modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

venerdì 10 settembre 2010

IL TESTO: A SCUOLA GUIDA O IN CUCINA?!?

Il testo è una combinazione di selezioni.
La definizione di Louis Hjelmlev (1899 – 1965) non lascia adito a dubbi: dato un raggruppamento di scelte, dalla semplice combinazione di queste ultime si possono generare tutti i testi possibili, un po’ come per le combinazioni di un lucchetto o di un libro illustrato per bambini (dove combinando le pagine si ottengono figure di animali sempre diverse). Questo però significa che il sistema è completamente (almeno in potenza) dispiegabile, e ciò indica che non vi è spazio per una ulteriore creazione. Si potrebbe tranquillamente paragonare l’insieme dei testi al repertorio dei segnali stradali che si insegnano a scuola guida; ma se così fosse, o a scuola dovremmo imparare tutte le possibili combinazioni di tutti i testi possibili, oppure a scuola guida dovrebbero insegnare il sistema generatore dei segnali, la grammatica di come si “costruiscono” i segnali stradali; il che, non solo sarebbe non – utile, ma risulterebbe addirittura dannoso. Al posto di un sistema si avrebbe invece un repertorio.
Le condizioni di esistenza di un testo, insomma, secondo Hjelmslev, sono date dai rapporti in assenza delle possibilità sull’asse paradigmatico, proprio come avviene nel “quadrato semiotico” greimasiano [1], una rappresentazione logica in cui due termini qualsiasi ( A e B) si trovano raffigurati in relazione di contrarietà ( A vs B ); in relazione di sub-contrarietà ( nonA vs non B ) e in relazione di contraddizione ( A vs non A; B vs non B ):




Questa, almeno in parte, è la teoria che sostiene anche il modello di Vladimir Propp (1895 -1970), che, in Morfologia della fiaba [ 1928 ], conduce un attento studio su oltre 400 fiabe russe “di magia”, allo scopo di individuare le “forme soggiacenti”, ossia le costanti che ricorrono lungo tutta la mutevole superficie testuale delle fiabe. Propp individua 31 funzioni narrative (tipi di azioni), 7 sfere d’azione (tipi di personaggi), ed elenca i principi che reggono il genere “fiaba di magia”[2]. Attraverso la combinazione di questi elementi e la ricorsività in un modello costante, chiunque può costruire una fiaba in qualsiasi momento, proprio come una ricetta di cucina. Così ogni testo esibisce il meccanismo di produzione di tutti gli altri testi possibili.
Anche la preoccupazione di Gérard Genette ( 1930 ) è quella di descrivere ampie tipologie di meccanismi testuali, alla ricerca di una “retorica del racconto”, fatta di figure che generalizzino quanto i diversi testi hanno in comune. Genette infatti, ( Palimpsestes, 1982 ) afferma che l’oggetto del proprio lavoro, non è il testo considerato nella sua singolarità ma l’insieme delle categorie generali, ovvero “i tipi di discorso, i modi di enunciazione, i generi letterari…” [3]
Jacques Geninasca ( 1930 – 2010 ), poi, concepisce la tipologia del “testo estetico” ( oggetto del suo studio ) come una totalità significante ( totalitè signifiante ) articolata in sotto-unità funzionali che chiama spazi testuali: é necessaria la strutturazione in parti del testo, poiché è dalle relazioni fra ripartizioni testuali che emerge il significato profondo del testo stesso.[4]

Partiamo da un assunto: non tutto è testo.
Nella Biblioteca di Babele ( 1956 ) di Louis Borges ( 1899 - 1986 ) erano presenti tutti i testi possibili, quelli già scritti, ma anche tutti quelli che ancora dovevano essere scritti. E’ evidente però che nella Biblioteca, definita “Universale”, ciò che è presente è il meccanismo combinatorio dei testi; Borges, pertanto, vuole mostrare le combinazioni compiute del sistema in potenza. Nella Biblioteca in sostanza sono presenti sì i testi, ma sono certamente presenti anche i non testi: è il sistema delle selezioni che emerge.

La Biblioteca Universale comprende

“ ogni possibile letteratura, sia sensata che priva di senso […] tutto ciò che è dato esprimere in tutte le lingue” [5]

Questo meccanismo è basato sul presupposto che nella combinazione alcuni elementi si ripetono.

