modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

mercoledì 1 settembre 2010





“Il desiderio dice: Non vorrei dover io stesso entrare in quest’ordine fortuito del discorso; non vorrei avere che fare con esso in ciò che ha di tagliente e decisivo; vorrei che fosse tutt’intorno a me come una trasparenza calma, profonda, indefinibilmente aperta, in cui gli altri rispondessero alla mia attesa e in cui le verità, ad una ad una, si alzassero; non avrei che da lasciarmi portare, in esso e con esso, come un relitto felice.
E l’istituzione risponde: Non devi aver timore di cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è nell’ordine delle leggi; che da tempo si vigila sulla sua apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo disarma; e che, se gli capita d’avere un qualche potere, lo detiene in una grazia nostra, e nostra soltanto”.


Questo testo è tratto da “L’ordine del discorso” di Michel Foucault che rappresenta l’inquietudine nell’iniziare un discorso sia questo pronunciato o scritto. Questa nostra paura dipende dal fatto che la materiale esistenza del discorso è destinata a cancellarsi, ma la sua temporalità sfugge purtroppo al nostro controllo. Spesso non si pensa adeguatamente ai poteri dei discorsi, già con i greci del VI secolo il discorso proferito da chi di diritto creava rispetto e terrore, un secolo più tardi invece la verità del discorso si sposta da ciò che era a ciò che diceva, dall’atto ritualizzato verso l’enunciato stesso. Proprio nel periodo d’Esiodo e Platone che si stabilisce la separazione tra il discorso vero e falso; è una nuova spartizione, poiché il sofista è cacciato ed il discorso non è più prezioso e desiderabile poiché non è più legato al potere.
Il termine testo deriva dalla parola latina “textus” che vuole significare intrecciato, tessuto. Il testo a differenza di quanto si pensa è in realtà ogni atto comunicativo in una lingua, è qualsiasi avvenimento che tentiamo di dare interpretazione, questa è uno dei tratti tipici degli esseri umani in quanto semiotici.
Dopo aver raccolto tutti i dati, l’essere uomo s’interroga sul loro significato, noi esercitiamo un’interpretazione quotidianamente, anche se non c’è ne rendiamo conto. Gli umani si chiedono lo scopo sociale, cosa si vuole costruire con gli altri esseri, continuamente durante il giorno diciamo cose affinché gli altri c’interpretino. Ponendo come esempio il modello postale della comunicazione ci rendiamo conto che non vi è interpretazione, il già citato è diviso, infatti, in mittente, messaggio e ricevente, delineando cosi operazioni più destinate ad una macchina che ad un essere umano. Per quanto riguarda gli animali non c’è interpretazione, prendiamo per esempio il gatto se insegue un topo non si mette a riflettere, dubbi potrebbero sorgere nel caso degli scimpanzé che rappresentano un esempio diverso, infatti spesso questi animali vengono linguisticizzati, questo spiega l’azione dell’indicare gli oggetti da parte di questa specie nonostante questo atto sia tipicamente umano ed usato per condividere e comunicare con gli altri. L’atto d’interpretazione degli indizi è un’attività di categorizzazione e di riconoscimento come appartenente ad una classe. L’interpretazione come ho spiegato è qualcosa legato allo stare insieme con gli altri, tornando a parlare dell’esempio dei gatti essi sono divisi in raggruppamenti seriali, non stanno seduti insieme come in una comunità e lo stare insieme tra gli uomini è caratterizzato dal parlarsi. La nostra comunità pensa alle cose in un certo modo, noi accompagniamo le nostre azioni con le parole, osserviamo noi stessi, ci raccontiamo cosa facciamo, ne sono esempio più evidente i bambini che durante la fase del gioco verbalizzano le azioni che compiono. La nostra vita è raccontabile perché noi siamo in grado di raccontarla.
Voglio fare un breve cenno al linguista Ferdinand De Suassure, egli sostiene che il fenomeno linguistico presenta eternamente due facce, la lingua ha un lato individuale e uno sociale e non si può concepire l’uno senza l’altro. La lingua è sia stabile sia in evoluzione. Un segno linguistico è formato da immagine acustica e concetto, il linguista porta l’esempio dell’increspatura che si forma tra aria e acqua, proprio quella rappresenta la lingua. Il legame tra significato e significante è in parte arbitrario, noi intendiamo affermare che è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al significato, il quale non ha in realtà alcun legame naturale. Ogni modo d’espressione ereditato in una società poggia in linea di principio su un’abitudine collettiva, una convenzione. L’opera di Propp può essere considerata in conformità a ciò che è stato espresso da Suassure un lavoro sincronico, il linguista oltre a tale piano individua quello diacronico quest’ultimo aspetto è legato alla storia e all’evoluzione di una lingua.
