modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

sabato 12 giugno 2010

IL TESTO
di Mariuccia De Vuono

Nel presente lavoro si mettono a confronto le due opere scritte da Michel Foucoult e Roland Barthes, ossia “L'ordine del discorso” ed “Il piacere del testo”, dove si evince che, nonostante siano partiti da basi teoriche dissimili, i due studiosi sono da considerarsi allo stesso modo i precursori di un movimento capace di rompere i canoni tradizionali della testualità, mettendo in discussione in particolare i concetti di autore, lettore e linearità.
Foucault insiste sul fatto che i confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente limitati, perchè esso si trova preso in un “meccanismo di rimandi” ad altri libri e vive solamente nella rete di libri e corrispondenze di significato che si stabilisce tra i testi medesimi.
Barthes parla di una testualità ideale che si manifesta tramite percorsi molteplici, una testualità aperta e sempre incompiuta descritta con termini quali: “collegamento”, “nodo”, “tela” e “percorso”. Tra lo scrittore ed il lettore si crea un apporto fondato su quello che possiamo definire desiderio: il desiderio del lettore di sapere e quello dell'autore di comunicare e di dire all'inquietante discorso della finzione l'unità e la coerenza tipiche di ciò che è reale.


I PUNTO.
Innanzitutto iniziamo col dire cosa intende Barthes per testo. Volendo utilizzare le sue parole diremo che il testo vuole significare:
“Tessuto; ma laddove fin qui si è sempre preso questo tessuto per un prodotto, un velo già fatto dietro al quale, più o meno nascosto, sta il senso (la verità), adesso accentuiamo, nel tessuto, l'idea generativa per cui il testo si fa, si lavora attraverso un intreccio perpetuo; sperduto in questo tessuto – questa tessitura – il soggetto vi si disfa, simile a un ragno che si dissolva da sé nelle secrezioni costruttive della sua tela. Se amiamo i neologismi, potremmo definire la teoria del testo come una ifologia (hyphos, è il tessuto e la tela del ragno)”.
Ed è proprio attraverso questo periodo che si può riassumere il concetto che l'autore ha del testo, egli utilizzando l'analogia con il ragno, considera il testo l'insieme del tessuto e della tela del ragno; dove il “tessuto” non è altro che l'insieme delle parole strutturate in base a delle norme grammaticali della lingua, mentre per “tela” si intendono le parole proprie messe a disposizione al parlante od allo scrittore.
Un testo, per essere considerato tale, deve soddisfare le seguenti specifiche condizioni:
- comprensibilità, ossia il testo deve essere espresso in un codice linguistico noto a chi legge o a chi ascolta;
- completezza, ossia nel testo devono essere presenti tutti gli elementi che lo rendono comprensibile;
- coerenza, ossia il contenuto del testo deve essere strutturato secondo una organizzazione logica di pensiero.
Ogni tipo di testo, quindi, viene ad essere sottoposto ad un vero e proprio “controllo” ed a una “selezione”, insiti nella società, attuati attraverso una sorta di procedure interne o esterne al testo discorsivo, aventi la funzione di limitare i poteri ed i pericoli che l'atto linguistico può nascondere. Ed è proprio di questo che si occupa Foucault nell'”ordine del discorso” dove afferma innanzitutto quanto non sia facile comprendere il testo, infatti esso “va letto e riletto per essere compreso, ma è un esercizio intellettuale stimolante...”. Tra le procedure esterne del discorso Foucault descrive le “procedure di esclusione”, tra le quali la prima è quella dell’interdetto. Chiunque non può parlare di qualsiasi cosa. Vi è un reticolo dal quale è impossibile uscire, vuoi perché l’oggetto del discorso è solo appannaggio di taluni, vuoi per il rituale della circostanza, vuoi perché l’oggetto è “tabù”. Pertanto vi sono regioni del sapere ( la sessualità e la politica innanzi tutto) in cui il buio è più fitto e nelle quali la trasparenza pare non esistere.Tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione (o negazione) di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere. Esso stesso è un potere.
Altra procedura di esclusione (socialmente condivisa) è la partizione (partage e/o rigetto della follia). “E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità”. Opposizione tra ragione e follia. Il discorso del folle non può circolare come quello degli altri. Più che un principio di esclusione l’autore lo definisce, appunto, una partizione: la parola di alcuni viene considerata “nulla”, come se fosse inesistente, è la parola del folle, di nessun valore, perché egli è inesistente per il diritto (non può firmare un contratto), inesistente per la Chiesa (nel rituale della messa non può ricevere la comunione). Il folle fa rumore, non parla. Le parole del folle erano e sono, la manifestazione della sua follia, il luogo in cui si compiva la partizione tra la sensatezza e l’insensatezza. Anche oggi, per Foucault, esistono meccanismi di partizione, che però sono azionati in virtù di nuove istituzioni, con nuovi effetti. Il folle si ascolta e si decifra tramite una rete di psicologi, psicoanalisti, medici (“armatura del sapere”).
Un terzo livello è quello dell’opposizione del vero e del falso (la volontà di verità). Solo che vero e falso sono concetti contingenti alla storia, in continuo movimento, sorretti da istituzioni che usano anche la coercizione per imporre la “verità” accettabile. Non è nel livello della proposizione dove Foucault situa la partizione vero/falso , ma su una scala più ampia, quella che considera la volontà della verità degli uomini lungo il corso della storia. Storicamente, per esempio, l’autore cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica; un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva. Dal vettore al contenuto, si potrebbe dire. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità. Parlando della nostra società, Foucault dice: “…Questa volontà di verità, come gli altri sistemi di esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema di libri…”.
E’ la costrizione della verità che fa paura, è la verità che si fonda sulle Istituzioni, che è sorretta da supporti istituzionali , è la verità “imposta”, è il discorso “vero” perché pronunciato “da chi di diritto”. E’ la “volontà di verità” sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionale che esercita sugli altri discorsi una pressione ed un potere di coercizione. E’ una volontà di verità che va aggirata, perché essa è capace di mascherare il vero.
Ciò che conta, dunque, è come la società valorizza, distribuisce e attribuisce il sapere (e la verità). Il discorso della verità, la volontà di verità, istituzionalmente sanzionata, preme sugli altri discorsi, perché parola del potere. E’ un discorso che non autorizza altre interpretazioni, che giustifica la verità dell’oggi, quella accettata e simbolicamente rappresentata. E’ razionale.
Secondo l’autore è la terza delle procedure di esclusione del discorso, la volontà di verità, che sta nel tempo togliendo spazio ed inglobando le atre due (parola interdetta e partizione della follia). Tuttavia, la volontà di verità non viene problematizzata, le sue procedure non vengono riconosciute. Perché?
La congiuntura sopra evocata – quella del passaggio dalla verità del discorso in quanto desiderio di verità che esercita il potere (ritualizzazione dell’enunciazione del discorso) alla verità del discorso in quanto enunciazione del vero, in quanto contenuto enunciato – ha mascherato con una patina di verità la volontà di verità, sicché essa diviene difficile da interrogare. Se un discorso è vero, perché chiedersi se lo è? Chi ha il potere di dire che la verità non è vera perché figlia di una volontà di verità storicamente e culturalmente plasmatasi?
Le procedure d’esclusione, dunque, concernono il desiderio ed il potere. Oltre a queste, esistono altre procedure di controllo e delimitazione del discorso. Se le procedure di esclusione sono procedure attuate dall’esterno, vi sono anche procedure interne al discorso, ovvero i discorsi tendono a controllarsi. Sono procedure che funzionano come principi di classificazione, d’ordinamento e di distribuzione che vogliono padroneggiare una dimensione del discorso che Foucault chiama dell’evento (évenemént) e del caso.
Tra le procedure interne di controllo del discorso Foucault descrive:
a) Il commento.
Per l’autore nella società esiste un dislivello tra i discorsi: quelli che “si dicono” ma che non restano, passano nel momento in cui vengono enunciati; e quelli che “restano”, che originano nuovi atti, che vengono ritualmente trasmessi, che variano, che vengono ripresi o citati (esempi forniti per il nostro sistema culturale: testi religiosi e giuridici, letteratura, libri scientifici). Le categorie non sono immodificabili: quello che oggi si commenta domani sarà dimenticato. Ma la funzione resta, per Foucault. Dunque, tra i testi primitivi (primari) e quelli di commento vi è una relazione per cui i primi possono tornare, ritualizzarsi, moltiplicare il proprio senso. Si possono, allora, costruire nuovi discorsi. Il commento deve dire per la prima volta quel che era stato detto e che non era stato detto. Il commento è un discorso che non nasce dal caso, parte da un testo, dice cose anche diverse, ma ripropone il testo di partenza. Nel commento il “nuovo non è in ciò che è detto, ma nell’evento del suo ritorno”.
Il commento limita il discorso, lo controlla, lo fossilizza:
“ l’indefinito spumeggiare dei commenti è lavorato dall’interno dal sogno di una ripetizione mascherata. Al suo orizzonte, non vi è forse nient’altro che ciò che era al suo punto di partenza, la semplice recitazione. Il commento limita il discorso col gioco di una identità che ha la forma della ripetizione”.
b) L’autore.
Foucault non intende per autore chi scrive o recita un testo, ma “l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità di origine dei loro significati”. La funzione dell’autore trascende la presenza e la materialità di chi realmente scrive un’opera; a seconda delle epoche in Europa l’autore ha conferito status di verità alla propria opera solo in virtù della sua firma, oppure non si è preoccupato di rendere nota la sua identità, come per i testi letterari del Medioevo. L’autore sceglie le parole che dovranno forse comporre un’opera che resterà, e propone nella quotidianità altre parole, che invece cadranno. Credo che la funzione dell’autore implichi la fase del commento, che ripete ciò che esiste in salsa nuova. Il principio dell’autore, invece, limita il discorso alla sua individualità, cerca di dare coerenza alle infinite possibilità del linguaggio.
c) La organizzazione delle discipline.
La disciplina è un insieme di metodi, un corpus di proposizioni considerate come vere. Essa ha una funzione restrittiva del discorso perché non accetta in sé quello che non è metodicamente accertato secondo la propria organizzazione interna, neanche se il postulato nuovo risultasse vero esso troverebbe la strada sbarrata dalla dogana della organizzazione precostituita che forma l’essenza di una tal disciplina. In questo senso l’organizzazione della disciplina limita dall’interno il discorso. La disciplina, o meglio l’organizzazione delle discipline, richiama principi diversi da quelli del commento e della funzione dell’autore. La disciplina non è individualizzante, è definita da un campo di oggetti e di metodi, è non è ripetitiva, ma al contrario è propositiva, necessita di nuovi enunciati. Però non tutto quello che può essere detto di vero costituisce il patrimonio di una disciplina, perché in una disciplina convergono anche errori che poi avranno una funzione propositiva, e poi la verità, in una specifica disciplina, deve essere esposta secondo regole determinate con contenuti determinati (strumenti concettuali o tecnici, metafore accettabili). Per l’autore, “la disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso”. Lo fa riattualizzando le regole per cui una proposizione può dirsi “nel vero”, appartenente a buon diritto ad una disciplina, se ne condivide i campi teorici.