“L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito di gallerie esagonali […]. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente.” [6]

La Biblioteca di Borges è eterna, perché è infinita. Attraverso un paradigma finito Borges evidenzia la possibilità di creare infiniti testi, ma se sintagma e paradigma sono finiti, come si genera l’infinito? Resterà qualche libro non scritto o non letto? E ancora: è ammissibile un parallelismo con il sistema linguistico che, attraverso un insieme finito di elementi – base e con un numero finito di regole sintattiche per ciascuna lingua, è in grado potenzialmente di dare luogo ad infiniti segni linguistici diversi? [7]

“A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri […]; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina di quaranta righe; ciascuna riga di quaranta lettere.” [8]

In realtà, se si avrà il numero di selezioni da combinare, il numero dei libri sarà enorme, ma non infinito.
In più non tutte le combinazioni prodotte sono testi in senso proprio, poiché solo le combinazioni valide consentono di far accettare la loro utilizzabilità e tra queste non possono rientrare elenchi e ripetizioni che non hanno un senso testuale.
E se l’intento di Hjelmslev era quello di mostrare il sistema potenziale generatore di tutti i testi possibili, produrre una teoria linguistica di applicabilità generale, il chiaro intento di Borges è quello di espletare tutte le potenzialità del sistema, dispiegare ed esaurire quest’ultimo in tutte le sue possibilità, per conferire il senso di infinità e chiusura del sistema-Biblioteca Universale. Proprio come, vedi sopra, si farebbe con un repertorio di segnali.
In tutto questo, però, non c’è spazio per il non-detto, per l’interpretazione, per la creatività umana. Quale la soluzione? Smettere di scrivere libri, poiché tutto è già stato scritto, tutto è già stato detto, non c’è nulla di nuovo da aspettarsi, nulla di inatteso può avvenire nei testi?
Riguardo le emozioni che il testo suscita nel lettore, Roland Barthes ( 1915 – 1980 ) osserva che, se alla domanda « cosa conosciamo del/dal testo ?» la semiologia è riuscita a dare risposte convincenti, la stessa cosa non è però accaduta per l'altra domanda fondamentale: «che cosa godiamo nel testo ?» Si tratta dunque, nelle parole dello stesso Barthes, di «riaffermare il piacere del testo contro l'indifferenza scientifica e il puritanesimo dell'analisi sociologica, contro l'appiattimento della letteratura a un suo semplice apprezzamento». [9]

