modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

sabato 12 giugno 2010

IL TESTO
di Mariuccia De Vuono

Nel presente lavoro si mettono a confronto le due opere scritte da Michel Foucoult e Roland Barthes, ossia “L'ordine del discorso” ed “Il piacere del testo”, dove si evince che, nonostante siano partiti da basi teoriche dissimili, i due studiosi sono da considerarsi allo stesso modo i precursori di un movimento capace di rompere i canoni tradizionali della testualità, mettendo in discussione in particolare i concetti di autore, lettore e linearità.
Foucault insiste sul fatto che i confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente limitati, perchè esso si trova preso in un “meccanismo di rimandi” ad altri libri e vive solamente nella rete di libri e corrispondenze di significato che si stabilisce tra i testi medesimi.
Barthes parla di una testualità ideale che si manifesta tramite percorsi molteplici, una testualità aperta e sempre incompiuta descritta con termini quali: “collegamento”, “nodo”, “tela” e “percorso”. Tra lo scrittore ed il lettore si crea un apporto fondato su quello che possiamo definire desiderio: il desiderio del lettore di sapere e quello dell'autore di comunicare e di dire all'inquietante discorso della finzione l'unità e la coerenza tipiche di ciò che è reale.


I PUNTO.
Innanzitutto iniziamo col dire cosa intende Barthes per testo. Volendo utilizzare le sue parole diremo che il testo vuole significare:
“Tessuto; ma laddove fin qui si è sempre preso questo tessuto per un prodotto, un velo già fatto dietro al quale, più o meno nascosto, sta il senso (la verità), adesso accentuiamo, nel tessuto, l'idea generativa per cui il testo si fa, si lavora attraverso un intreccio perpetuo; sperduto in questo tessuto – questa tessitura – il soggetto vi si disfa, simile a un ragno che si dissolva da sé nelle secrezioni costruttive della sua tela. Se amiamo i neologismi, potremmo definire la teoria del testo come una ifologia (hyphos, è il tessuto e la tela del ragno)”.
Ed è proprio attraverso questo periodo che si può riassumere il concetto che l'autore ha del testo, egli utilizzando l'analogia con il ragno, considera il testo l'insieme del tessuto e della tela del ragno; dove il “tessuto” non è altro che l'insieme delle parole strutturate in base a delle norme grammaticali della lingua, mentre per “tela” si intendono le parole proprie messe a disposizione al parlante od allo scrittore.
Un testo, per essere considerato tale, deve soddisfare le seguenti specifiche condizioni:
- comprensibilità, ossia il testo deve essere espresso in un codice linguistico noto a chi legge o a chi ascolta;
- completezza, ossia nel testo devono essere presenti tutti gli elementi che lo rendono comprensibile;
- coerenza, ossia il contenuto del testo deve essere strutturato secondo una organizzazione logica di pensiero.
Ogni tipo di testo, quindi, viene ad essere sottoposto ad un vero e proprio “controllo” ed a una “selezione”, insiti nella società, attuati attraverso una sorta di procedure interne o esterne al testo discorsivo, aventi la funzione di limitare i poteri ed i pericoli che l'atto linguistico può nascondere. Ed è proprio di questo che si occupa Foucault nell'”ordine del discorso” dove afferma innanzitutto quanto non sia facile comprendere il testo, infatti esso “va letto e riletto per essere compreso, ma è un esercizio intellettuale stimolante...”. Tra le procedure esterne del discorso Foucault descrive le “procedure di esclusione”, tra le quali la prima è quella dell’interdetto. Chiunque non può parlare di qualsiasi cosa. Vi è un reticolo dal quale è impossibile uscire, vuoi perché l’oggetto del discorso è solo appannaggio di taluni, vuoi per il rituale della circostanza, vuoi perché l’oggetto è “tabù”. Pertanto vi sono regioni del sapere ( la sessualità e la politica innanzi tutto) in cui il buio è più fitto e nelle quali la trasparenza pare non esistere.Tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione (o negazione) di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere. Esso stesso è un potere.
Altra procedura di esclusione (socialmente condivisa) è la partizione (partage e/o rigetto della follia). “E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità”. Opposizione tra ragione e follia. Il discorso del folle non può circolare come quello degli altri. Più che un principio di esclusione l’autore lo definisce, appunto, una partizione: la parola di alcuni viene considerata “nulla”, come se fosse inesistente, è la parola del folle, di nessun valore, perché egli è inesistente per il diritto (non può firmare un contratto), inesistente per la Chiesa (nel rituale della messa non può ricevere la comunione). Il folle fa rumore, non parla. Le parole del folle erano e sono, la manifestazione della sua follia, il luogo in cui si compiva la partizione tra la sensatezza e l’insensatezza. Anche oggi, per Foucault, esistono meccanismi di partizione, che però sono azionati in virtù di nuove istituzioni, con nuovi effetti. Il folle si ascolta e si decifra tramite una rete di psicologi, psicoanalisti, medici (“armatura del sapere”).
Un terzo livello è quello dell’opposizione del vero e del falso (la volontà di verità). Solo che vero e falso sono concetti contingenti alla storia, in continuo movimento, sorretti da istituzioni che usano anche la coercizione per imporre la “verità” accettabile. Non è nel livello della proposizione dove Foucault situa la partizione vero/falso , ma su una scala più ampia, quella che considera la volontà della verità degli uomini lungo il corso della storia. Storicamente, per esempio, l’autore cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica; un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva. Dal vettore al contenuto, si potrebbe dire. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità. Parlando della nostra società, Foucault dice: “…Questa volontà di verità, come gli altri sistemi di esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema di libri…”.