Un terzo gruppo di procedure di controllo del discorso colpisce le condizioni di messa in opera dei discorsi, e quindi limitano (e selezionano) gli individui che vogliono tenerli (i soggetti parlanti). Non tutte le regioni del discorso sono alla portata di tutti, perché appesantite da sistemi di regole e condizioni per la loro attuazione. Foucault dice che lo scambio e la comunicazione sono “figure positive che operano all’interno di sistemi complessi di restrizione”, da cui non sono indipendenti. Il rituale è un sistema di costrizione che implica comunicazione: il rituale definisce le qualità che deve avere l’officiante (che deve agire, muoversi e parlare secondo formule convenzionali, dunque restrittive); determina l’efficacia del discorso su coloro che ascoltano e impone dei limiti. Le proprietà del parlante determinano dunque chi può officiare in rito e chi no.
Altri esempi di limitazione del soggetto parlante:
- le società di discorso: fanno circolare i discorsi in ambienti “chiusi”;
- le dottrine: assoggettano bidirezionalmente soggetti parlanti e discorsi;
- l’appropriazione sociale dei discorsi: l’educazione distribuisce divieti e permessi segnati dalla distanza tra le classi sociali. Per Foucault “ogni sistema di educazione è un modo politico di mantenere o di modificare l’appropriazione dei discorsi, con i saperi ed i poteri ch’essi comportano”.
In conclusione, i soggetti parlanti non possono accedere a tutti i tipi di discorso, e non tutti i tipi di discorso sono fatti propri dai gruppi sociali. Questi sono i sistemi di assoggettamento del discorso.

II PUNTO.
Barthes distingue due tipi di testo: il testo di piacere e quello di godimento.
Il testo di piacere è quello che appaga, che soddisfa, che dà euforia. Il piacere della lettura non è dato solo dalla correttezza delle forme grammaticali, così come il piacere fisico non è dato soltanto dal soddisfacimento di un bisogno fisiologico. Il piacere è invece dato dall'aspettativa che le parole riescono a creare nel lettore, dal fatto che qualunque cosa si dica del piacere, sarà una introduzione a ciò che non sarà mai scritto. Di un testo se ne può parlare, attraverso la critica od il commento. La critica è per usare le parole dell'autore “entrare nella perversione dello scrittore, osservare di nascosto, quasi clandestinamente il suo piacere”. Del commento invece, come detto sopra, ne parla Foucault: “il commento scongiura il caso del discorso assegnandogli la sua parte: esso consente certo di dire qualcosa di diverso dal testo stesso, ma a condizione che sia questo testo stesso ad essere detto e in qualche modo compiuto”. Vi sono quindi dei discorsi, che passano con l'atto stesso del pronunciarsi, mentre altri che invece sono alla base di altri enunciati che da un lato riprendono un testo già scritto, dall'altro dicono con parole nuove e nuovi contenuti ciò che era già stato espresso nel testo originale.
Il testo di godimento è quello che mette in stato di perdita, che sconvolge il lettore fino a fargli perdere la consistenza del proprio io. In questo caso si ha un carattere asociale di godimento. Questo tipo di testo è un testo insostenibile, impossibile, perchè è un testo fuori – piacere, fuori – critica, fuori dall'ordinario, cioè è atipico. Di un testo sì fatto non si può parlare, se non attraverso un altro testo di godimento, scrivendo nello stesso modo. Il godimento è l'eccezione della regola, la ribellione, la novità, è il piacere fatto a pezzi e non arriva al momento giusto, né giunge piano piano a maturazione, ma è una foga che si scatena tutta in una volta sola. Il godimento è perciò la scossa che precede il piacere, la fonte da cui quest'ultimo ha origine.

III PUNTO.
Il testo è composto da quello che Barthes chiama “immagini del linguaggio”: la parola, la scrittura, la frase.
La parola è intesa come unità singola, come strumento o segno grazie al quale abbiamo la possibilità di esprimere un pensiero. Foucalt sostiene infatti che un atto discorsivo è “un pensiero rivestito dai segni e reso visibile dalle parole”. Per portare avanti il suo lavoro, Foucault spiega i principi metodologici che intende seguire:
- principio di rovesciamento: autore; disciplina; volontà di verità non sono fonti da cui il discorso fluisce libero e si moltiplica, ma fattori restrittivi di rarefazione del discorso.
- principio di discontinuità: autore; i discorsi sono pratiche discontinue, che si intrecciano, affiancano ma anche ignorano ed escludono. Non esiste una volta svelati i meccanismi di rarefazione del discorso, un mondo del non – detto da portare alla luce.
- principio di specificità: il discorso non spiega la natura del mondo e delle cose, è invece una pratica che si impone alle cose, non è una decifrazione meccanica del mondo. Il discorso, però, rende regolari gli eventi.
- principio dell’esteriorità: partire dal discorso per cercarne le possibilità esterne che l’hanno reso ciò che è (limitandolo), non decifrarne un possibile contenuto interno.
La scrittura è la traslitterazione della parola. Barthes la definisce come “la scienza dei godimenti del linguaggio, il modo in cui le parole vengono distribuite all'interno del testo”. Si può scrivere secondo due criteri: conformandosi e seguendo adeguatamente i canoni stabiliti dalle scuole, dalle buone maniere, dalla cultura, oppure si può scrivere utilizzando un metodo di scrittura mobile, vuoto, pronto a cambiare per assumere qualsiasi effetto l'autore voglia dargli. Si vedono così contrapposti due modelli di scrittura: il primo che ha come base la cultura, il secondo che invece mira a distruggere la cultura stessa. Il piacere del testo è dato da una via di mezzo tra questi due modi di scrivere. La tecnica che maggiormente attrae il lettore è la suspance, una improvvisa rottura del racconto che si spiega progressivamente e che fa crescere la voglia di sapere, la volontà di verità di cui parla Foucault.
La frase è la misura logica di un discorso, quando è compiuta, rende compiuto anche il discorso stesso. La frase è gerarchica, al suo interno si riscontrano infatti delle reggenze e delle subordinazioni. Barthes la paragona al “gioco degli scacchi: immutabile per quanto riguarda la struttura, ma infinitamente rinnovabile nel suo contenuto”.