Un testo, ne consegue, non può essere in alcun modo una combinazione di selezioni, poiché in essa non c’è spazio per gli effetti di senso del testo stesso.
Lo Schema Narrativo Canonico di Greimas descrive la struttura generale del testo al livello semio-narrativo di superficie. Esso prevede quattro fasi:
1. Manipolazione: il Destinante convince il Soggetto della storia circa l’opportunità di svolgere un determinato programma narrativo
2. Competenza: il Soggetto si dota delle competenze necessarie allo svolgimento del Programma Narrativo ( saper-fare, dover-fare, voler-fare, poter-fare );
3. Perfomanza: l’azione del soggetto che modifica gli stati di cose ( attuazione del Programma Narrativo );
4. Sanzione: il Destinante giudica se l’opera compiuta dal Soggetto è conforme al contratto iniziale.
Lo stesso Greimas tuttavia ha affermato, nella sua Introduzione a Courtés (1979, p. 6 ), che ridurre il testo letterario alle strutture semio-narrative avrebbe costituito un impoverimento estremo ed inopportuno dell’oggetto.
Nel 1991 Fontanille pubblica, assieme a Greimas, un volume in cui, a seguito di perfezionamenti dello Schema Narrativo canonico, si aggiunge uno Schema Passionale Canonico, parallelo al primo, in cui si riassumono i “modi di esistenza del Soggetto passionale” che portano ad un “estendersi” della sensibilizzazione del Soggetto. Essi sono: costituzione, disposizione, patemizzazione, emozione e moralizzazione; la loro esistenza sta quasi ad indicare la presa di coscienza, da parte dell’autore, dell’insufficienza dello Schema Narrativo Canonico per la descrizione di un testo.
D’altronde lo stesso Greimas, nel Dizionario del 1979 pubblicato assieme a Courtés, alla voce comunicazione fa corrispondere un’aspra critica alla tassonomia delle funzioni linguistiche di Roman Jakobson ( 1960 ), criticabile perché tiene conto solo del fare informativo e non del fare persuasivo e interpretativo della comunicazione. A rendere però lo schema jakobsoniano insoddisfacente è soprattutto l’assenza della “manipolazione”.
La semiotica e l’antropologia strutturali sostituiscono, all’idea del linguaggio e della cultura come comunicazione, l’idea del linguaggio e della comunicazione come produzione di senso, di significazione (da qui la sostanziale differenza tra comunicazione e significazione). Il modello comunicativo di Jakobson, invece, tende a rendere iperintenzionale la significazione: il modello semio-antropologico vede la cultura soprattutto come un’orchestrazione di processi vitali, come autorganizzazione di sistemi di significazione.
Nella combinazione di selezioni non c’è spazio, quindi, per la creatività tipica dell’uomo, una delle spinte motivazionali più importanti alla formulazione di testi e discorsi, non c’è spazio per il non-detto. Si sceglie sempre molto accuratamente cosa dire e come dirlo: il processo interpretativo di un testo, infatti, inizia quando si fa entrare in gioco la possibilità del non-detto, della menzogna.
Se non ci fosse spazio per tutte queste cose, che piacere si avrebbe nel leggere un testo?
Magistrale risulta in tal senso l’intervento dello studioso Barthes, che in Il piacere del testo ( 1973 ), così recita:

“Sembra che gli eruditi arabi, parlando del testo, usino questa stupenda espressione: “il corpo certo”. […] Il testo ha una forma umana, è una figura, un anagramma del corpo? Sì, ma del corpo erotico.
Il piacere del testo sarebbe irriducibile al suo funzionamento grammaticale (feno-testuale) come il piacere del corpo è irriducibile al bisogno fisiologico. Il piacere del testo è quando il mio corpo va dietro alle proprie idee- il mio corpo infatti non ha le mie stesse idee.” [10]

Barthes, attraverso la differenza tra testo di piacere e testo di godimento, sviluppa l’idea e l’importanza dell’elemento creativo come generatore di piacere e godimento della lettura, che si estrinseca nell’accurata scelta formale (stilistica) di lasciare spazi di intermittenza, spazi di transizione con il non-detto:

“La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si dischiude? Nella perversione (che è il regime del piacere testuale) non ci sono zone <<>> […]; è l’intermittenza, come ha ben detto la psicanalisi, che è erotica […], la messinscena di un’apparizione-sparizione.” [11]

E ancora:

“Il piacere della lettura deriva evidentemente da certe rotture (o da certe collisioni): codici antipatici (per esempio, il nobile e il volgare) entrano in contatto[…]. Come dice la teoria del testo: la lingua viene ridistribuita. Ora questa ridistribuzione si fa sempre per frattura. Vengono tracciati due bordi: un bordo prudente, conforme, plagiario (si tratta di copiare la lingua nel suo stato canonico, quale è stato stabilito dalla scuola, le buone maniere, la letteratura, la cultura), e un altro bordo, mobile, vuoto (atto a prendere qualunque contorno) che non è altro se non il luogo del proprio effetto: […]. Questi due bordi, il compromesso che essi mettono in scena, sono necessari. Né la cultura né la sua distribuzione sono erotiche; è la crepa fra l’una e l’altra che lo diventa.” [12]


L’interrogativo, a questo punto, è quanto mai lecito:
L’assunto che il testo sia una combinazione (tra le tante possibili) di selezioni (tra le tante possibili) induce a chiedersi quali siano le altre possibilità non incluse nella selezione che presiede la formulazione di un dato testo e la motivazione della necessità di una scelta.