E’ la costrizione della verità che fa paura, è la verità che si fonda sulle Istituzioni, che è sorretta da supporti istituzionali , è la verità “imposta”, è il discorso “vero” perché pronunciato “da chi di diritto”. E’ la “volontà di verità” sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionale che esercita sugli altri discorsi una pressione ed un potere di coercizione. E’ una volontà di verità che va aggirata, perché essa è capace di mascherare il vero.
Ciò che conta, dunque, è come la società valorizza, distribuisce e attribuisce il sapere (e la verità). Il discorso della verità, la volontà di verità, istituzionalmente sanzionata, preme sugli altri discorsi, perché parola del potere. E’ un discorso che non autorizza altre interpretazioni, che giustifica la verità dell’oggi, quella accettata e simbolicamente rappresentata. E’ razionale.
Secondo l’autore è la terza delle procedure di esclusione del discorso, la volontà di verità, che sta nel tempo togliendo spazio ed inglobando le atre due (parola interdetta e partizione della follia). Tuttavia, la volontà di verità non viene problematizzata, le sue procedure non vengono riconosciute. Perché?
La congiuntura sopra evocata – quella del passaggio dalla verità del discorso in quanto desiderio di verità che esercita il potere (ritualizzazione dell’enunciazione del discorso) alla verità del discorso in quanto enunciazione del vero, in quanto contenuto enunciato – ha mascherato con una patina di verità la volontà di verità, sicché essa diviene difficile da interrogare. Se un discorso è vero, perché chiedersi se lo è? Chi ha il potere di dire che la verità non è vera perché figlia di una volontà di verità storicamente e culturalmente plasmatasi?
Le procedure d’esclusione, dunque, concernono il desiderio ed il potere. Oltre a queste, esistono altre procedure di controllo e delimitazione del discorso. Se le procedure di esclusione sono procedure attuate dall’esterno, vi sono anche procedure interne al discorso, ovvero i discorsi tendono a controllarsi. Sono procedure che funzionano come principi di classificazione, d’ordinamento e di distribuzione che vogliono padroneggiare una dimensione del discorso che Foucault chiama dell’evento (évenemént) e del caso.
Tra le procedure interne di controllo del discorso Foucault descrive:
a) Il commento.
Per l’autore nella società esiste un dislivello tra i discorsi: quelli che “si dicono” ma che non restano, passano nel momento in cui vengono enunciati; e quelli che “restano”, che originano nuovi atti, che vengono ritualmente trasmessi, che variano, che vengono ripresi o citati (esempi forniti per il nostro sistema culturale: testi religiosi e giuridici, letteratura, libri scientifici). Le categorie non sono immodificabili: quello che oggi si commenta domani sarà dimenticato. Ma la funzione resta, per Foucault. Dunque, tra i testi primitivi (primari) e quelli di commento vi è una relazione per cui i primi possono tornare, ritualizzarsi, moltiplicare il proprio senso. Si possono, allora, costruire nuovi discorsi. Il commento deve dire per la prima volta quel che era stato detto e che non era stato detto. Il commento è un discorso che non nasce dal caso, parte da un testo, dice cose anche diverse, ma ripropone il testo di partenza. Nel commento il “nuovo non è in ciò che è detto, ma nell’evento del suo ritorno”.
Il commento limita il discorso, lo controlla, lo fossilizza:
“ l’indefinito spumeggiare dei commenti è lavorato dall’interno dal sogno di una ripetizione mascherata. Al suo orizzonte, non vi è forse nient’altro che ciò che era al suo punto di partenza, la semplice recitazione. Il commento limita il discorso col gioco di una identità che ha la forma della ripetizione”.
b) L’autore.
Foucault non intende per autore chi scrive o recita un testo, ma “l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità di origine dei loro significati”. La funzione dell’autore trascende la presenza e la materialità di chi realmente scrive un’opera; a seconda delle epoche in Europa l’autore ha conferito status di verità alla propria opera solo in virtù della sua firma, oppure non si è preoccupato di rendere nota la sua identità, come per i testi letterari del Medioevo. L’autore sceglie le parole che dovranno forse comporre un’opera che resterà, e propone nella quotidianità altre parole, che invece cadranno. Credo che la funzione dell’autore implichi la fase del commento, che ripete ciò che esiste in salsa nuova. Il principio dell’autore, invece, limita il discorso alla sua individualità, cerca di dare coerenza alle infinite possibilità del linguaggio.
c) La organizzazione delle discipline.
La disciplina è un insieme di metodi, un corpus di proposizioni considerate come vere. Essa ha una funzione restrittiva del discorso perché non accetta in sé quello che non è metodicamente accertato secondo la propria organizzazione interna, neanche se il postulato nuovo risultasse vero esso troverebbe la strada sbarrata dalla dogana della organizzazione precostituita che forma l’essenza di una tal disciplina. In questo senso l’organizzazione della disciplina limita dall’interno il discorso. La disciplina, o meglio l’organizzazione delle discipline, richiama principi diversi da quelli del commento e della funzione dell’autore. La disciplina non è individualizzante, è definita da un campo di oggetti e di metodi, è non è ripetitiva, ma al contrario è propositiva, necessita di nuovi enunciati. Però non tutto quello che può essere detto di vero costituisce il patrimonio di una disciplina, perché in una disciplina convergono anche errori che poi avranno una funzione propositiva, e poi la verità, in una specifica disciplina, deve essere esposta secondo regole determinate con contenuti determinati (strumenti concettuali o tecnici, metafore accettabili). Per l’autore, “la disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso”. Lo fa riattualizzando le regole per cui una proposizione può dirsi “nel vero”, appartenente a buon diritto ad una disciplina, se ne condivide i campi teorici.