martedì 8 giugno 2010

michel foucault e il fascismo

L’analisi del discorso, la strategia che orienta la ricerca di Michel foucault (1926-1984) , muove dall’inquietudine suscitata dal proliferare dei discorsi nella cultura occidentale. Le procedure di controllo, selezione, organizzazione, distribuzione della produzione del discorso avrebbero infatti la “funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante temibile materialità” (Foucault 1970, p. 12). All’inquietudine che suscita il proliferare dei discorsi risponde un insieme di condizionamenti, restrizioni, interdetti, procedure di legittimazione ed esclusione altrettanto inquietante, in quanto appare come il prodotto dalla volontà di verità che anima il costituirsi dei diversi ambiti del sapere con tutte le discipline, le istituzioni, i ruoli, le pratiche che vi si connettono (psichiatria, manicomio, medicina, clinica, diritto penale, prigione, archivio etc.).
In questa prospettiva la volontà di verità non appare solo arbitraria e contingente come altre procedure di interdetto, ma come l’ordine dissimulato che le regola tutte. Scrive Foucault: “credo insomma che questa volontà di verità, così sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionali, tenda ad esercitare sugli altri discorsi una sorta di pressione e quasi un potere di costrizione (Foucault 1970, p. 16). In breve, la questione alla quale l’analisi del discorso deve rispondere è la seguente: “in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito un valore di verità è legata ai vari meccanismi ed istituzioni di potere?” (Foucault 1976, p. 8).
L’analisi del discorso intende mostrare l’ordine – mai semplice e univoco ma sempre differenziato e mobile – che presiede alla produzione dei discorsi, degli oggetti che questi suscitano, delle posizioni soggettive che vi si trovano implicate. È rivolta allo studio della funzione del discorso e non alla sua struttura considerata per se stessa e nemmeno all’identificazione del senso che nel discorso sarebbe celato. Ma soprattutto intende liberare la possibilità del discorso da tutte le istanze di controllo che lo orientano e regolano secondo il criterio della volontà di verità, escludendo quei discorsi che in qualche modo possono perturbare l’ordine costituito, destabilizzare le istanze di potere che l’organizzano a distanza. Per questo, l’analisi del discorso non si occupa solo dei testi considerati canonici, il cui oggetto è esplicitamente tematizzato da un autore e acquisito nell’ambito di un sapere riconosciuto, ma anche e soprattutto di documenti legali, repertori di casi, tabelle statistiche, regolamenti istituzionali, ovvero del discorso anonimo ma efficace in cui è possibile riconoscere il fascio di relazioni complesse e differenziate che lega la possibilità dei discorsi alle istanze di potere.
Non si può cogliere il senso e l’attualità dell’analisi del discorso proposta da Foucault se la si scioglie dalla sua portata politica, dallo spirito di emancipazione che la inquieta, dal lascito di cui si fa carico (in particolare, Nietzsche ). Con L’ordine del discorso (1970), Foucault propone una serie di principi ai quali ispirare l’analisi del discorso per una pratica flessibile: il rovesciamento, la discontinuità, la specificità e l’esteriorità.
Rovesciamento: riconoscere nel ruolo positivo tradizionalmente attribuito alle nozioni di autore, opera, disciplina, volontà di verità delle istanze di controllo e rarefazione del discorso; dei dispositivi che regolano il proliferare dei discorsi secondo limiti, ordine e misura riconoscibili.
Discontinuità: riconoscere che al di là delle istanze di controllo non vi è un discorso unico e semplice, da queste represso, ed al quale bisogna restituire la parola, così come non vi è un’unica istanza di potere che esercita il controllo da un’unica posizione e secondo un unico fine (in questo caso il riferimento critico è il marxismo, ed è proprio in quest’orizzonte che dagli anni Ottanta l’analisi del discorso troverà largo impiego negli studi culturali).
Specificità: il discorso non è semplice rispecchiamento della realtà ma la sua elaborazione. Dal tipo di elaborazione dipende l’integrazione del discorso in un certo ordine o la sua esclusione, la regolarità o rarità delle sue apparizioni in ambiti differenti o contigui.
Esteriorità: l’analisi non si rivolge al discorso quale semplice manifestazione di un significato, di un pensiero da interpretare, ma procede “verso le sue condizioni esterne di possibilità” (p. 30).
La ricerca ispirata a questi quattro principi opera secondo due prospettive diverse ma articolate fra loro: la critica e la genealogia. “Da una parte l’insieme critico che mette in opera il principio del rovesciamento: cercare di individuare le forme dell’esclusione, della limitazione, dell’appropriazione; mostrare come si sono elaborate, in risposta a quali bisogni, come si sono modificate e spostate, quale costrizione hanno effettivamente esercitato, in che misura sono state aggirate. D’altra parte, l’insieme genealogico che mette in opera gli altri tre principi: come si sono formate, attraverso, a dispetto o con l’appoggio di tali sistemi di costrizione, delle serie di discorsi; qual è stata la norma specifica di ciascuna, e quali sono state le loro condizioni di apparizione, di crescita, di variazione” .
L’analisi del discorso sembra offrire strumenti più raffinati per interpretare i fenomeni culturali legati alla contemporaneità: la specializzazione accademica con i suoi effetti di frammentazione e distorsione della diffusione culturale; la televisione quale forma di produzione e istanza di controllo della cultura popolare , e delle identità culturali all’epoca della globalizzazione ; le relazioni di potere che presiedono al discorso scientifico, con particolare attenzione all’affermarsi delle nuove tecnologie; il rinnovarsi delle forme di potere per il controllo dei nuovi media come internet.
Perché ordine del discorso? Aggiungere disordine alla "realtà" già fin troppo caotica viene ritenuto un errore e visto come un processo avanguardistico, lontano dalla normalità e dalla prassi che la società ci propina quotidianamente, anche mediante i sistemi di comunicazione. Non dimentichiamo che Foucault è l'ideatore del Panopticon, carcere di massima sicurezza poi successivamente costruito da Jeremy Bentham che lo descrive come "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista"; a parte i riferimenti orwelliani sulla manipolazione della mente, Foucault traccia un sistema d'esclusione, una tripartizione: interdetto, follia, volontà di verità. Questa tripartizione pone le basi per un'autoregolamentazione del discorso. Non si può parlare di qualunque cosa in un dato ambiente e in una circostanza inappropriata. Quest'idea di Foucault poteva valere negli anni '70 e, in forma minore, persiste anche oggi. Ma dal 1999, da quando 200 milioni di utenti si connettono tra di loro, qualcosa è cambiato. Dalla nascita della rete web c'è una tendenza all'unità e non alla conformazione, ma al confronto e alla condivisione in un progressivo aumento di utenti. Internet (se usato bene) ci garantisce un'informazione oggettiva che in altri sistemi comunicativi ( televisione in primis) è vincolata proprio dall'interdetto di Foucault. Chi ha il potere gestisce il discorso e, quindi, anche l'informazione. "La differenza tra democrazia e dittatura e che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini; con la dittatura non c'è bisogno di perder tempo andando a votare", parole ciniche di Charles Bukowski. La società (almeno quella italiana) è divisa in due tronconi: da una parte ci sono quelli che si lasciano manipolare dal potere, che provano piacere nell'essere comandati, molto vicini all'idea del Panopticon; al contrario c'è una fetta di popolazione che si allontana sempre più da quello che è il potere oggi, che preferisce rimanere al di fuori dai circuiti di assoggettazione.
Ogni forma artistica in qualche modo "innovativa" è stata qualificata come sconfitta in partenza. Basti pensare all' Ulisse di James Joyce, che auspicava un slogamento del linguaggio basato sul flusso di coscienza, e ai commenti poco felici di George Moore: "Questa non è arte; e come cercare di copiare l'elenco telefonico di Londra." Ma in fondo cos'è il disordine in letteratura, se non la distruzione del flusso del discorso? Lo stesso flusso che Pierce definisce come "un filo di melodia che corre attraverso la successione delle nostre sensazioni". Oppure si pensi al cubismo di Picasso setacciato dai franchisti che desideravano meno astrazione e più aderenza alla realtà, dimenticando che arte e originalità vanno di pari passo.
Foucault sosteneva riguardo all'appropriazione sociale del discorso che ogni persona,grazie all'educazione,viene invitata a parlare di determinati discorsi(morali,politici,tecnici etc...) In passato la facoltà di discorso era riservata ad un èlite,ossia la classe dominante o economicamente più facoltosa (aristocrazia,alta borghesia) la quale usava il discorso come strumento di potere per controllare e asservire le masse. Questa situazione,tra alterne vicende,durò sino alla metà dell'800 quando Karl Marx con le sue opere mise seriamente in discussione il primato delle classi dominanti in favore delle masse popolari,dei proletari che sino ad allora erano state tenute in "silenzio" e per le quali Marx invece reclamava il diritto di parola e di conseguenza la partecipazione del proletariato alla gestione della cosa pubblica. Le teorie marxiste fecero sì che le classi popolari acquisissero coscienza del proprio ruolo e perciò rivendicassero diritti sempre maggiori. Nell'900 questa procedura si acuì portando nell'ambito politico e sociale un utilizzo sempre maggiore del discorso alle masse(il contatto diretto con la folla divenne caratteristica di tutti i fenomeni politici del XX sec. dal comunismo di Lenin al fascismo di Mussolini,dalla democrazia di Churchill al movimento di rivendicazione sociale di M. Luther King)facendo sì che ogni partito politico operasse in modo che la sua "voce"giungesse al popolo. Quest'ultimo,sicuro ormai della propria "idoneità" alla facoltà di parola,oltre che ai partiti di massa,ricorse per far sentire la propria "voce" a clamorosi movimenti di protesta quali il '68 ed il '77. Fondamentale per l'appropriazione del discorso è l'educazione poiché questa consente di apprendere determinate norme,determinati valori riconducibili alla morale della società e al sistema politico. Ad amplificare la facoltà di discorso concorsero nel secolo scorso i mezzi di comunicazione di massa quali il cinema,la radio,la stampa e la televisione. Specialmente la tv,oggi, è un esempio di come i mass media determinino l'appropriazione del discorso morale da parte di conduttori mediatici,di gente dello spettacolo,ora che i grandi partiti di massa non esistono più . Alcuni modelli,alcuni modi di pensare e di concepire l'esistenza rischiano di mettere a repentaglio le conquiste ottenute dai popoli a prezzo di dure lotte,in primis la facoltà di discorso,minacciata ora da fini materialistici quali il denaro e la fama.
Un esempio storico dell’ inquietudine suscitata dal proliferare dei discorsi nella cultura occidentale è sicuramente il fascismo .
Il capo indiscusso del fascismo Benito Mussolini era stato un giornalista prima di diventare il duce e conosceva bene il potere del discorso e capi l’importanza del suo controllo in tutti i settori a livello nazionale .
Verità e potere sono il binomio fondamentale dei più influenti movimenti politici che hanno scolpito la storia dell’umanità da quando l’uomo può averne testimonianza, attraverso il fissaggio della lingua in scrittura, attraverso il fissaggio del discorso. La produzione di quest’ultimo è così insita nella sua natura, da impossibilitare l’immaginazione di alcunché al di fuori della stessa realtà che influenza.
Durante il corso del Novecento, il mondo cadde sotto la stretta di poteri politici che seppero conquistare il proprio terreno oltre che con la paura, con la potenza comunicatrice dei loro messaggi, i quali coinvolsero l’opinione pubblica dell’epoca. Dai regimi totalitari e dittatoriali che, nella prima metà del secolo, per la loro bramosia di potere portarono il mondo a scontrarsi in due grandi guerre, che ebbero come risultato nient’altro che stragi di portata fino allora inimmaginabili, all’equilibrio del terrore dell’età atomica, la propaganda politica fu il pilastro fondamentale per la diffusione delle ideologie e per la ricerca dei consensi nella popolazione. Fu proprio attraverso il monopolio dei mezzi di comunicazione, quali la stampa, la radio e il cinema, che questi grandi movimenti politici diffusero i loro credi e proferirono i loro discorsi.La forza dei loro messaggi, unita al clima di terrore quasi velato di silenzio, contribuì enormemente ad accrescere la figura dei loro leader, e con la loro ascesa al potere il controllo completo fu nelle loro mani: controllo totale sulla vita di ogni singolo uomo, sulla loro ideologia politica, il loro credo religioso, i loro corpi, la loro morte. Un potere, che diventando istituzione, stabilì il proprio controllo anche sulla produzione del discorso.Le procedure d’esclusione analizzate da Foucault s’inseriscono perfettamente in questo quadro storico: esse poggiano su di un supporto istituzionale che influisce radicalmente sulla loro forza sfruttandole a suo vantaggio. L’influenza che i regimi totalitari ebbero sulla volontà di sapere è certamente un esempio di costrizione voluta e ben evidenziata, il cui modello si può ritrovare nella descrizione di Foucault circa la verità e l’importanza che il discorso assumeva, già nei poeti greci del VI secolo, quando ad enunciarlo era l'individuo avente diritto secondo il rituale richiesto. I propagandisti fascisti fecero ampio e largo uso degli strumenti scientifici e tecnologici più moderni del tempo, non solo la radio e il cinema, bensì anche la psicologia: di qui l’attenzione ai simboli, ai rituali, alle feste.
Per avere un riscontro concreto con quello che dice Foucault basti pensare alla censura fascista.
La censura fascista consistette nella forte limitazione della libertà di stampa,radiodiffusione, assemblea e della semplice libertà di espressione in pubblico, durante il ventennio (1922-1944), non venne creata dal regime fascista, e non termina con la fine di questo, ma ebbe una grande influenza nella vita degli italiani durante il regime.
I principali scopi di questa attività erano, in breve:
Controllo sull'immagine pubblica del regime, ottenuto anche con la cancellazione immediata di qualsiasi contenuto che potesse suscitare opposizione, sospetto, o dubbi sul fascismo.
Controllo costante dell'opinione pubblica come strumento di misurazione del consenso.
Creazione di archivi nazionali e locali nei quali ogni cittadino veniva catalogato e classificato a seconda delle sue idee, le sue abitudini, le sue relazioni d'amicizia e sessuali, e le sue eventuali situazioni e atti percepiti come vergognosi; in questo senso, la censura veniva usata come strumento per la creazione di uno stato di polizia.
La censura fascista combatteva ogni contenuto ideologico alieno al fascismo o disfattista dell'immagine nazionale, ed ogni altro lavoro o contenuto che potesse incoraggiare temi culturali considerati disturbanti.
Non essendo cambiata di molto ancora oggi la situazione in Italia ,dato che non c’è la presenza di editori puri come in grandi paesi come Inghilterra e Stati uniti ,solo Internet potrà darci la speranza di avere un domani , un informazione finalmente libera e disinteressata .

lunedì 7 giugno 2010

Roland Barthes e il piacere del testo .

