modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
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Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

giovedì 9 dicembre 2010

Le procedure che controllano il discorso.


Ad occuparsi delle procedure del discorso è stato Paul Michel Foucault nel testo L’ordine del discorso.
Michel Foucault nasce nel 1926 a Poitiers e morì a Parigi nel 1984. I suoi primi interessi si concentrano sulla follia, sulla malattia e come queste si sono costituite come oggetto di scienza (psicopatologia, medicina clinica), analizza i luoghi di internamento in cui si istaura il rapporto tra medico e paziente. Egli segue il percorso che la medicina ha conseguito nel processo di conoscenza del corpo umano, della malattia, della salute e della morte.
Tra le sue opere più famose vi è Storia della follia nell'età classica (1961) e Nascita della clinica (1963).
Foucault ha influenze culturali dalla fenomenologia soprattutto da quella di Merleau-Ponty, dalla psicologia e dalla psicoanalisi sviluppata tra gli altri da Binswanger e l’epistemologia di Canguilmem.
Foucault fu influenzato in seguito dallo strutturalismo senza mai aderirvi totalmente.
Egli inoltre affronta il concetto di episteme delle varie epoche storiche. Per l’autore le varie epoche sono caratterizzate da varie episteme (scienza) in cui operano i saperi e regole inconsce.
Il passaggio da un episteme all’altro non è dettato dal progresso, ma avviene per salti e quindi non risulta spiegabile. Nell'opera Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane (1966) l’autore ritiene che il filosofo Kant sia colui che ha realizzato la definitiva chiusura dall’episteme classica e l’emergere di quelle nuove empiricità quali la vita, il lavoro e il linguaggio. Kant compie all’interno della filosofia la cosiddetta rivoluzione copernicana passando da una ragione esterna al soggetto (cosmica per Platone) ad una ragione soggettiva, egli sostituisce quindi all’idea classica già enunciata una dipendenza dell’oggetto al soggetto. La critica kantiana permette di interrogarci sui limiti e il fondamento della rappresentazione, si pone con tale filosofo la questione dei rapporti tra ambito dell’empiricità e il fondamento trascendentale della conoscenza, al quale centro si pone sempre il soggetto che riflette imponendo loro i contenuti e l’esperienza. Come si nota proprio con Kant il soggetto uomo è collocato a fondamento di tutte le positività, diventando partendo proprio dalla sua finitudine, la condizione di possibilità della conoscenza. Kant inaugura la “soglia della modernità” come sostiene Foucault, destinata a restare ancorata all’essere umano, in cui il trascendentale e l’empirico si richiamano e s’invertono.
Foucault sostiene che è possibile pensare “solamente entro il vuoto dell'uomo scomparso” con spazio non intende solo un’unità che va riempita, ma uno spazio nuovo entro cui pensare. Nietzsche è colui che ha annunciato la morte dell’uomo dal momento che Dio e l’uomo si appartengono a vicenda, definendo cosi un punto nuovo di partenza per la filosofia contemporanea.
Il testo L’ordine del discorso già precedentemente citato, rappresenta la lezione inaugurale pronunciata il 2 dicembre del 1970 al Collège de France. Proprio in questo stesso anno Foucault ricevette la nomina di professore di storia dei sistemi di pensiero, la più prestigiosa istituzione culturale francese, diventando cosi un filosofo di capitale importanza nel panorama internazionale.

“Signor amministratore, miei cari colleghi, sono trascorsi quasi due anni da quando Jean Hyppolite aveva reso partecipi molti di noi, per altro pubblicamente, di un progetto rispetto al quale gli avevo dato il mio pieno consenso. Il destino ha voluto che oggi fossi solo, e proprio nell’occasione della sua morte, a riprenderlo, proponendovi di creare una cattedra di Storia dei sistemi di pensiero.” (pag. 51)

