970 Barthes parla di testualità ideale ,partendo dall’analisi della novella Sarrasine di Balzac. Questa viene,infatti, divisa da Barthes in 561 “blocchi di significazione” o lessìe, attraverso i quali sono intrecciati i 93 lessie che costituiscono il commento del medesimo Barthes. Nell’appendice sono poi suggerite alternativi ingressi nel testo e rimontaggi.Si fuoriesce in questo modo dalla struttura fissa delle pagine del libro. Durante questo esperimento linguistico si inciampa nella figura di un lettore sempre meno esclusivamente lettore e sempre più autore/produttore.


questo testo è una galassia di significanti;[…]vi si accede da più entrate di
cui nessuna può essere decretata con certezza la principale;[…] di questo testo assolutamente plurale, i sistemi di senso possono sì impadronirsi, ma il loro
numero non è mai chiuso, misurandosi sull’infinità del linguaggio.

(R. Barthes, S/Z, Seuil, Paris 1964, trad. it. S/Z, Torino Einaudi, 1970,
p. 11.)

Il “divorzio inesorabile” tra lettore e autore,sancito dall’istituzione letteraria, è messo così in crisi dalla pluralità del testo. La possibilità di percorsi alternativi e a l’apertura ad una infinita rete di rimandi e significanti porta alla ribalta la nascita del lettore,distinguendo un testo “leggibile” da un testo”scrivibile”. Il primo rende il lettore mero consumatore,il secondo ne fa un personaggio attivo in grado di realizzare propri processi di significato [3]. Sarebbe qui interessante riflettere sulla proposta offerta da Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Opera sul piacere di leggere ,in cui si persegue il tentativo di far scomparire il fantasma dell’autore anonimo a vantaggio di uno scrittore che gioca abilmente con le trame del racconto,in cui il lettore rimane imbrigliato,per i continui cambi di ritmo.


Ti prepari a riconoscere l’inconfondibile accento dell’autore. No. Non lo
riconosci affatto. Ma, a pensarci bene, chi ha mai detto che questo autore ha un accento inconfondibile? […] Ma poi prosegui e t’accorgi che il libro si fa leggere
comunque, indipendentemente da quel che t’aspettavi dall’autore, è il libro in
sé che t’incuriosisce, anzi a pensarci bene preferisci che sia così, trovarti di fronte a qualcosa che ancora non sai bene cos’è.

Lo studioso distingue,ancora, tra scrivente e scrittore,tra trascrizione e scrittura. Il primo,lo scrivente,è un uomo che Barthes definirebbe transitivo . In balia delle istituzioni egli si pone un fine (testimoniare,svelare,insegnare,spiegare),la parola diventa un mezzo e il significante si pone al servizio del significato. Nella scrittura ,e quindi per lo scrittore ,scrivere è un verbo intransitivo . Non è allora probabilmente un caso che Barthes definisca il testo di godimento assolutamente intransitivo. Al contrario del precario piacere del testo,il godimento è precoce :non arriva mai al momento giusto.

Sin dalle prime opere barthesiane la scrittura tende sempre a liberarsi dalla storia e dal commercio dei segni. Il punto di partenza è la ricerca di una scrittura non-letteraria (o grado zero della scrittura ) ,attraverso la quale la semiologia può denunciare il carattere costruito delle ideologie,dalle quali Barthes cerca di rifuggire. Scrivere è fratturare il mondo e rifarlo. A questo punto si insinua un’importante metodica che differenzia la scrittura dalla parola,dalla voce. La scrittura non può consistere nella trascrizione di una pronuncia,essa,inoltre,non dipende dalla voce ed è distanziata dal pensiero. La scrittura doveva restare attaccata alla lentezza della mano, installarsi in essa. Negli anni successivi , Barthes giunge ad individuare nella nozione di testo il luogo di istituzione e di destituzione. Con il “Piacere del testo “si passa all’eccesso.


[…]la scrittura è sovente (o sempre?) servita a nascondere ciò che le era
affidato.

Ecco di seguito altre definizioni proposte da Barthes in “Variazioni sulla scrittura”:
1) È un gesto manuale ,opposto al gesto vocale[…];
2) È un registro legale di contrassegni indelebili ,destinati a trionfare sul tempo,sull’oblio,sull’errore,sulla menzogna;
3) È una pratica infinita ,nella quale tutto il soggetto è coinvolto,e quest’attività si oppone di conseguenza alla semplice trascrizione dei messaggi […];

Più volte Barthes cita il corpo ,come abbiamo visto,parlando di testo e di scrittura. Nelle “Variazioni sulla scrittura” vi dedica addirittura un paragrafo ,percorrendo le tappe storiche della scrittura in Oriente e Occidente ,perché la relazione alla scrittura è relazione al corpo e passa attraverso il codice della cultura ovviamente diverso tra i due mondi. In Oriente la scrittura è calligrafica,fin dall’origine connessa al disegno cosicché uno stesso gesto accomuna l’artista allo scriba . Un’arte nobile che implicava un controllo psicosomatico.

[…]non conosco della mia scrittura che ciò che so del mio corpo (Barthes
,Variazioni sulla scrittura)

Ciò che riguarda la scrittura è un viaggio continuo,infinito che interessa tanto il lettore quanto lo scrittore.