Roland Barthes e il piacere del testo .
Il rapporto lettore - testo : tra piacere e godimento .

Personalità di spicco del 900 francese ed europeo, Roland Barthes nasce a Cherborg il 12 novembre del 1915 e, dopo una vita divisa tra studio, ricerca e problemi di salute, muore a Parigi il 26 marzo del 1980 .
Tra i suoi scritti figurano in egual misura opere di linguistica, di critica letteraria nonchè un considerevole numero di saggi .
Tra i temi che più lo attraevano è impossibile non notare l' interesse per le relazioni tra miti e feticci della realtà contemporanea e le istituzioni sociali oltre che per il rapporto di incontro - scontro tra la lingua ( intesa come patrimonio collettivo ) ed il linguaggio individuale .

Nel corso della sua vita si occupa di scrivere, tra le altre cose, anche della scrittura stessa .
La definisce " La scienza dei godimenti del linguaggio " sostendo il suo ruolo di "pratica" in quanto è generatrice di testi, esempi di ars erotica e non di mero metalinguaggio.
Oggetto dello studio della scienza dei godimenti del linguaggio è la scrittura stessa, quindi .
Scrittura intesa come insieme di segni tramite i quali creare testi .
Tra il 1971 e il 1973 Barthes scrive il breve volume "Il Piacere del testo" ( "Le Paisir du texte" in lingua originale ) .

Di cosa si occupa lo scrittore nel libro in esame ?
Ebbene, è presto detto : il tomo tratta del piacere .
Ma non di un piacere qualunque bensì di quello che provoca, nei lettori, la lettura di un testo .
Un testo che nasce dal semplice bisogno di scrittura da parte del suo autore .
Un bisogno di esternare, un bisogno di comunicare con il lettore che sta " dall' altra parte " .
E il lettore, da parte sua, percepisce il testo come fosse un corpo, un oggetto che genera piacere .
Un piacere di difficile definizione, quasi inesprimibile per sua stessa natura e per di più spesso associato - o peggio confuso - con il godimento ( nonostante non esista ad ora una parola che associ, l' uno all' altro, i due termini ) .

Nella sua opera l' autore tiene ad evidenziare in modo netto le sostanziali differenze che intercorrono tra i due concetti .
Per parlare di " godimento " dobbiamo introdurre un termine poco noto, un termine al quale il concetto di godimento è strettamente legato : il " fading " .
Si potrebbe tradurre il termine " fading " con le parole " svanire " o " sbiadire " .
Il termine si riferisce ad un segnale elettromagnetico che ci giunge in maniera discontinua .
Il godimento è assenza, perdita, mancamento, discontinuità, phatos emozionale portato al suo eccesso .
Lo troviamo nella possibilità o meno di poter scoprire e comprendere il fine dell' autore del testo che stiamo leggendo .
Nel rischio di non riuscire a cogliere il senso nascosto dietro le parole usate dallo scrittore, dietro schemi invisibili innalzati da colui che ha creato la realtà in cui ci immergiamo quando leggiamo .
L' imprevedibilità .
È questo che differenzia il godimento dal piacere.
Dopotutto il godimento, per attirare a se, sfrutta questa sua apparente debolezza come fosse una forza, un' attrattiva .
Quasi promettesse il piacere perverso e un pò macabro della perdizione .

E se il mancamento è il fulcro del godimento, il piacere al contrario è invece associabile ad un intenso appagamento, ad una piena soddisfazione .
Non si tratta però di un piacere di tipo trionfante .
Il piacere è qualcosa di estremamente più delicato, sottile.
Si potrebbe dire " mentale " .
È qualcosa di impalpabile e, in un certo senso, nemmeno esistente dato che si poggia quasi esclusivamente sulle aspettative e l' immaginazione del lettore .

Ma andiamo per gradi . . .

Si può parlare di piacere nei confronti di quel testo che consente al lettore una lettura godibile .
Un testo che si legge facilmente, anche .
Questo perchè se si legge gradevolmente e senza sforzo una frase, un periodo oppure un racconto è sicuramente da attribuire al fatto che chi ha scritto ciò lo ha fatto nel piacere .
Il panorama letterale mondiale è pieno di testi noiosi e balbettanti, scritti senza alcun piacere .
Somigliano al balbettio degli infanti e son privi della loro gaia innocenza .
Al contrario sembrano forzatamente frenati e sgraziati .
Al punto tale da essere considerati frigidi,

Oltre questo, il piacere del testo è dato dall' interesse e dal modo in cui si guarda al " corpo del testo ".
Mi spiego meglio : fondamentalmente Barthes ci offre un' innovativa e quanto mai affascinante analogia tra il testo scritto e il corpo umano .
L' autore si esprime come se il lettore dovesse venire coinvolto dal testo al punto tale da interessarsene come se questo avesse una sua vera e propria anatomia .
Come se si trattasse un corpo reale .
Un corpo da cui trarre godimento .
Considerando uno scritto come fosse un corpo vero e proprio non è follia, allora, cercar di capire come cercare il piacere in un testo comparando, il suddetto piacere, al piacere che si può trarre nel rapportarsi carnalmente con l' altrui corpo umano .
In fondo il testo è un corpo e il lettore è un altro corpo .
Nulla di più naturale che due corpi si attraggano irresistibilmente .
Uno scrittore che scrive nel desiderio desidera che il suo testo venga desiderato da chi lo leggerà.
E, per quanto strano possa apparirci, il lettore stesso custodisce il desiderato di essere desiderato dal testo .
Il pensiero che il testo esista per dargli piacere, per soddisfare lui e lui soltanto lo attrae incredibilmente e gli permette di raggiungere con esso un rapporto di simbiosi difficile da raggiungere con un altro tipo di " entità " inanimata .


Stabilito ciò arriviamo al punto focale del pensiero di Barthes a riguardo .
Dimentichiamo per un attimo che ciò di cui stiamo parlando non è che una serie di parole, una serie di frasi .
Pensiamo al corpo .
E cosa c'è di più seducente in un corpo - ci fa notare smaliziatamente l'autore - se non quelle zone dove l' abito si dischiude ?
Nessuna nudità completa, nessuna scena imbarazzante, nessun azzardo .
Possiamo definirla, forse, perversione ?
Eppure non si tratta che di una rapidissima e sorprendente intermittenza tra coperto e scoperto Basta questo ad attirare l' attenzione .
Questo perché, per il lavorio di una mente allenata all' immaginazione ( come può esserlo quella di un lettore ) , le zone erogene non sono che un mero feticcio .
Ciò che realmente lo affascina, ciò che lo attrae, è quel sottile lembo di pelle che si intravede, quasi inaspettatamente, tra due capi d' abbigliamento . . .
In realtà è il " vedo - non - vedo " che seduce l' occhio di chi osserva .
È l' intermittenza di una apparizione - sparizione, pari a quella di un corpo coperto da una camicia aperta, ciò che porta realmente il lettore a ricercare il piacere .
È immaginare, sperare, cercare e infine scoprire ( termine dopo termine, pagina dopo pagina ) ciò che l' autore del testo che stiamo leggendo vuole mostrarci . . .
Cosa può esserci di più attraente per un lettore appassionato che la completa comprensione, l'impossessarsi del segreto ultimo del testo che ama?

Si verifica un fenomeno estremamente interessante in questo frangente .
Lo si definisce " tmesi " ( termine greco che può essere tradotto con la parola " taglio " ) ed è qualcosa che un autore non può prevedere o di cui, quanto meno, non può prevedere la portata e l' intensità perchè ha un effetto diverso a seconda del lettore che la " utilizza " .

Vediamo di cosa si tratta .

Nel momento in cui si rapporta con un' opera che lo coinvolge profondamente è naturale, per ogni lettore degno di questo appellativo, desiderare di giungere alla fine del testo .
Il suo scopo è terminare il racconto che lo tiene con il fiato sospeso e che gli impedisce di pensare ad altro che non abbia a che fare con esso .
Eppure, allo stesso tempo, il nostro lettore desidera che ciò avvenga in maniera graduale .
La soluzione non deve essere troppo palese, troppo a portata di mano .
Perché è l' intermittenza ciò che seduce .
Vuole che il finale si dischiuda poco a poco ai suoi occhi .
Desidera anelarlo, cercarlo, quasi implorarlo .
Il momento in cui possiamo parlare di piacere del testo è proprio questo .
La lettura del testo, di quel testo, non è più un semplice passatempo al quale dedicare sommaria attenzione .
Si tratta di una ricerca .
Una febbrile ricerca del piacere .

La graduale ma volontariamente lenta rivelazione dei tratti salienti della trama fa si che il ritmo della lettura cambi considerevolmente : in maniera del tutto autonoma ( e alle volte irrispettosa dei desideri dell' autore stesso ) il lettore comincia con l' ignorare le parti del testo che giudica meno utili ai fini della comprensione della trama di fondo e, naturalmente, del raggiungimento della parte della storia che più lo interessa .
Inizialmente si limiterà con il leggere velocemente o a sorvolare le lunghe descrizioni .
Poi si arrogherà la libertà di trattenersi dal leggere i dialoghi troppo prolissi .
Infine arriverà al punto di tralasciare anche pagine intere legate ai personaggi che meno lo coinvolgono .

L' avidità con cui il lettore divora il testo pagina dopo pagina nasconde il desiderio di arrivare al più presto al " momento clou " allo stesso modo in cui solitamente, nel rapporto fisico, si comincia con un andamento relativamente lento per poi ritrovarsi ad agire con un ritmo incalzante finalizzato all' appagamento del piacere nel minor tempo possibile.

Ecco dunque la tmesis che, come un taglierino tra le mani del lettore, smussa gli angoli del testo, elimina ciò che è superfluo o almeno di scarso interesse .
E il lettore non è quasi più interessato alla iniziale, e dunque reale, struttura del testo .
Ciò che lo affascina, a questo punto, è la possibilità di scalfire il testo a suo piacimento .
Di decidere cosa deve dargli piacere o meno ,
Decidere autonomamente ciò che il testo è o non è .

In ultima istanza, stando a ciò che sostiene Barthes, il lettore finirà comunque con il ritrovarsi al cospetto di due possibilità di testo .
Da una parte il testo di piacere .
Dall' altra il testo di godimento .

