modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

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Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

martedì 23 novembre 2010

VERO O FALSO?


La volontà di verità come sistema storico e modificabile trattato ne “L’ordine del discorso” di M. Foucault.

“L’ordine del discorso” è il testo della lezione inaugurale che Foucault pronunciò al Collège de France il 2 dicembre 1970. In questa sua prima lezione egli presenta i temi principali e i metodi della sua ricerca.

In queste pagine tratterò il tema della volontà di verità introdotto da Foucault sottolineando il suo carattere storico, relativo e modificabile attraverso i secoli.

Innanzitutto vediamo in quale ambito di analisi l’autore analizza il concetto di volontà di verità. L’autore nota come in ogni società la produzione del discorso sia controllata, organizzata e selezionata tramite delle procedure che ne limitano i poteri e i pericoli. Infatti egli avverte l’inquietudine generale nei confronti della parola scritta o parlata, l’importanza attribuita alla possibilità di padroneggiare gli eventi discorsivi in una società. Il discorso non è solamente strumento di lotta (politica, sociale ecc.), ma è anche e soprattutto ciò per cui si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi.

Per questo , in ogni società, troviamo differenti sistemi di delimitazione e controllo dei discorsi.

Un primo gruppo di tali sistemi comprende le cosiddette procedure di esclusione. Esse si esercitano dall’esterno dei testi stessi e riguardano la parte del discorso che mette in gioco il potere e il desiderio. Tra queste troviamo il meccanismo dell’interdetto, la partizione tra ragione e follia e l’opposizione tra il vero e il falso.

Esiste un altro gruppo di procedure di controllo e delimitazione del discorso. Si tratta di procedure interne; sono i discorsi stessi che esercitano il loro proprio controllo. Tali procedure fungono dunque da principi di classificazione, ordinamento, distribuzione. Si tratta di padroneggiare quella dimensione del discorso che riguarda l’evento e il caso. Le procedure che operano in questo ambito sono il commento, la funzione dell’autore e l’organizzazione delle discipline.

L’autore individua un terzo gruppo di procedure che consentono il controllo dei discorsi. Esse non tentano di padroneggiare i poteri dei discorsi, ma di determinare le condizioni della loro messa in opera, di imporre agli individui che li tengono delle regole e di non permettere così a tutti di accedervi. In questo gruppo rientrano il rituale, le società di discorso e la dottrina.

Dopo questa breve classificazione delle procedure di controllo dei discorsi, voglio qui analizzare più da vicino le procedure di esclusione, tra le quali rientra la sopra citata volontà di verità.

Iniziamo dunque con l’interdetto. Esso è un procedura di esclusione perché fa riferimento al fatto che non si ha il diritto di dire tutto in qualsiasi circostanza. Si hanno tre tipi di interdetto: tabù dell’oggetto, rituale della circostanza, diritto privilegiato o esclusivo di chi parla; essi formano un reticolo complesso. Nella nostra società, tale reticolo diviene ancora più fitto nelle regioni della politica e della sessualità; infatti è proprio nel discorso che questi ambiti della vita umana possono esercitare i loro maggiori poteri.

Esiste poi, nella nostra società, un altro principio d’esclusione. Esso non funziona più come un interdetto ma come una partizione o un rigetto. Si tratta dell’opposizione tra ragione e follia. Il folle è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri. Dal Medioevo la sua parola è considerata come nulla, non potendo autenticare un contratto, non avendo verità e importanza, non potendo far fede in giustizia. Al contrario, poteva accadere che venisse attribuita alla sua parola la facoltà di pronunciare verità nascoste, o il potere di annunciare l’avvenire, di vedere ciò che la saggezza degli altri non può scorgere. In ogni caso, però, sia che fosse esclusa dalla società o segretamente investita dalla ragione, la parola del folle semplicemente non esisteva, non aveva effetto. La follia del folle si riconosceva proprio dalle sue parole. Oggi , si potrebbe pensare, la parola del folle non è più nulla, anzi vi si ricerca una senso. Si pensi alla psicanalisi, alla grande attenzione di medici del nostro tempo rivolta all’ascolto della parola del folle, alla volontà di decifrarla. Tuttavia, tanta attenzione non cancella l’antica partizione tra ragione e follia, anzi , tale opposizione continua a essere un sistema di esclusione che agisce in nuove forme, attraverso nuove istituzioni.