Il nucleo originario del collegè nel quale Foucault insegna risale al 1530, ad istituirlo Francesco I su progetto di Guillaume Budè. La nuova istituzione incontrerà l’opposizione della Sorbonne, visto che il collegè avrà l’esplicita funzione di incunearsi nel sistema delle facoltà delle Università di Parigi, rompendo il monopolio della lingua e di una corporazione. L’istituzione del Collegium è dotata poco più di una cinquantina di cattedre, nel momento in cui una cattedra si rende vacante è l’Assemblea dei professori a decidere i candidati tra i quali il ministero dovrà scegliere per mezzo del decreto presidenziale.
Il collegè come sostenuto da P. Valery ad un ufficiale tedesco è il luogo “in cui la parola è libera” e “coraggio e verità” proferita davanti al potere, questo segnerà un avventura straordinaria per Foucault. Egli si è mostrato modesto nel definire il suo lavoro come una serie “di piste di ricerca, di idee, di schemi, di linee generali” messi a disposizione a chi volesse applicarli o metterli alla prova in altre ricerche.
All’ordine del discorso sono stati dedicati dagli esordi a circa tredici anni di ricerca e lavoro che mostrano strumenti e materiali che proiettano in una nuova dimensione della ricerca.
Tra i temi dell’opera vi è quello della volontà di verità, restituire al discorso il carattere d’evento e infine toglier via la sovranità del significante. Nel testo l’autore pone una complessa riflessione sul potere, sulla costituzione del soggetto moderno e della corporeità. Viene ripreso ancora una volta Canguilhem nel dualismo tra normale e a-normale che regola i sistemi di pensiero della società occidentale. Foucault fa riferimento a Nietzeche definito “filosofo del potere”, egli ha il merito di aver mostrato che ogni discorso insita in sé la volontà di potenza. Ed è Nietzsche ad aver indicato nella genealogia il metodo che permette di individuare i modi in cui i discorsi si generano e scompaiono. Foucault sostiene “ogni società ha il suo proprio ordine della verità, la sua politica generale della verità: essa accetta cioè determinati discorsi, che fa funzionare come veri”. Egli mette in evidenza come sapere e potere siano inseparabili: l’esercizio del potere genera nuove forme di sapere e quest’ultimo al contrario porta effetti sul potere. Per potere Foucault non intende quello che emana un sovrano che genera leggi positive, ma un potere che opera tramite meccanismi anonimi in ogni anfratto della società. Il potere come viene presentato dall’autore è un insieme di rapporti di forza, diffusi localmente. Il potere attua selezioni e interdizioni, impedendo cosi il libero proliferare dei discorsi e originando una società disciplinare che trova espressione in istituzioni come il carcere, l’ospedale, l’esercito, la scuola, dove vengono applicate strategie di controllo del corpo, sanzioni ed esami. Il potere ha il compito positivo di produrre nuovi ambiti di sapere e verità.
Tra le procedure in questione la più evidente è l’interdetto. Sappiamo bene di non avere il diritto di dir tutto, che dobbiamo tener conto delle circostanze. Gli interdetti che colpiscono il discorso rivelano il suo legame con il desiderio e con il potere.
La seconda procedura d’esclusione è la follia. L’autore ha analizzato le forme di credulità che circondano i folli fin dai tempi più remoti, il modo in cui vengono rappresentati nel teatro e nelle opere letterarie. Foucault ha cercato di capire nei suoi studi in che modo i folli fossero riconosciuti, esclusi e internati (in base a quali criteri). Egli ha definito entro quale reticolo istituzionale e di pratiche il folle si trovasse imprigionato. La follia rappresenta una separazione tra gli individui, questa esclusione possiede i suoi criteri, i riti e le sue sanzioni. In seguito interviene la medicina per spiegare e giustificare questa separazione. Nel medioevo il folle era colui che non era come gli altri, la sua parola veniva considerata come nulla e senza effetto, a volte ai folli attribuivano poteri particolari, quello di dire una verità nascosta, di predire il futuro. Il discorso del folle era come una sorta di rumore non avendo un nesso con la ragione, la parola gli veniva concessa solo simbolicamente. Oggi questa partizione agisce secondo linee diverse, attraverso nuove istituzioni e con effetti che non sono affatto gli stessi. Proprio sotto questa luce Foucault inizia a profilarsi un nuovo oggetto di sapere investito all’interno di sistemi complesso di istituzione.
Terza procedura è quella del vero contro falso alla quale l’autore si dedica maggiormente. Questa procedura può anche non essere considerata tale perché a differenza delle altre la costrizione della verità non è né arbitraria, né modificabile, né violenta. Ma se spostiamo su la questione di sapere quale è stata, la volontà di verità che ha attraversato la nostra storia, questa partizione regge la nostra volontà di sapere, da questo punto di vista può essere inserita nel sistema d’esclusione. E’ una partizione quindi legata alla storia. Già nei poeti del VI secolo bisognava sottomettersi al discorso vero pronunciato da chi di diritto. Un secolo più tardi la verità si sposta su quello che il discorso diceva. Si deve al periodo tra Esiodo e Platone la spartizione tra vero e falso. E’ come se a partire da questa spartizione la volontà di sapere avesse la propria storia. Come gli altri sistemi d’esclusione anche questo poggia su supporto istituzionale, questo esercita sugli altri discorsi una sorta di pressione e quasi un potere di costrizione.