Il testo di piacere lo soddisfa, lo appaga, lo rende felice in quanto, con la sua ripetitività, è qualcosa di assolutamente rassicurante .
Il lettore non fatica nel coglierlo perchè è qualcosa di molto " naturale " , molto fluido : lo scrittore che crea un testo di piacere scrive nel piacere e riesce a trasmetterlo al suo lettore .
Non è sempre così semplice, però .
Alle volte viene a crearsi una distanza tale tra lo scrittore e il lettore da rendere difficile quella che nel testo di piacere era la " naturale trasmissione " di sensazioni tra scrittore e lettore .
Si crea uno spazio .
Uno spazio che fa si che la lettura del testo non ristagni nella comprensione assoluta .
Questo spazio è il godimento del testo che fa si che il gioco della lettura non si interrompa con la fine del testo, con l'arrivo alla conclusione della vicenda .
Nel testo di godimento il lettore non legge per essere accontentato : quell' enorme spazio lasciato aperto gli provoca una sensazione di perdita, lo sconforta e lo sconvolge a livello intimo dato che tutto ciò cambia i suoi valori, modifica il modo di rapportarsi al linguaggio mettendo addirittura in discussione i canoni di ciò che piace e di ciò che normalmente non dovrebbe piacere affatto .

Un piccolo e probabilmente sfacciato azzardo personale .
Sempre continuando con l' analogia del " testo come corpo " e del rapporto tra testo e lettore come il rapporto fisico tra due corpi reali, potremmo forse dire che se nel rapporto tra testo di piacere e lettore il testo esiste per accontentare placidamente il suo lettore, il testo di godimento, al contrario, è il componente dominante della coppia, colui che decide le modalità, i tempi e, soprattutto, le distanze per giungere all' appagamento .
Il suo scopo non è essere mero strumento di appagamento per il lettore .
Compiacerlo in maniera unilaterale non è la sua raison d' etre .
Semmai sta al lettore rapportarsi ad esso .
Modificare il suo modo di vedere le cose, rispettare degli " spazi " non voluti direttamente da lui, completare la lettura e magari vedere il suo piacere non pienamente soddisfatto .
Trovo sia affascinante questo perverso rapporto di quasi sudditanza del lettore nei confronti del testo che in fin dei conti è qualcosa che in origine avrebbe dovuto essere solo un mezzo di piacere .

Ad ogni modo possiamo ritrovare venature di perversione anche nelle diverse classificazioni del piacere che Barthes ci propone .
Di fatti possiamo dire che probabilmente la lettura più perversa in cui un lettore possa imbattersi è quella di un testo o di un' immagine tragica .
La perversione si nasconde nel piacere che si prova nell' ascoltare, nel leggere oppure nel guardare qualcosa di cui si conosce già la fine, lo scopo, il senso ultimo .
Il piacere nasce non dal testo o dall' immagine in sè .
Ciò che crea piacere è la sicurezza, la soddisfazione nel rivivere qualcosa che conosciamo bene, che non ci offre sorprese sgradevoli o semplicemente inaspettate .
Il ripetersi rassicurante di qualcosa sempre uguale a se stessa culla il lettore trattenendolo in uno stato simile a quello di un feto nell' utero materno : racchiuso nel suo personale mondo privo di sorprese ma, allo stesso tempo, rinchiuso in uno spazio limitato beandosi di qualcosa che già conosce e che quindi non influirà in nessun modo con il suo essere e non modificherà il suo modo di trarre piacere da qualcosa di esterno .

Un tale atteggiamento potrebbe essere deleterio a lungo andare perchè finirebbe con l' annichilire la capacità e, soprattutto, con il desiderio di trovare piacere in un testo .
Barthes porta in esempio in popolo francese riguardo questo concetto .
A quanto pare un francese su due non legge .
Un pò come a dire che metà dei francesi non trova piacere nel rapportarsi con un testo .
Tuttavia, a lungo andare, potrebbe accadere che quella percentuale di popolazione che adesso si limita ad evita il confronto con il testo in futuro non sarà più in grado di rapportarcisi autonomamente .
Davvero un peccato che la ricerca del piacere attraverso un testo non ottenga più che pochi consensi .
Soprattutto agghiacciante che questa realtà non si limiti ad una sola zona ( come poteva esserlo la Francia a cui si riferiva Barthes ) ma che dilaghi ormai nella quasi totalità della società attuale come fosse un male endemico .

Possibile che la fruizione del piacere del testo non delizi più che pochi eletti ?
L’autore chiama, il lettore risponde.
L’intricato rapporto tra autore e lettore, passando per il testo, analizzato attraverso un parallelo Barthes-Eco.