Passiamo ora all’analisi del terzo tipo di procedura d’esclusione, ovvero l’opposizione del vero e del falso. Sembrerebbe fuori luogo considerare tale opposizione come un ulteriore sistema d’esclusione, accanto a dei sistemi di controllo arbitrari e contingenti come l’interdetto e la partizione tra ragione e follia. In effetti, se ci si pone a livello di una proposizione o di un discorso in generale, la partizione tra vero e falso non sembra arbitraria, né modificabile o istituzionale. Ma in realtà, ponendosi ad un livello differente, analizzando, su larga scala, come sia stata considerata nel corso dei secoli tale opposizione, allora ci si ritrova di fronte ad un altro sistema di esclusione, anch’esso storico, modificabile e istituzionalmente costrittivo. Si tratta dunque di una volontà di verità che, attraverso i nostri discorsi e in diversi tempi e diverse circostanze , è mutata; tuttavia essa ha continuato a esercitare una costrizione e una delimitazione dei discorsi.

L’opposizione tra vero e falso è dunque una partizione storicamente costituita, poiché il criterio di scelta della verità dei discorsi è cambiato nel corso della storia. All’epoca della sofistica e dei suoi inizi con Socrate, il discorso efficace, rituale, carico di poteri e pericoli si è allineato sulla partizione tra discorso vero e discorso falso. Il concetto stesso di verità è mutato nel corso della storia. I sofisti del V secolo a.C. introdussero il relativismo conoscitivo, mettendo in crisi il rapporto tra linguaggio, verità e realtà. Anticamente si credeva che su ogni argomento esistesse un unico punto di vista vero ed un unico discorso capace di esprimerlo. I sofisti invece ruppero questo rapporto univoco tra linguaggio e realtà sostenendo che ogni situazione può essere analizzata da un’ottica diversa e dare quindi origine ad un discorso differente. Da questo punto di vista ogni verità è relativa e il discorso vero ed efficace non è più solo quello le cui parole coincidono con La Realtà e La Verità. Così l’efficacia e il potere del discorso non derivano più dal suo rapporto univoco con il referente. La retorica come arte del ben parlare divenne l’arte della suggestione e della persuasione, dunque sede del potere e dell’efficacia dei discorsi. Per i poeti e i filosofi greci del VI secolo, il discorso vero era il discorso pronunciato da chi di diritto, secondo il rituale richiesto; era il discorso che diceva la giustizia; era il discorso a cui bisognava sottomettersi. Ma il concetto di verità continuò a cambiare. La verità non si trovò più in quel che il discorso era o in quel che faceva, bensì in quel che diceva: la verità si è spostata dall’atto ritualizzato, efficace e giusto, d’enunciazione, verso l’enunciato stesso: verso il suo senso, la sua forma, il suo oggetto, il rapporto con la sua referenza. Aristotele (384-322 a.C.) si oppose al relativismo dei sofisti esprimendo l’impossibilità logica di affermare e negare nello stesso tempo uno stesso predicato intorno a uno stesso oggetto. Il principio di non contraddizione divenne criterio di riconoscimento di un discorso vero. Inoltre Aristotele ritrovò un legame tra pensiero, discorso e realtà (essere), dicendo che la verità è nel pensiero o nel discorso, non nell’essere o nella cosa; ma, allo stesso tempo, la misura della verità è l’essere o la cosa, non il pensiero o il discorso. Il criterio di verità dei filosofi stoici (IV°secolo a.C), rimise ancora in primo piano il legame tra il discorso vero e il rapporto con il suo referente. Infatti essi distinguevano la concludenza (formale) di un ragionamento dalla sua verità materiale. Infatti, mentre la concludenza presuppone soltanto un rapporto schematicamente corretto fra le premesse e la conclusione, la verità comporta anche una precisa corrispondenza a determinate situazioni di fatto.