Secondo Emile Benveniste "prima dell'enunciazione, la lingua non è che possibilità di lingua" (BENVENISTE, tr.it.1985, 99). Con l'atto dell’enunciazione, la lingua è quindi resa effettiva in un'istanza di discorso emessa da un locutore, in rapporto alla lingua l’enunciazione rappresenta un processo di appropriazione. In ogni enunciazione vi deve essere un destinatario ovvero il “tu”, chi prende la parola indica la propria presenza con il pronome "io". Altri indicatori sono il dimostrativo "questo" e l'avverbio "qui", si riferiscono a oggetti e luoghi dell'enunciazione. Il "tu" è necessariamente legato all'io e non è possibile pensare ad un "tu" senza un "io", l’opposizione tra i due è stata chiamata da Benveniste “correlazione di soggettività”.
Per quanto riguarda il pronome di terza persona, esprime la non-persona, l’io e il tu sono unici e specifici invece la terza persona può riferirsi ad un’infinità di persone o a nessuno.
“Il testo è un tessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perché il testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario […]. In secondo luogo perché, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa […]. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare” (Eco, 1979, p. 52). Queste sono parole d’Umberto Eco. Egli considera il testo come una “macchina pigra” e solo grazie alla cooperazione del lettore riesce a realizzarsi pienamente. L’autore del testo attua una serie di strategie per far sì che il suo lettore arrivi a comprendere nel modo più opportuno il significato del testo, questo è chiamato da Eco autore modello. E’ definito invece lettore modello: “un insieme di condizioni di felicità, testualmente stabilmente, che devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente attivo nel suo contenuto potenziale” (ivi, p.62).
Eco divide i testi in aperti e chiusi, il primo citato è aperto ad una pluralità di letture invece il secondo ammette una sola interpretazione. Egli nel “lector fabula” definisce uso e interpretazione, con il primo intende interpretare il testo senza riguardo per ciò che effettivamente dice, al contrario dell’interpretazione che invece rispetta il testo.
“La nota frase dei critici di opere artistiche: questo nella vita non succede, presupponendo che la realtà sia rigidamente limitata dalle leggi della casualità logica, mentre l’arte sia il dominio della libertà. I rapporti fra questi due sono elementi sono molto complessi: l’imprevedibilità dell’arte è allo stesso tempo conseguenza e causa dell’imprevedibilità nella vita”, questo testo è tratto in “cultura e l’esplosione” di Lotman che lega l’imprevedibità dell’arte all’imprevedibilità della vita. Altro aspetto interessante dello stesso autore è il poliglottismo artistico ovvero le influenze reciproche tra le varie arti- esempio, il linguaggio pittorico influenza il teatro, il cinema influenza il romanzo- “Proprio la diversità dei vari principi di assimilazione del mondo rende i diversi aspetti dell’arte reciprocamente indispensabili”.
Tra gli obiettivi del “l’ordine del discorso” vi è quello di volontà di verità, restituire al discorso il suo carattere d’evento, togliere la sovranità al significante. Proprio del primo mi soffermerò a parlare. Ritengo utile ai fini di questo discorso qualche breve cenno su l’opera di Foucault, l’ordine del discorso, è un testo della lezione inaugurale pronunciata il 2 dicembre del 1970 al Collège de France (dove Foucault fu docente). All’ordine del discorso sono affidati dagli esordi a circa tredici anni di ricerca e lavoro svolti sempre all’interno del Collegè che mostrano strumenti e materiali di lavoro e pensiero che inaugurano una nuova dimensione della ricerca.
Il Collegè come detto P. Valery ad un ufficiale tedesco è un luogo “in cui la parola è libera” e “coraggio della verità” proferita davanti al potere, questo segnerà un’avventura straordinaria per Foucault.
La volontà di verità come gli altri sistemi d’esclusione enunciati da Focault poggia sul supporto istituzionale e ciò è senza dubbio riconfermato dal modo in cui il sapere è messo in pratica in una data società (procedura d’esclusione è quello del vero contro falso). La volontà di verità imprigiona i discorsi in una sorta di costrizione e di pressione. Prendendo in considerazione la cultura occidentale per anni ha dovuto riferirsi al naturale, al verosimile per essere considerata vera.
Il discorso del folle (fa parte della procedura d’esclusione) nel medioevo era considerato nullo, senza effetto, non avendo a che fare con la verità e con l’importanza. Al folle visto il modo in cui era trattato la parola era concessa solo simbolicamente, presentava una verità colla maschera come nel teatro. Nella nostra società il discorso del folle non è più considerato nullo, ma ci mette in agguato cercando un senso, quindi nella nostra società agisce secondo nuove istituzioni e creando nuovi effetti. Il discorso del folle è libero, poiché nei nostri discorsi sono mascherati i desideri che la nostra società ci proibisce di manifestare (Freud). La psicoanalisi dimostra, infatti, che il discorso non è solo ciò che si manifesta o nasconde il desiderio, i sistemi di dominazione del potere, ma anche il modo in cui si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi.
Occupandomi di verità voglio accennare ad un pensiero di Roland Barthes espresso nel libro “Il piacere del testo” che trovo rilevante ai fini del mio lavoro e che può essere inserito con l’argomento già trattato qual è il testo. Barthes sostiene un aspetto che spesso non prendiamo in considerazione il fatto che trattiamo le parole come realtà. L’autore pone un parallelismo con S. Freud riferendosi al bambino che è ha conoscenza che la madre non ha il pene, ma nello stesso tempo si convince che n’abbia un coso sono per noi le parole.