Foucalt distingue un gruppo di procedure interne ai discorsi stessi che vogliono padroneggiare la dimensione dell’evento.
Primo tra tutti il commento. Nella nostra società esistono discorsi che “si dicono” che passano con l’atto stesso di pronunciarli e discorsi che “sono detti” e che sono all’origine di atti nuovi (testi religiosi, giuridici). Il testo primario consente di costruire discorsi nuovi, il commento ha come ruolo di dire per la prima volta quello che era gia stato detto e ripetere ciò che non è stato detto. Esso consente di dire qualcosa di diverso dal testo stesso, ma deve pur sempre partire da un testo.
L’autore è un altro tra i principi di rarefazione che è complementare al primo. L’autore è considerato come raggruppamento dei discorsi, come fulcro di coerenza. Questo principio non viene adoperato in tutti i campi (ad esempio nelle ricette) ma di regola nella scienza, nella filosofia, nella letteratura. Nel medioevo l’autore era indispensabile in quanto costituiva fonte di verità: “Ma lei sta parlando dell’autore, come la critica lo reinventa a cose fatte, quanto la morte è venuta e non rimane che una massa ingarbugliata di scartafacci; bisogna pur, allora, rimettere un po’ di ordine in tutto questo; immaginare un progetto, una coerenza, una tematica che si chiedono alla coscienza o alla vita di un autore, effettivamente forse un po’ fittizio. Ma questo non impedisce che vi sia ben esistito, quest’autore reale, quest’uomo che ha fatto irruzione tra tutte le parole usate, portando in esse il suo genio o il suo disordine”. (pg 14- 15)
Altro principio di limitazione è la disciplina. Questa si oppone al principio del commento e dell’autore. Si differenzia dall’autore perché la disciplina è un sistema di tecniche e metodi che costituisce una sorte di sistema anonimo, senza che il senso o la validità sia stata legata al possibile inventore. Si differenzia dal commento perché ogni disciplina deve creare nuovi enunciati.
Foucault descrive un terzo gruppo di procedure che consentono di controllare i discorsi e di determinarne le condizioni della nostra messa in opera. Rarefazione che riguarda i soggetti che devono essere qualificati per poter entrare nell’ordine del discorso. Vi sono discorsi che sono aperti e accessibili a tutti e altre regioni che non sono egualmente penetrabili. L’autore riporta un aneddoto quello dello shogun (nel XVII) che avevo sentito dire che la superiorità europea risiedesse nella matematica. Cosi apprese questo sapere grazie ad un marinaio inglese Will Adams che aveva appreso la geometria da autodidatta. Solo nel XIV secolo vi furono matematici giapponesi. Lo scambio e la comunicazione sono figure positive che operano in un sistema complesso, la forma più visibile di restrizione si può raggruppare sotto il nome di rituale, questo definisce il comportamento, i gesti, le circostanze e i segni che devono accompagnare un discorso (es. quelli religiosi, giudiziari e terapeutici non possono essere dissociati a questa utilizzazione di rituale).
Di funzionamento in parte diverso ci sono le “società di discorso” che proteggono i discorsi e li fanno circolare in uno spazio chiuso.
Le dottrine sembrerebbero l’opposto delle “società di discorso”. La dottrina tende a diffondersi e unicamente mettendo in comune un solo insieme di discorsi, lega gli individui tra di loro e differenziarli per questo da tutti gli altri.
Si parla infine di appropriazione sociale dei discorsi. L’educazione è lo strumento con il quale l’individuo in una società può accedere a qualsiasi discorso, ma tenendo presente ciò ch’essa permette e ciò che vieta.
Foucault rintraccia alcune esigenze di metodo. Queste quattro devono servire da principio regolativi alla analisi: quella dell’evento, quella di serie, quella di regolarità, quella di condizioni di possibilità.
Il primo principio è quello di rovesciamento: quelle figure che secondo la tradizione sembrano svolgere un ruolo positivo (autore, disciplina, volontà di verità) bisogna riconoscerne anche il ruolo negativo.
Altro principio è quello di discontinuità: il fatto che ci siano sistemi di rarefazione non vuol dire che sotto di essi possa regnare un discorso illimitato. I discorsi devono essere trattati come pratiche discontinue, si possono incrociare, affiancare e talvolta anche ignorare e escludere.
Il principio di specificità: il mondo non è complice della nostra conoscenza, ma dobbiamo concepire il discorso come una violenza che facciamo alle cose e proprio in questa pratica trovano la propria regolarità.
Quarto principio è l’esteriorità: si deve partire dal discorso stesso per arrivare alle sue condizioni esterne di possibilità.



Alessandra Pellegrino,
Matricola: 114294