Dunque nel corso dei secoli e attraverso i discorsi e i sistemi di pensiero la linea di confine tra vero e falso si è spostata. Da un lato si è considerato il discorso vero come quello che ha corrispondenza nella realtà; da un altro lato, il discorso vero è stato il discorso efficace, coerente, che segue alcune regole in determinate situazioni. Anche qui si hanno criteri interni ed esterni ai discorsi per giudicare la loro verità o falsità. Una posizione del tutto diversa presero i filosofi scettici del III° secolo a.C.. La volontà di verità in questo ambito di ricerca filosofica mutò rispetto ai sistemi di pensiero precedenti, impegnati nella ricerca del vero. Nell’ambito della filosofia scettica non esisteva un criterio di determinazione del discorso vero e di ciò che è verità, in quanto si pensava che l’uomo non potesse accedere alla verità delle cose.

Facendo un passo avanti nella storia vediamo che la partizione tra vero e falso come sistema di esclusione prese nuove forme. I concetti e i pensieri del passato e della filosofia greca hanno certo dato la forma generale alla nostra volontà di sapere. Ma essa non ha per questo cessato di spostarsi: le grandi mutazione scientifiche possono essere viste come conseguenze di una scoperta, ma possono anche venire lette come nuove forme della volontà di verità. Ovviamente il concetto di volontà di verità del XIX secolo non coincide con la volontà di sapere di un’altra epoca o di un’altra cultura. La volontà di sapere si distingue in tempi diversi per le forme messe in gioco, i differenti campi di oggetti a cui si rivolge, per le tecniche che utilizza e così via.

Nel corso del XVI secolo d.C. apparve una volontà di verità che per certi versi anticipò le forme che essa prende nella nostra epoca. Infatti nacque e prese forma una nuova scienza dello sguardo, dell’osservazione, dell’accertamento; si diffuse una sorta di filosofia naturale radicata su nuove strutture politiche e tecniche. Si trattava di una volontà di sapere che designava i piani d’oggetti possibili, catalogabili, misurabili, che imponeva al soggetto conoscente una determinata posizione, un certo sguardo e una funzione. Tutto questo pose le basi per un nuovo modo di fare scienza, che determinava a quale livello tecnico sarebbero dovute arrivare specifiche conoscenze per essere considerate verificabili e utili. Facendo riferimento alla rivoluzione scientifica a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento che vide come protagonisti scienziati quali Galileo Galilei e Copernico, vediamo nascere una nuova concezione di ciò che può essere considerato un discorso vero e di ciò che invece non è verificabile. Con l’introduzione di nuove tecniche e nuovi metodi scientifici, la verità della scienza non era più la verità che si basava sull’autorevole parola e sugli scritti di antichi maestri (Aristotele, Tolomeo). In questo periodo storico si è creata una nuova partizione tra vero e falso. La garanzia della veridicità di un discorso scientifico non derivava più dall’autorevolezza di chi lo pronunciava; il discorso vero ed efficace non era più solo quello pronunciato da chi di diritto e sancito dal senso comune. La volontà di verità prese nuove forme. Il discorso vero divenne quello basato sull’osservazione, verificato attraverso strumenti tecnici ed esperimenti; tornava dunque in primo piano, ancora una volta, il legame del discorso con la sua referenza. Inoltre Galileo sottolineò la possibilità per l’uomo di conquistare progressivamente la conoscenza della verità attraverso un ragionamento discorsivo. Egli rimise in campo la corrispondenza tra pensiero ed essere, la conformità tra ciò che la scienza sostiene e il mondo qual è veramente. Attraverso questi concetti, si è formata una volontà di verità basata su una concezione realistica della conoscenza.