“Il testo è un oggetto feticcio e questo feticcio mi desidera. Il testo mi sceglie, attraverso tutta una disposizione di schemi invisibili, di cavilli selettivi: il vocabolario, i riferimenti, la leggibilità, ecc.; e, perduto in mezzo al testo (non dietro, quasi un dio da macchinario), c’è sempre l’altro, l’autore.”
All’interno di questa frase, presente nel libro di Roland Barthes, si racchiude il punto focale da cui muove tutto il mio elaborato: il rapporto che intercorre tra il testo e il lettore, passando dall’importante mano del lettore.
L’opera, “Il piacere del testo”, venne scritta da Barthes nel 1973. Qualche anno più tardi, precisamente nel 1979, Umberto Eco scrisse “Lector in fabula”, opera in cui si analizzano i processi interpretativi in quella che egli stesso definisce una macchina pigra , cioè il testo. Quella di Eco sembra essere una continuazione dell’opera di Barthes, o meglio ancora, un approfondimento del rapporto incessante tra testo e lettore. Di quest’ultimo non analizzerò l’intera opera, ma limiterò il mio lavoro soltanto a quello che secondo me è la parte più coerente al mio lavoro (capitolo 5, Il lettore modello).
Prima ancora di iniziare la mia analisi dei due autori, vorrei però introdurre l’argomento facendo riferimento ad un altro importante testo: “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino . Nonostante non sia un importante testo di semiotica o di interpretazione narrativa e soprattutto non è stato scritto da un filosofo, riporterò di seguito alcuni estratti dell’opera che riguardano da vicino il rapporto che si viene a creare tra l’autore e il suo lettore. Ben si saprà che l’opera di Calvino è incentrata sul piacere di leggere, in particolare i romanzi. Il protagonista assoluto è il lettore, che per una serie di vicissitudini non riuscirà mai a finire i romanzi che inizierà a leggere. All’interno dell’opera un capitolo viene dedicato ad un dei tanti autori dei vari romanzi, ovvero Silas Flannery. “[…] c’è una giovane donna che legge. Tutti i giorni prima di mettermi al lavoro resto un po’ di tempo a guardarla col cannocchiale. […] mi pare di cogliere nella sua immobilità i segni di quel movimento invisibile che è la lettura […]. Le parole sono chiare, l’autore cerca l’ispirazione. Non la trova in un oggetto, in una sensazione o in una esperienza. Ma il suo punto di partenza sarà il lettore stesso, ovvero l’obiettivo del suo scrivere. Quindi l’autore può essere considerato un parte di questo processo circolare tra il testo e il lettore stesso? Ovviamente si, anche perché senza autore non ci sarebbe le parole scritte e di conseguenza non ci sarebbe neanche il lettore. Potremmo dire che l’autore è il miglior tramite che possa esistere tra testo e lettore. Anche se nel caso del protagonista di Calvino, la sua sembra essere quasi una posizione scomoda: “Come scriverei bene se non ci fossi! Se tra il foglio bianco e il ribollire delle parole e delle storie che prendono forma e svaniscono senza che nessuno le scriva non si mettesse di mezzo quello scomodo diaframma che è la mia persona![…] Non è per poter essere il portavoce di qualcosa di definibile che vorrei annullare me stesso. Solo per trasmettere lo scrivibile che attende d’essere scritto, il narrabile che nessuno racconta.” Ma possiamo veramente accettare questa posizione di rassegnazione da parte dell’autore? Le parole sono così davvero indipendenti da qualsiasi cosa, che hanno bisogno solo di una mano per essere messe sulla carta? Da questi interrogativi possiamo passare ad analizzare questa situazione da parte dei due autori presi in considerazione.
Confrontando le due opere, a differenza di qualche anno, si possono notare sostanziali differenze, già partendo dal titolo. Il piacere del testo sembra dare l’idea di un rapporto morboso che può venire a crearsi tra testo e lettore, mentre Il lettore modello è quasi un’interpretazione teorica di questo rapporto, in cui il lettore non è più una parte passiva, ma inizierà ad avere un ruolo fondamentale.
All’interno dell’opera di Barthes si possono avere molteplici definizioni di “piacere del testo”.
“ Piacere del testo. Classici. Cultura (più ci sarà cultura, più sarà grande, diverso, il piacere). Intelligenza. Ironia. Delicatezza. Euforia. Padronanza. Sicurezza : arte del vivere. Il piacere del testo si può definire come una pratica ( senza alcun rischio di repressione): luogo e tempo di lettura: casa, provincia, pasto vicino, lampada, la famiglia dove dev’essere, cioè lontana e non lontana ( Proust nel gabinetto degli odori d’iris), ecc. straordinario rafforzamento dell’io (tramite il fantasma); inconscio ovattato. Questo piacere può essere detto: donde la critica.”
Questo inarrestabile piacere deve essere sentito e preso in tutto il suo impatto dal lettore, colui che riuscirà a vivere all’interno della contraddizione del testo in cui si susseguono contraddizioni logiche e molteplicità di linguaggi. Dovrà essere una sorta di controeroe, che affronta qualsiasi difficoltà pur di arrivare al suo piacere e al suo godimento. Di certo non sarà attratto da un testo che balbetti, che stenti. Sarà attratto addirittura dalla nevrosi. Non è un’assurdità, ma il lettore pretende che il testo lo desideri. E ciò lo può fare solo attraverso la scrittura. Unico strumento che il testo ha per coinvolgere il lettore. “La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra.”
Ed ecco che si rientra in quell’aspetto, oserei dire perverso di Barthes. Forse il termine perverso non è molto esagerato in quanto più volte all’interno dell’opera, Barthes parla corporeità vera è propria del testo, di godimento, addirittura di pornografia e di erotismo. “Il testo ha una forma umana, è una figura, un anagramma del corpo? Sì, ma del nostro corpo erotico. Il piacere del testo sarebbe irriducibile al suo funzionamento grammaticale (feno-testuale) come il piacere del corpo è irriducibile al bisogno del corpo.”
È davvero possibile un rapporto così morboso tra il lettore e il testo? Attraverso le parole di Barthes sembrerebbe di sì. Il testo è un corpo. Il lettore è un altro corpo. Due corpi inevitabilmente si attraggono. Ma in questo caso, il testo non può essere attratto dal lettore perché non sarebbe possibile. Il lettore però può essere attratto dal testo, questo è possibile. Quindi lo scrittore farà riferimento a tutte le sue conoscenze, a tutte le sue capacità per far sì che il testo sia desiderato dal lettore. Però all’interno della critica di Bathes bisogna fare una differenza tra piacere e godimento. “Piacere/Godimento: questo, termino logicamente, vacilla ancora, inciampo, m’ingarbuglio. Comunque, ci sarà sempre un margine di indecisione; la distinzione non sarà fonte di classificazione certe, il paradigma cigolerà, il senso sarà precario, revocabile, reversibile, il discorso sarà incompleto.” Il piacere lo si coglie subito, lo si riconosce. Lo scrittore scrive nel piacere e lo trasmette al lettore. Ma nel momento in cui il lettore non è definito, si viene a creare uno spazio tra l’autore e il particolare lettore. Questo spazio è appunto il godimento che farà sì che il gioco della lettura sia sempre aperto. Potrei dire che il godimento di un testo sia qualcosa di molto più privilegiato rispetto al semplice piacere. Con un testo di piacere si è sicuri della lettura, è quasi una pratica confortevole. Soddisfa, appaga, dà euforia. Non avviene la stessa cose nel testo di godimento, in cui lo spazio lasciato aperto crea sconforto nel lettore , che non si riconosce più in molti suoi ideali e valori, che entra in crisi con sé stesso e anche con il linguaggio.
Parlando di piacere e godimento, di conseguenza si deve parlare anche di scrittore di piacere e scrittore di godimento. Entrambi si distinguono per gli stessi motivi della differenza fra i due tipi di testo. Il primo crea un testo di cui sarà possibile parlarne, o meglio, sarà possibile farne una critica. Il secondo non è dicibile, è interdetto, si può solo criticare solo attraverso un suo simile. Il godimento può derivare spesso dalla ripetizione incessante che caratterizza la nostra cultura moderna. Le parole, le frasi, i simboli, si ripetono all’infinito portando ad uno smarrimento del lettore. Si ritorna al principio molto caro a Barthes dell’erotismo. Infatti in questo caso la parola ripetuta all’infinito diventa erotica, si gode nel vederla ripetersi miriadi di volte. Molto di più rispetto a quando la parole è inaspettata e può rappresentare la verità.
Nel corso della mia trattazione ho dato la definizione di piacere del testo . Adesso vorrei associare a quella definizione quella di testi di godimento: “Il piacere a pezzi; la lingua a pezzi; la cultura a pezzi. Sono perversi in quanto sono fuori di ogni immaginabile finalità.[…] Non regge nessun alibi, non si ricostruisce niente, non si ricupera niente. Il testo di godimento è assolutamente intransitivo.”
Per poter giungere a questo piacere e poi in casi molto particolar al godimento, bisogna fare riferimento a degli aspetti cooperativi. Essi giocano un ruolo fondamentale,in quanto portano il destinatario a trarre dal testo ciò che il testo non dice, ma che presuppone, promette. Aspetto, questo della cooperazione che sarà affrontano dell’italiano Eco. Già in un opera precedente, Opera aperta, Eco, si era iniziato a porre il problema dell’ordine interpretativo di un’opera d’arte. Continuerà questo suo lavoro nell’opera che ho preso in esame. Eco tiene sempre in considerazione le teorie di Jakobson, circa le funzioni del linguaggio,ma ancora di più tiene in considerazione le teorie di Lévi-Strauss sul ruolo del lettore. “[…] nell’analisi di un testo, non bisogna prendere in considerazione solo il livello più astratto e profondo, ma tutti i livelli, perché il senso complessivo nasce dalla loro reciproca determinazione.”
Eco all’inizio del capitolo preso in esame, usa il termine lettore al posto di destinatario e autore al posto di emittente. Il concetto focale sul quale si incentra la sua argomentazione è attualizzazione del testo da parte del destinatario. “Un testo, quale appare nella superficie (o manifestazione) linguistica rappresenta una catena di artifici espressivi che debbono essere attualizzati dal destinatario.”
Tale processo di attualizzazione ha come protagonista indiscusso il lettore. Egli, nel momento in cui legge un testo, deve aprire il dizionario in modo da poter ricollegare ogni parole in un contesto del testo bene definito. Il lettore dovrà avere delle competenze linguistiche, che spesso però non coincidono con quelle del lettore. La maggior parte del lavoro di attualizzazione, che si ritrova a dover fare il lettore, è quello del non-detto. “Il non-detto significa non manifestato in superficie, a livello di espressione: ma è appunto questo non-detto che deve venir attualizzato a livello di attualizzazione del contenuto.”
Il lettore all’interno del testo possiede una massima libertà di movimento, grazie soprattutto a quei spazi bianchi che vengono lasciati dall’autore. Gli spazi bianchi servono appunto a dare l’idea della libertà di interpretazione che l’autore crea, il testo usa per richiamare l’attenzione del lettore e che il lettore stesso deve decodificare.
Come ho già detto, le competenze dell’autore e del lettore sono diverse. Ma ciò non toglie che l’autore aiuti il lettore nella sua opera di interpretazione. Infatti all’interno del suo stesso libro, Eco da vita ad uno schema che rappresenta una possibile strategia con la quale cercare di andare in contro al lettore. Si darà vita a quello che Eco chiama lettore modello. I mezzi che si possono usare per raggiungere questo lettore sono diversi, ma sono ben noti: la lingua, l’enciclopedia, il lessico, lo stile. Il più delle volte seguire questa strategia non solo servirà al lettore, ma aiuterà l’autore stesso nella costruzione del suo testo.
L’interpretazione di un testo serve anche a stabilire la categoria alla quale appartiene il testo. Si parla per questo di testi “aperti” e testi “chiusi”. Come si può ben capire la loro definizione è abbastanza chiara. I testi chiusi sono quelli in cui si hanno poche possibilità di interpretazione, dove si possono ben comprendere le difficoltà dell’autore nella costruzione di un testo. Viene a mancare l’utilizzo di quelle strategie di cui prima parlava Eco. Strategie che saranno invece tenute in considerazione ed utilizzate nel migliore dei modi nei testi aperti. In un certo senso l’autore guiderà in tutto e per tutto il lettore nel suo viaggio all’interno del testo..
Questo concetto del testo aperto potrebbe entrare in contrasto con quello che Barthes chiama testo di godimento, in cui il lettore è portato a perdere il filo della propria interpretazione. I protagonisti del testo sono quindi due individui, anche se la cooperazione non è data dalle loro figure, ma al contrario dalle loro strategie, che si fondono a vicenda. Infatti si parte da un autore empirico che crea un lettore modello. Ma a sua volta esiste anche un primo lettore empirico che deve crearsi una propria immagine di autore modello, attraverso i dati che gli vengono forniti dal testo. Entrambi svolgono la stessa funzione, però al contrario. Anche se in questo caso si prenderebbe come ipotesi interpretativa non più un lettore modello, ma un autore modello.
Autore, testo, lettore è un circolo in continuo movimento e da un profondo legame fra di loro. Non possono esistere separatamente. Ognuno ha bisogno dell’altro. Sarebbe impossibile sostenere la tesi del protagonista di Calvino. Egli ha paura di influenzare con la propria soggettività i fatti che già esistono e che attendono solo di essere riportati su un foglio bianco. Ma ciò non sarebbe possibile. Anche se questi fatti esistono l’autore ha il dovere di riportarli sul foglio bianco. E quella che potrebbe essere considerata come una personale interpretazione non è altro che un modo che l’autore ha di mettere in atto quella strategia di cui parla Eco, e da cui si giungerà poi all’irrefrenabile desiderio del testo di essere letto da parte del lettore.

Riferimenti bibliografici
Calvino, I.
1979 Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano
Barthes, R.
1973 Variazioni della scrittura seguite da Il piacere del testo, Biblioteca Einaudi,
Torino
Eco, U.
1979 Lector in fabula Bompiani, Milano, pag. 50-66
Pozzato, M. P.
2001 Semiotica del testo, Carocci editore, Roma


Adelia Pantano
matr. 115292
ciclo 07

domenica 6 giugno 2010

IL DISCOSRO E LA FOLLIA

Il Discorso e la Follia

Di Ilenia Barberio

L’ordine del discorso è il testo della lezione inaugurale al College de France letto il 2 Dicembre del 1970 dal filosofo Foucault e tratta della congruità e dell’importanza del discorso in quanto espressione della realtà. L’autore evidenzia come il discorso è un mezzo per ottenere potere e come tale dovrebbe essere nelle corde di chi possiede la ragione. Lungi dal divenire erroneo può essere e deve essere pronunciato solo in circostanze specifiche e nei termini appropriati, il discorso non deve risultare un enunciato infelice. Per far sì che ciò non accada vengono stabilite delle procedure d’Esclusione, queste sono : l’interdetto, la partizione della follia e la volontà di verità. Qui mi occuperò della partizione della follia. Al folle è interdetta la circolazione del discorso, le su parole non hanno effetto perché non contengono ne verità ne importanza.

Il termine follia deriva dal latino folle , di origine onomatopeica , significava vuoto o mantice . Nel corso dei millenni è profondamente variato sia il concetto di follia sia la sua interpretazione. La follia viene identificata come una mancanza di adattamento che il malato mostra nei confronti dell’ambiente, tenendo ben presente che la definizione della follia è influenzata dal momento storico, dalla cultura, dalle convenzioni , quindi è possibile considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era normale, e viceversa. Il folle sin dalle diverse epoche ha avuto varie attribuzioni; gli antichi greci consideravano due accezioni del concetto di folle: nella prima accezione era una forma di pazzia dovuta all’umana debolezza; nella seconda era considerata di origine divina e consisteva in un entusiasmo o furore ispirato; spesso nella letteratura classica greca la follia era determinata dalle divinità, per possessione estatica o come punizione per delitti o colpe; nel Medioevo la sua figura era vista nelle molteplici controfigure carnevalesche e popolari eleggendola a testimone di una verità nascosta ed inaccettabile e la follia era interpretata come il frutto di una possessione di origine magica, astrologica, amorosa o demoniaca. Un'interpretazione diametralmente opposta si ebbe nel Rinascimento, in questa epoca il folle venne considerato una persona diversa, sia per i valori sia per la sua filosofia di vita, e quindi andava rispettato, lasciato libero, basti pensare all'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam.