Ho davanti a me una pagina di manoscritto;qualcosa che […] si chiama lettura si
mette in moto. […] Cosmonauta ,eccomi attraversare mondi e mondi,senza fermarmi a nessuno di essi . […] Dalla parola di chi scrive potrei risalire alla mano,alla
nervatura ,al sangue ,alla pulsione ,alla cultura del corpo, al suo godimento. […] la scrittura-lettura […] impegna l’uomo nella sua interezza ,corpo e storia; […] la sola
definizione certa è che non potrà fermarsi da nessuna parte.



Nell’Enciclopedia Einaudi v. 8°,si legge che per molti secoli l’Occidente ha praticato un metodo di scrittura chiamato retorica,la quale poneva l’accento sulla composizione e sullo stile. Accenno che ritroviamo anche nelle ultime pagine del “Piacere del testo” ,nelle quali Bathes ricorda come nell’antichità la retorica facesse anche uso dell’actio che consisteva in un insieme di ricette atte a permettere l’esternamento corporeo del discorso: L’oratore era anche attore. Con l’avvento della democrazia borghese sembra si sia andati incontro ad nuovo ordine. Non è più importante imparare a scrivere,ma imparare a leggere,decifrare criticamente i testi ,sviluppare un’intelligenza critica. Se un tempo la lettura non si concepiva che ad alta voce ,dal VI secolo in poi cominciò a diffondersi l’uso della lettura silenziosa operata nei monasteri. Si assiste ad una sorta di disincarnazione della lettura che abbandona il corpo e si concede allo spirito. Barthes insinua che il tipo di lettura praticato oggi abbia origini religiose,anzi cristiane. Una sorta di mito la lettura cristiana che scaccia il godimento,al quale si potrebbe ritornare facendo risuonare il testo,sentendolo squillare nella testa. Un punto che ci conduce alla discussione sulla scrittura ad alta voce : Se fosse possibile immaginare un’estetica del piacere testuale,bisognerebbe includervi la scrittura ad alta voce (Barthes,Il piacere del testo,p.126). Una scrittura vocale che non viene praticata mai,ma che per Barthes deve comunque avere importanza visto che cita Artaud. Ovviamente non è descritta la vita dello scrittore,nonché commediografo francese, ma se ci si sofferma sull’importanza che la scrittura ebbe per questi,non stupirà il fatto che venga nominato nel “Piacere del testo”. Per Artaud la scrittura era un ritorno al corpo,un ritorno al proprio io. Un corpo , un io ,il suo,abbattuto dalla malattia e dalle terapie [2] .

Pourquoi j’écris? Pour me libérer, pour m’atteindre (V, 159)

[Perché scrivo? Per liberarmi, per raggiungermi].

Scrive Artaud in una delle sue lettere nel 1932. La parola diventa un mezzo per ri-costruirsi seguendo un percorso apparentemente non lineare,che prevede la frantumazione del linguaggio,proprio come auspicava,in un certo senso, Barthes. Neanche nella scrittura ad alta voce il corpo è abbandonato del tutto. Essa cerca gli incidenti pulsionali,un linguaggio tappezzato di pelle,la stereofonia della carne profonda. Vi si avverte l’articolazione del corpo,della lingua,non più del senso o del linguaggio. La grana della voce, al pari della dizione, diventa materia di un’arte , quella di condurre il proprio corpo.

Carlo Ossola ,nell’introdurre i lavori di Barthes ,sottolinea quanto per millenni la scrittura abbia fatto corpo con la struttura antropologica dell’uomo ,col suo volto,con la sua mano. La mano del pittore,dell’artista,dello scrittore. La mano che oggi percorre veloce i tasti di un computer,per cui scrivere si limita ,spesso,ad un tasto “canc” o “invio”. Una pratica in cui l’errore è rimosso e con esso le tracce del suo vissuto. Per Barthes , sostiene ancora Ossola, la scrittura era irreversibile e in quanto tale persino l’errore che alterava il “supporto” aveva la sua enorme importanza nel percorso del senso. Oggi ,il tutto è assorbito da un calcolatore e nei suoi calcoli l’errore come la riuscita sembrano perdere il loro valore.

[…] ciò che costa ,nella scrittura,è il sollevar la penna. (Barthes,Variazioni
sulla scrittura,pag.52)

È vero che per Barthes lo scrittore è soltanto quell’immenso dizionario cui attinge una scrittura che non può conoscere pause,che l’autore non è mai nient’altro che colui che scrive,e che è il lettore lo spazio pregnante in cui si inscrivono tutte le citazioni di cui è fatta la scrittura [4]. Ma se la vita non fa mai altro che imitare un libro ,l’errore sul “supporto” è l’errore nella vita,ciò che la rende reale,leggendo Ossola,viene quasi da pensare se lo scrittore fatto a pezzi,quello “morto”,non sia poi quello dei nostri giorni.

Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire[…]. Il senso ultimo a
cui rimandano tutti i racconti ha due facce :la continuità della vita,l’inevitabilità della morte.

(Calvino,”Se una notte d’inverno un viaggiatore”)



Riferimenti:

[1] “Le garzantine”,Filosofia,Garzanti,2008.

2] “Pol.it”,The italian on-line psychiatric magazine.

[3]”L’ipertesto”,G.Landow,Paolo Ferri.

4] Barthes,”la morte dell’autore” in “Il brusio della lingua”,Einaudi,Torino,1988.