Altro testo di Foucault di cui voglio parlare perché utile al mio discorso è “Le parole e le cose”, dove l’autore traccia il filosofo Kant come chi ha realizzato la definitiva chiusura dall’episteme classica e l’emergere di quelle nuove empiricità quali la vita, il lavoro e il linguaggio.
La modernità vuole smitizzare il passato, nell’episteme greco non si trattava di far corrispondere la conoscenza all’oggetto, il contesto empirico aveva valore, ma la conoscenza racchiudeva un altro senso di verità. Platone riteneva che le verità precedessero l’uomo, la verità è eteronoma ed esterna all’essere umano, questo ultimo è nel vero solo se partecipa a tale verità. Si parla di una conoscenza sensibile e di una verità come prodotto del mondo sovrasensibile. Per noi la verità è un prodotto della nostra ragione, Cartesio con il “cogito ergo sum” (penso dunque sono) deduce quasi dal pensiero l’esistenza, la verità non è qualcosa d’esterno a noi ed è controllabile attraverso il cogito.
La modernità segna il passaggio da verità eteronome a verità autonome (orientate verso il soggetto). Per Kant noi ci costruiamo il mondo, abbiamo proprio la capacità concettuale di crearlo, in questo modo è il mondo che si deve adattare a noi. Per il filosofo i concetti senza esperienza sono vuoti, l’esperienza senza i concetti è cieca. Kant compie all’interno della filosofia la cosiddetta rivoluzione copernicana passando da una ragione esterna al soggetto (cosmica per Platone) ad una ragione soggettiva. Kant sostituisce quindi all’idea classica già enunciata una dipendenza dell’oggetto al soggetto, il principio secondo cui è la sintesi a priori rende possibile l’inserimento di un oggetto nel campo della conoscenza. La critica kantiana permette di interrogarci sui limiti e il fondamento della rappresentazione, si pone con il filosofo la questione dei rapporti tra ambito dell’empiricità e il fondamento trascendentale della conoscenza, al quale centro si pone sempre il soggetto che riflette imponendo loro i contenuti e l’esperienza. Come si nota proprio con Kant il soggetto uomo è collocato a fondamento di tutte le positività, diventando partendo proprio dalla sua finitudine, la condizione di possibilità della loro conoscenza.
Kant inaugura la “soglia della modernità” come sostiene Foucault, destinata a restare ancorata all’essere umano, in cui il trascendentale e l’empirico si richiamano e s’invertono.
Il corso del 1970-1971 affronta la posizione del soggetto rispetto alla volontà di sapere correlandolo a quello di verità, Foucault prende in esame due modelli teorici: quello aristotelico e quello nietzcheano. Al primo è attribuibile il “naturale desiderio di conoscere” e una concezione della verità come adaequatio, che sarebbero servite per l’essenziale e rimuovere i “giochi di verità” ovvero un sapere che emerge da rapporti di forza determinati, lotte e interessi…
Da Nietzsche, Foucault deriva l’idea di “falsificazioni concertate”, dal conflitto in cui si affrontano interessi, istinti, istituisce la linea di separazione del vero dal falso.
Foucault si è occupato di “ discorso di verità” sono le istituzioni, i medici, ad avere la competenza di definire il folle, vi sono norme tali che definiscono l’individuo come normale o patologico. La storia della verità pone la separazione tra verità e scienza, tra sapere di verità e di conoscenza.
Il sapere scientifico ha la concezione che la verità è presente ovunque e che nessuno sia particolarmente adeguato a denunciarla, alla sola condizione di sapere individuare il momento giusto e gli strumenti adatti a coglierla. La scienza è legata come si comprende al metodo e dalle sue regole. Weber sostiene che nel sapere vero la mia preposizione deve corrispondere al sapere, al criterio enunciato, l’empirista divide tra saperi di fatto e di valore, solo i primi sono scientifici perché come già detto solo questi corrispondono al vero. La ricerca scientifica non mi dal senso delle cose, infatti, tutto ciò che non è visibile esce dalla ricerca.
Nei corsi che vanno dal 1979 al 1982 Foucault, analizza un altro aspetto che egli lega al problema della verità che è quello del potere pastorale. Nel modello di cui abbiamo parlato sono predisposti alcuni elementi governativi delle anime come forma d’obbedienza pura ciò a differenza del cittadino greco non mira al dominio di se, fa quindi del problema dell’individualizzazione un problema capitale legato a quello della verità. Con Descartes come abbiamo visto prende avvio l’oggettivazione della realtà, ciò che resta della spiritualità sarà incorporato all’interno del pastorato cristiano. La verità presuppone come ritiene Foucault una pratica di questa, l’individuo ha delle procedure che permettono di trasformare il logos in ethos, in altre parole trasformare i discorsi veri in principio di comportamento morale.
Alessandra Pellegrino