“ […] in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure […].” [13]

Il discorso, lungi dall’essere completamente libero come spesso si suole credere, è soggetto a limitazioni e restrizioni che la società stessa in cui viviamo impone; la parte più tagliente del linguaggio è che con esso si può dire qualunque cosa, ma l’uomo che vive in una società non è libero di fare e dire qualunque cosa. Sono necessarie, pertanto, delle procedure di controllo che limitino i discorsi, e soprattutto, i discorsi in quanto azioni [14]. I sistemi di controllo dei discorsi, però, non tolgono valore a questi ultimi, ma rendono onore ai discorsi proferiti. Le procedure a cui si riferisce Foucault sono le procedure d’esclusione di cui la prima è l’interdetto:

“Si sa bene che non si ha il diritto di dir tutto, che non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza, che chiunque, insomma, non può parlare di qualunque cosa. Tabù dell’oggetto, rituale della circostanza, diritto privilegiato o esclusivo del soggetto che parla: si ha qui il gioco di tre tipi di interdetto[…]” [15]

Le possibilità non incluse sono tutte quelle dello scibile umano che non siano già state date e tutte quelle che non rispettavano criteri di coerenza e coesione al testo dato.
Tutte le possibilità che non seguono il principio di non – contraddizione al testo sono escluse dal testo stesso.
La necessità di una scelta, invece, segue dei principi di ordine sociale: le regole proprie e peculiari di ogni diversa società rendono le censure che il soggetto opera interne al soggetto stesso.

Assieme all’interdetto Foucault riconosce altre due procedure d’esclusione: l’opposizione tra ragione e follia e, ultima ma di non minore importanza, l’opposizione del vero e del falso. Vi sono allora argomenti (come la sessualità o la politica) di cui si parla con più reticenza e situazioni di discorso che, di volta in volta, alterano il piano del significato dei discorsi stessi (il rituale, la parola di un folle, l’ironia di un pagliaccio).
Lo stesso rapporto si ha con il visivo:

“La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si dischiude? Nella perversione (che è il regime del piacere testuale) non ci sono "zone" […]; è l’intermittenza, come ha ben detto la psicanalisi, che è erotica […], la messinscena di un’apparizione-sparizione.” [16]

Il godimento che si prova nel leggere un testo che svela (o che lascia ad intendere) determinate verità scomode o che mette in luce aspetti di cui non spesso si parla è quello impresso da un “testo di godimento”.
La relazione visto-non visto che affiora guardando determinate fotografie origina un’altra species di godimento.
Il godimento sta al limite. Al margine esterno.

“I libri cosiddetti “erotici” […], più che la scena erotica rappresentano la sua attesa, la sua preparazione, la sua crescita; è in questo che sono “eccitanti”; e quando la scena arriva c’è naturalmente delusione, deflazione. In altre parole, sono libri del Desiderio, non del Piacere.” [17]

E ancora:

“Testi di godimento. Il piacere a pezzi; la lingua a pezzi; la cultura a pezzi. Sono perversi in quanto sono fuori di ogni immaginabile finalità – anche quella del piacere […]. Il testo di godimento è assolutamente intransitivo. Pure, la perversione non basta a definire il godimento; è l’estremo della perversione a definirlo: estremo sempre spostato, estremo vuoto, mobile, imprevedibile. Questo estremo garantisce il godimento […]” [ 18]


Le procedure di controllo, però, si applicano anche agli altri campi: nel mondo dell’arte, ad esempio, esse delimitano cosa può essere definito “arte”, e cosa invece non è investito della legittimità di opera d’arte:

“ Un’opera d’arte in senso classificatorio è un artefatto, a un insieme di aspetti del quale è stato conferito lo status di candidato per l’apprezzamento da parte di una persona o di persone che agiscono per conto di una certa istituzione sociale (il mondo dell’arte).” [19]