“L’Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam si tratta di un’opera molto originale in cui con toni ironici e persuasivi l’autore affronta l’insolito tema della follia, per sostenere che essa sarebbe la vera dominatrice dell’intera civiltà ma anche dell’esistenza di ciascun uomo, sia egli un ecclesiastico o un laico, un saggio o un ignorante, un potente o un umile. La follia, che viene allegoricamente rappresentata come una dea in vesti di donna, sarebbe infatti all’origine di ogni bene sia per l’umanità, sia per gli stessi dèi che riceverebbero al pari dei mortali i suoi doni: “io, io sola sono a tutti prodiga di tutto”. Ugualmente la tenuta dei rapporti sociali, e quindi l’esistenza stessa della società, dipendono dall’ausilio della follia. Ma più di tutto la follia rappresenta l’unica guida per accedere alla vera sapienza: poiché infatti tutte le passioni, tutti gli umani errori e tutte le umane debolezze, rientrano nella sfera della follia, saggio è colui che si lascia guidare dalle passioni.

Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini”

Erasmo da Rotterdam.

Durante L’Umanesimo il folle veniva visto attraverso uno sguardo eccentrico e rilevatore cui rivolgersi in cerca di un senso delle cose. Nel Medioevo quindi i folli rischiavano il rogo, e alla metà del Settecento erano detenuti nelle carceri, poiché mancavano le strutture sanitarie specifiche. In tempi più recenti, dall’ottocento in poi emerse la visione del folle come “macchina rotta” cioè lesionata nel cervello. Nel novecento lo studio della malattia mentale dell’uomo ha raggiunto il suo massimo splendore e la psichiatria degli ultimi secoli attribuisce la follia ad una macchina non più efficiente, non più integrata nel suo ambiente, non più in grado di dar vita a valori sociali ed economici , si inizia a dare dignità di senso al folle in quanto le sue parole diventano espressione di una sua verità. Tutto ciò che vale per il discorso fisiologico, del soggetto che possiede la ragione, vale a dire provenienza, verità, e contenuti, valgono anche per i discorsi del folle che possiede comunque una sua verità ed un suo contenuto. Anche il folle struttura un suo discorso con delle procedure che pur essendo patologiche, rispondono comunque alla sua logica.

L’autore analizza il discorso attraverso l’uso dello stesso nei tempi passati: Socrate e Platone come discorso “vero” espressione della realtà percepita e discorso “falso” come espressione dell’idea; nel sedicesimo e diciassettesimo secolo discorso come espressione degli eventi naturali e della volontà di sapere; nel diciannovesimo secolo discorso come espressione della sintesi tra esperienza e conoscenza. L’autore riferisce, inoltre, di dovere molto alla filosofia di J. Hyppolite il quale a sua volta aveva attualizzato la teoria filosofica di Hegel affermando che la filosofia era inaccessibile come pensiero totalitario, ma comunque ripetibile, pur nella irregolarità dell’esperienza dando dignità di logica anche alla psicoanalisi, espressione della variabilità dell’individuo.
L’autore nel suo lavoro ”Storia della follia nell’età classica” ha ben evidenziato non tanto le conoscenze mediche intorno al folle come malato, ma le opinioni e le credenze intorno ai folli sia come persone emarginate della società che come personaggi nel teatro o nella letteratura. Ha inoltre messo in evidenza tutta le rete istituzionale intorno alla figura del folle in quanto paziente.

J. Vuillemin analizza il pensiero di Foucault in due relazioni: la prima nel 1969 in vista dell’assegnazione della cattedra di Storia dei Sistemi di Pensiero e la seconda nel 1970, mettendo in evidenza l’importanza di Foucault sia come autore filosofico che come teorico della dignità della follia. La relazione tra L’ordine del discorso e la follia consiste nel fatto che così come il folle nelle sue espressioni segue un proprio filo logico, che è vero in quanto suo, così il discorso del saggio vive di vita propria anche dopo che è stato espresso. Nel tentativo di comprendere tali teorie dobbiamo ricordare che la psichiatria, negli anni in cui scrive Foucault sta cambiando e che ciò porterà in Italia alla legge Basaglia del 1978. La chiusura dei manicomi e la restituzione di dignità di paziente al oggetto psichiatrico farà sì che non si tratterà più di un “folle” ma di un soggetto debole, con una precisa patologia medica. Foucault supera il concetto Cartesiano del “Cogito Ergo Sum” (penso dunque sono) eliminando il soggetto e conservandone i pensieri; ciò sta alla base dell’importanza del discorso come espressione della natura umana e come entità che vive di vita propria.

Oltre “Elogia della follia” di Erasmo da Rotterdam nella letteratura resta memorabile il romanzo della schizofrenia di “Don Chisciotte della Mancia” di Cervantes. La psichiatria è un tema che inoltre in tempi moderni ha influenzato spesso la storia del cinema. La tecnica cinematografica, fatta solo di immagini, riesce bene a rappresentare direttamente molteplici aspetti della psiche umana. Un esempio di film che trattano questi temi sono,“Follia” film di David Mackenzie girato in Irlanda nel 2005. Follia non è semplicemente una storia d’amore, è quella di un’ossessione d’amore che dà le vertigini, e ancora, quella di un’ingiustizia sociale: il potere psichiatrico di classificare un individuo e diagnosticare misteriose malattie mentali, rischiando di ridurre il paziente a qualcosa di meno di un essere umano.

Un altro film famoso che tratta del tema della follia e dei manicomi è: “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman uscito nel 1975 e tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey l'autore scrisse il libro in seguito alla propria esperienza da volontario all'interno del «Veterans Administration Hospital». Il film denuncia in maniera drammatica il trattamento inumano cui sono sottoposti i pazienti ospitati nelle strutture ospedaliere statali, verso cui vige un atteggiamento discriminatorio alimentato dalla paura dell'aggressività dell'alienato mentale. Nel film, la pazzia è vista come un "non luogo", come un qualcosa che il protagonista ha dentro di sé e vuole portar fuori, quasi a voler dire che in fondo una certa dose di pazzia è insita in ogni uomo, anche in chi non viene ricoverato in manicomio. Emerge quindi una visione relativista del concetto di follia, tanto che durante il film può nascere il dubbio se nel manicomio i veri malati siano proprio i pazienti, e non gli infermieri e i medici che li curano e che hanno anche loro i propri problemi psicologici, più o meno visibili. Si crea quindi un contesto in cui l'idea di normalità perde notevolmente significato.

Per concludere nella postfazione dell’ “Ordine del discorso” di Michel Foucault fatta da Mauro Bertoni si mette in evidenza come Foucault sia un sofista astuto che utilizza un discorso come un’arma e una strategia e che conferisce al discorso dignità di importanza in quanto ente a se stante indipendente dal soggetto che lo proferisce, ma importante quanto il pensiero che esprime.

Inoltre Bertoni mette in evidenza la modernità di Foucault, un filosofo che si pone in relazione con la società del tempo e con i progressi della medicina dell’epoca. Foucault riesce infatti, a mettere in relazione la filosofia classica con quella moderna utilizzando come escamotage proprio la figura del folle nel tempo e attualizzandone l’importanza: il folle per eccellenza è colui che esprime un discorso apparentemente privo di logica e di verità, ma che vive di vita propria essendo pensiero puro, distaccato dall’uomo in quanto egli, in questo caso, è un soggetto “Malato”.

“…il compito del dir vero è un lavoro infinito: rispettarlo nella sua complessità è un obbligo da cui nessun potere potrebbe esimersi. Salvo imporre il silenzio della servitù…”

M. Foucault

Ilenia Barberio

Matric. 117006

Ciclo 07 FSCC

martedì 1 giugno 2010

[..] Il testo è (dovrebbe essere) la persona disinvolta che mostra il didietro al Padre Politico.[..]