Sulla base dei nuovi concetti di scienza e verità si fece strada, nel XIX secolo, un’ideologia positivista nella quale ritroviamo l’opposizione tra vero e falso in nuove forme. Infatti, con l’avvento della società industriale e la nascita della scienza moderna, troviamo ancora quella volontà di verità come sistema di esclusione istituzionalmente costrittivo. L’ideologia positivista (appoggiandosi anche sulla filosofia Kantiana che vedeva nel mondo fenomenico l’unica realtà accessibile alla conoscenza umana) riconosceva la verità solo in ciò che si fondava sul metodo sperimentale della scienza moderna. La verità non risiedeva in un concetto astratto di conoscenza (veniva rifiutata la filosofia metafisica), ma sui fatti, sulla conoscenza sensibile. L’osservazione divenne criterio di verifica di un discorso e di ogni conoscenza. Non veniva dunque negata alla mente umana la possibilità di accedere alla verità, ma la stessa verità risultava limitata alle cose sensibili. Dunque il criterio di verità divenne l’esperienza. La partizione tra vero e falso continuava a cambiare.

Foucault sottolinea dunque il carattere storico e modificabile della volontà di verità: “E’ come se la volontà di sapere avesse la sua propria storia, che non è quella delle verità costrittive, ma è storia dei piani d’oggetti da conoscere, storia delle funzioni e posizioni del soggetto conoscente, storia degli investimenti materiali, tecnici,strumentali della conoscenza”. Nel corso dei secoli cambia il criterio di verità, cambiano gli oggetti della conoscenza, cambiano le funzioni dei soggetti conoscenti. Tutto questo costituisce un sistema di limitazione del discorso che continua, in nuove forme, ad agire nella nostra società.

La volontà di verità poggia su un supporto istituzionale. Essa si fonda su pratiche istituzionalmente riconosciute come la pedagogia,che comprende i sistemi di insegnamento e i modi di fruizione della conoscenza. La volontà di verità è inoltre confermata dal sistema dei libri, dall’editoria, dalle biblioteche; essa è rinforzata da un insieme di sistemi che rendono socialmente costrittiva la partizione tra vero e falso. In particolar modo, la volontà di verità si ritrova nel modo in cui il sapere è messo in opera in una società, nel modo in cui è distribuito e valorizzato. In questo modo la volontà di verità esercita su tutti gli altri discorsi una pressione e una sorta di costrizione. In ogni ambito della conoscenza e in ogni epoca,i discorsi che vengono pronunciati o scritti devono far riferimento alla partizione tra vero e falso, al concetto di verità all’interno della società. Ad esempio la letteratura occidentale ha dovuto per secoli cercare sostegno sul naturale, ha dovuto far riferimento al verosimile, trovare conferma sulla scienza; in generale ha dovuto fondarsi sul discorso vero. Allo stesso modo molte altre pratiche e scienze hanno dovuto trovare legittimazione e giustificazione sul discorso della verità. Il sistema penale ha cercato di fondarsi dapprima su una teoria del diritto e, a partire dal XIX secolo, su un sapere psicologico, medico, psichiatrico. Ogni discorso dunque, per essere confermato e riconosciuto, deve fondarsi sul concetto di verità. In questo, la partizione tra vero e falso gioca un ruolo importante di delimitazione dei discorsi. Infatti, anche altri sistemi di esclusione sopra citati, come l’interdetto e la partizione tra ragione e follia, fanno riferimento all’opposizione tra vero e falso. In conclusione, ogni discorso è attraversato da una volontà di verità che muta nei secoli e nelle società, una volontà di verità che esercita un potere nei discorsi e che costituisce un sistema storico e modificabile. “ Il discorso vero non può riconoscere la volontà di verità che lo attraversa; e la volontà di verità, quella che si è imposta a noi da moltissimo tempo, è siffatta che la verità che essa vuole non può non mascherarla” (M.Foucault).


Ielo Serena (114696) FSCC

Bibliografia

M.Foucault (2004) L’ordine del discorso, Torino, Einaudi

Abbagnano N.- Fornero G.(1999) Protagonisti e testi della filosofia, Milano, Paravia

De Bernardi A.(2004) Tempi dell’Europa tempi del mondo, Milano. Mondadori