Ma è sempre la società a stabilirle!
Il “bello ideale” delle opere classiche rispecchiava perfettamente l’idea di “testo di piacere” di Barthes. Sono state le avanguardie (900) a far emergere l’elemento di fastidio, di cambiamento, il non governabile, il godimento anche nell’opera d’arte.
Le prime opere di Pablo Picasso ( 1881 – 1973 ) rispecchiano, in qualche modo, i canoni del realismo accademico del tempo (Ritratto di zia Pepa 1896) (come in un testo di piacere ), mentre le ultime opere ( Colazione sull’erba ispirata all’opera di Manet 1962) non solo si discostano fortemente dalla tradizione accademica ma rivelano l’elemento di disturbo, di intermittenza che caratterizza i testi di godimento ed è rivelatore della presenza e della tipologia delle censure sociali in atto.
Lo stesso è avvenuto, poi, in ambito musicale, laddove la musica del Novecento è differita in vari modi da quella prodotta fino alla prima metà dell’Ottocento .
Nel Settecento il primo tempo della Sonata era scritta in “forma sonata”, modello che imponeva limitazioni a livello minimo (unità melodica minima), ad un livello più ampio di struttura (frase melodica), ed ad un livello ancora più generale (esposizione, sviluppo e ripresa ). Le limitazioni strutturali di questa forma musicale ne decretarono, dalla seconda metà dell’Ottocento, un decadimento progressivo. Era come se la forma sonata avesse esaurito le sue possibilità creative e fosse diventata elemento di restrizione e vincolo limitativo più che di indirizzamento, in parte come avveniva per le procedure di controllo dei discorsi in Foucault. Nel Novecento, infine, i canoni classici si rompono e si passa alla forma musicale libera e alle sperimentazioni musicali di Shonberg ( 1874 – 1951 ) e George Antheil ( 1900 – 1959 ) (Ballet mechanique 1936).
Ecco anche perché dal Novecento è possibile un parallelismo di studio tra musica e linguistica.


Già Ferdinend de Saussure aveva piena consapevolezza della dimensione sociale dei fatti di significazione; la socio-semiotica aggiunge poi, la possibilità di una branca specifica della semiotica strutturale: un'analisi del "discorso cognitivo" attraverso il quale si effettuano numerosissime operazioni persuasive.

I testi non sono combinazioni di selezioni, non vi sono “ricette per scrivere testi”; esistono invece Grammatiche a cui poter fare riferimento per “imparare ad usare il sistema lingua” con cui poi, in virtù delle nostre facoltà, delle nostre conoscenze, poiché “siamo soltanto uomini” [20], scriveremo testi. Che piacere si avrebbe altrimenti nel leggere un libro? Soltanto gli uomini possono godere della lettura di un testo, o dell’ascolto di un discorso, in quanto esseri “sociali” ed “interpretanti”: esposti pertanto a regole e censure ed in grado di manipolare, comprendere e percepire il non-detto (lasciato ad intendere) di un discorso.






[1] Pozzato (2001) p. 55.

[2] Propp (1928).

[3] Pozzato (2001) p. 232.

[4] ivi, p. 145.

[5] Borges (1956).

[6] ivi, p. 69.

[7] De Mauro (2008) p. 5.

[8] Borges (1956) p. 70.

[9] Pozzato (2001).

[10] Barthes (1973) p. 16.

[11] ivi, p. 9.

[12] Sade, in Barthes (1973) p. 6

[13] Foucault (1971) p. 4

[14] vedi Benveniste (1966).

[15] Foucault (1971) p. 5.

[16] Barthes (1973) p. 9.

[17] ivi, p. 57.

[18] ivi, p. 51.

[19] Dickie (1974) p. 34.

[20] vedi Buzan (2003).







Bibliografia
Aa. Vv.

Barthes, R.

1973 Le plausi du texte, Seuil, Paris [ tr. It. Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1975].

Foucault, M.

1971 L’ordre du discours, Gallimard, Paris [tr. It. L’ordine del discorso, Einaudi, Torino 2004].

Pozzato, M, P.

2001 Semiotica del testo. Metodi, autori, esempi, Carocci, Roma.

Borges, L.

1956 Ficciones, Emecé, Buenos Aires [tr. It. Finzioni, Einaudi, Torino 1995]

De Mauro, T.

2008 Il linguaggio tra natura e storia, Mondadori, Milano.

Warburton, N.

2003 The Art Question, Routledge, Oxon [tr. It. La questione dell’arte, Einaudi, Torino 2004].

Buzan, T.

1974 Use Your Head, BBC Active, England [tr. It. Usiamo la testa, Frassinelli, 2003].

Dickie, G.

1974 Art and the Aesthetic, Cornell, New York.

Allorto, R.

1989 Nuova storia della musica, ricordi, Roma.

Miriam Comito