Le plaisir du texte
Roland Barthes
di Girillo Mimmo

Barthes in questo suo libro ci spiega come l'uomo, (in questo caso il lettore) riscopre il piacere/godimento attraverso la coabitazione dei linguaggi, se leggiamo con piacere una frase, un testo o una parola è perchè sono state scritte nel piacere, che non è in contraddizione con i lamenti dello scrittore.Lo scrivere nel piacere, non garantisce in nessun modo allo scrittore che il lettore provi piacere ma, questo lettore bisogna che lo cerchi (lo draghi) senza sapere dov'è. Si crea quindi lo spazio necessario del godimento. Scrivendo il suo testo lo scrittore assume un linguaggio da lattante, inaffettuoso rivolgendosi al lettore in modo freddo come se dall'altra parte non ci fosse nè un corpo, nè un oggetto. Scrive questo testo-balbettio al di fuori da ogni godimento che è in fin dei conti solo un testo frigido, come lo è ogni richiesta prima che vi si formi il desiderio.
Il punto cruciale che sottolinea Barthes è che il testo che viene scritto deve dar la prova di desiderare il lettore. Questo desiderio è appunto la scrittura che è “la scienza dei godimenti”.
[..]La parte piu erotica di un corpo non è forse dove l'abito dischiude?”[..]
Barthes intende che nella perversione non ci sono zone erogene e vuole sottolineare che è l'intermittenza, la messinscena di un'apparizione-sparizione che è erotica. Nel corpo come nella narrativa non ci cono bordi, non c'è lacerazione, tutta l'eccitazione si rifugia nella speranza di vedere il sesso,di conoscere la fine della storia. É un piacere più che intellettuale, è un piacere edipico.
La parola può essere erotica a due condizioni opposte e tutte e due eccessive: se è ripetuta a oltranza, o la contrario se è inaspettata, quindi il piacere provato dalla sua novita (in alcuni testi le parole luccicano, sono apparizioni distrattive, incongrue poco importa che siano pedanti.)
Quello che si gusta in un racconto non è il suo contenuto, ne la sua struttura ma bensì le scalfiture, utilizzando due regimi di lettura uno diretto alle articolazioni del testo e quindi, ignorando i giochi linguistici, l'altro senza far passare niente aderendo al testo leggendo con applicazione e trasporto. Quello che a noi interessa è che in alcuni romanzi leggiamo tutto con la stessa intensità ovvero, stabiliamo un ritmo,disinvolto,poco rispettoso verso l’integrità del testo, l’avidità della conoscenza ci fa sorvolare certi passi, ci fa semplificare per trovare al più presto i luoghi scottanti dell’aneddoto. questo c'induce a saltare le descrizioni,le spiegazioni,le considerazioni proprio come uno spettatore ad uno streap tease. In qualche modo il piacere del testo è dato dall’interesse, dal modo in cui si guarda al corpo del testo. Gli Arabi, parlavano del testo usando la parola: corpo certo.
[..] Essere con chi si ama e pensare ad altro: è così che mi vengono i pensieri migliori..[..]
Allo stesso modo nel testo dice Barthes: se arriva a farsi ascoltare indirettamente produce in me il miglior piacere. Quindi se leggendo un testo non vengo in qualche modo avvinto,catturato, di conseguenza sono portato ad alzare spesso la testa questo può essere un atto leggero.L'emozione è un turbamento, e come qualcosa di perverso va contro la regola che vuol dare al godimento una figura forte, decisa, si va incontro a un turbamento: L'amore come passione? Il godimento come saggezza?
Se amassi il testo, se in qualche modo avessi una qualche voglia materna questo non mi annoierebbe?
La noia che può valersi di nessuna spontaneità: non c'è noia sincera: se personalmente il testo mi annoia è perchè in realta non mi piace la richiesta.Se un testo mi piace non è soltanto perchè al suo interno riesco a trovare del piacere o qualcosa scritta in modo da farmi provare piacere ma, può anche essere che al tempo stesso la noia nel leggerlo mi catturi e quindi fa si che io sia attratto più da questa noia che in realtà mi provoca piacere.
Il testo diventa un oggetto feticcio e questo feticcio mi desidera.
Nel testo in qualche modo io desidero l'autore ho bisogno della sua figura come lui della mia.Il testo è atopico nella sua produzione, da questa atopia esso comunica con il lettore uno stato particolare: calmoe insieme escluso. All'interno di questo particolare testo-feticcio la lettura con la quale riusciamo a provare un grande piacere sembra essere proprio la lettura tragica, il piacere per il tragico.
Come appunto ci sottolinea Barthes ad esempio in una fotografia quello che può colpirci è un qualche particolare straziante, (la foto di una madre che porta un lenzuolo bianco sul corpo del figlio morto per strada) o anche leggere un racconto di cui conosciamo già la fine.Tutto questo è in qualche modo normale perchè il semplice fatto di provar piacere leggendo, o guardando un particolare tragico fa si che si provi una emozione-piacere.
Il carattere asociale del godimento è la perdita brusca della socialità, la persona, la solitudine: tutto si perde integralmente.
Tutte le analisi socio ideologiche concludono del carattere delusivo della letteratura:
l'opera sarebbe sempre scritta da un gruppo socialmente deluso o impotente fuori dalla lotta per la collocazione storica, economica, politica; la letteratura sarebbe l'espressione di questa delusione.Queste analisi dimenticano però il formidabile rovescio della scrittura: il godimento: che puo esplodere attraverso secoli anche testi scritti in gloria della più tetra, della più sinistra filosofia.
Barthes citando un vecchio testo letto parla della rappresentazione al lettore,in questo caso mostra come rappresentare ad esempio del cibo che si trova su una tavola senza tralasciare i particolari si impone al lettore l'ultimo grado della materia ciò che in essa non può essere superato, respinto. Parlando di oscurantismo possiamo constatare che la popolazione Francese o per lo meno che un Francese su due non legge, si priva del la lettura, La metà della Francia si priva del piacere nel leggere un testo. Sembra che i francesi cosi facendo ovvero, rifiutando i libri rinunciuano soltanto a un bene morale, a un valore nobile. Anche se si riporta il piacere del testo nel campo della sua teoria e non in quello della sua sociologia riscontriamo sempre un'alienazione politica che è in causa: la preclusione del piacere. Si direbbe quindi che l'idea di piacere non lusinghi più nessuno.La nostra società sembra al tempo stesso assennata e violenta; come direbbe Barthes: frigida.
La frase è gerarchica: implica delle soggezzioni.Come potrebbe una gerarchia rimanere aperta? La frase è compiuta anzi sottolinea Barthes è il linguaggio quando è compiuto.La teoria dice che la frase è di diritto infinita ma è la pratica che obbliga sempre a finire la frase, il piacere della frase è molto culturale, a meno che per qualche perverso la frase non sia un corpo.
Piacere del testo.
Il piacere del testo lo possiamo definire come una pratica:luogo e tempo di lettura:casa.provincia,la famiglia dove dev'essere, cioè lontana e non lontana.
Testi di godimento.
Ovvero: il piacere a pezzi; la lingua a pezzi; la cultura a pezzi.Questi vengono detti perversi perchè sono fuori da ogni immaginabile finalità compresa la finalita del piacere.Ognuno di noi può constatare che il piacere del testo non è in qualche modo certo.Il godimento di un testo non è però precario assai peggio: è precoce non arriva al momento giusto, non dipende da alcuna maturazione, ma tutto si scatena in una sola volta.Questa foga è molto evidente anche nella pittura di oggi; tutto è giocato, tutto è goduto nella prima occhiata.
L'arte sembra essere compromessa,socialmente, l'artista può farsi cineasta,pittore o al contrario, se è pittore cineasta, può anche dar congedo alla scrittura.Può infine semplicemente distruggersi, smettere di scrivere. Il male che questa distruzione comporta è sempre inadeguata o si fa esterna all'arte e quindi diventa impertinente. La distruzione del discorso non è un termine dialettico ma un termine semantico.
Il testo di piacere quindi non è necessariamento quello che riporta dei piaceri, (come a sottolineato più volte Barthes nel suo scritto) e il testo di godimento non è mai quello che racconta un godimento,il piacere della rappresentazione non è legata al suo oggetto. In termini ”zoologici” si dirà quindi che il luogo del piacere testuale non è il rapporto fra il mimo e il modello (rapporto d'imitazione) ma solo quello fra l'ingannato e il mimo (rapporto di desiderio).Bisognerebbe continua, del resto distinguere fra le raffigurazioni e la rappresentazione (raffigurazione che sarebbe il modo di apparizione del corpo erotico nel profilo del testo). L'autore in qualche modo può apparire nel suo testo, ma non nella specie di una biografiza diretta (la quale accederebbe il corpo, darebbe un senso alla vita, forgerebbe un destino). O anche si può concepire desiderio per un personaggio di romanzo, o anche; il testo stesso, struttura diagrammatica e non imitativa, si può svelare sotto forma di corpo, scisso in oggetti feticci, in luoghi erotici.tutti questi movimenti attestano una figura del testo, necessaria al fine del godimento di una lettura. Come anche un film che sarà sempre figurativo anche se non rappresenta niente.Al contario invece di una rappresentazione che sarebbe una sorta di raffigurazione intralciata che è ingombrata da altri sensi oltre a quello del desiderio.Accade spesso che la rappresentazione prenda come oggetto da imitare il desiderio in sé, ma in tal caso questo desiderio non si distacca mai dai personaggi, dalla cornice di conseguenza possiamo dire che ogni semiotica che tenga chiuso nella configurazione degli attanti il desiderio, per nuova che sia è una semiotica di rappresentazione. La rappresentazione è questo: quando non esce niente, quando non salta niente fuori della cornice: del quadro, del libro, dello schermo).
[..] Il testo è (dovrebbe essere) la persona disinvolta che mostra il didietro al Padre Politico.[..]
Con ciò Barthes si pone dei quesiti in merito al rapporto che si instaura e dice:
Perchè, in opere storiche, romanzesche, biografiche, c'è un piacere a veder rappresentare la “vita quotidiana” di un'epoca, di un personaggio? Perchè questa curiosità dei minuti particolari: orari, abitudini, pasti, alloggi, abiti ecc.? E' forse il gusto fantasmico della “realtà”? La materialità stessa di questo stato? Non è il fantasma stesso a chiamare il “particolare”, la scena minuscola, privata, in cui posso prendere facilmente posto? Ci sarebbero insomma dei “piccoli isterici” (lettori) che ricaverebbero godimento da un (lo chiama così) “teatro singolare” (riferendosi non a quello della grandezza ma a quello della mediocrità).
Che cos'è la significanza? È il senso in quanto prodotto sensualmente.
Quello che cerca di stabilire è una teoria del soggetto materialista. Questa ricerca puo dice Barthes passare per tre stadi: può prima di tutto, riaprendo un'antica via psicologica,criticare spietatamente le illusioni di cui si circonda il soggetto immaginario; può successivamente o nello stesso tempo andare più lontano, ammettere la vertiginosa scissione del soggetto, descritto come una pura alternanza, quella dello zero e della sua cancellatura, inoltre può generalizzare il soggetto che non vuol dire massificarlo, collettivizzarlo; e ancora si ritrova il testo, il piacere, il godimento: a questo punto, non si ha diritto di domandare chi è dunque che interpreta?
Allora forse ritorna il soggetto, non come illusione ma come funzione. Viene ricavata quindi una forma di piacere da un modo d'immaginarsi come individuo, d'inventare un ultima finzione, delle più rare: il fittizio dell'identità. Questa funzione non è più illusione di un'unità; al contrario è il teatro di una sociètà dove facciamo comparire il nostro plurale: il nostro piacere è individuale ma non personale.
[..] ogni volta che cerco di analizzare un testo che mi ha dato del piacere, non è la mia soggettività che ritrovo, ma il mio individuo, il dato che fa il mio corpo separato dagli alrti corpi e gli appropria la sua sofferenza o il suo piacere: è il mio corpo di godimento quello che ritrovo.E questo corpo di godimento è anche il mio soggetto storico[..]
Il piacere è un neutro (la forma più perversa del demoniaco)
o per lo meno cio chee il piacere sospende è il suo valore di significato:la buona causa.il piacere del testo è questo:il valore promosso al rango suntuoso di significante.
Se fosse possibile conclude Barthes immaginare un'estetica del piacere testuale, bisognerebbe includervi: la scrittura ad alta voce. Questa scrittura vocale non si pratica mai, ma è senza dubbio questa che Artaud raccomandava eSollers richiede.
Nella'antichità la retorica comprendeva una parte dimenticata :l'actio insieme di rice tte atte a permettere l'esternamento corporeo del discorso: si trattava di un teatro dell'espressione, l'oratore-attore esprimendo la sua indignazione, la compassione, ecc
La scrittura ad alta voce, invece, non è espressiva ;lascia l 'espressione al feno-testo, al codice regolare della comunicazione per parte sua appartiene al geno-testo, alla significanza, e portata non dalle inflessioni drammatiche, le intonazioni maligne,gli accenti compiacenti, ma dalla grana della voce, che è un misto erotico di timbro e di linguaggio, e può quindi essere anch'essa, al pari della dizione, la materia di un'arte: l'arte di condurre il proprio corpo tenendo conto dei suoni della lingua. La scrittura ad alta voce non è fonologica ma fonetica; il suo obbiettivo non è la chiarezza dei messaggi , il teatro delle emozioni ; ciò ch'essa cerca sono gli incidenti pulsionali, è il linguaggio tappezzato di pelle, un testo in cui si possa sentire la grana della gola, la patina delle consonanti, la voluttà delle vocali, tutta una stereofonia della carne profonda: l'articolazione del corpo, della lingua, non è quella del senso, del linguaggio:qualcosa granula, crepita, accarezza, gratta, taglia: è godere.