Un terzo gruppo di procedure di controllo del discorso colpisce le condizioni di messa in opera dei discorsi, e quindi limitano (e selezionano) gli individui che vogliono tenerli (i soggetti parlanti). Non tutte le regioni del discorso sono alla portata di tutti, perché appesantite da sistemi di regole e condizioni per la loro attuazione. Foucault dice che lo scambio e la comunicazione sono “figure positive che operano all’interno di sistemi complessi di restrizione”, da cui non sono indipendenti. Il rituale è un sistema di costrizione che implica comunicazione: il rituale definisce le qualità che deve avere l’officiante (che deve agire, muoversi e parlare secondo formule convenzionali, dunque restrittive); determina l’efficacia del discorso su coloro che ascoltano e impone dei limiti. Le proprietà del parlante determinano dunque chi può officiare in rito e chi no.
Altri esempi di limitazione del soggetto parlante:
- le società di discorso: fanno circolare i discorsi in ambienti “chiusi”;
- le dottrine: assoggettano bidirezionalmente soggetti parlanti e discorsi;
- l’appropriazione sociale dei discorsi: l’educazione distribuisce divieti e permessi segnati dalla distanza tra le classi sociali. Per Foucault “ogni sistema di educazione è un modo politico di mantenere o di modificare l’appropriazione dei discorsi, con i saperi ed i poteri ch’essi comportano”.
In conclusione, i soggetti parlanti non possono accedere a tutti i tipi di discorso, e non tutti i tipi di discorso sono fatti propri dai gruppi sociali. Questi sono i sistemi di assoggettamento del discorso.

II PUNTO.
Barthes distingue due tipi di testo: il testo di piacere e quello di godimento.
Il testo di piacere è quello che appaga, che soddisfa, che dà euforia. Il piacere della lettura non è dato solo dalla correttezza delle forme grammaticali, così come il piacere fisico non è dato soltanto dal soddisfacimento di un bisogno fisiologico. Il piacere è invece dato dall'aspettativa che le parole riescono a creare nel lettore, dal fatto che qualunque cosa si dica del piacere, sarà una introduzione a ciò che non sarà mai scritto. Di un testo se ne può parlare, attraverso la critica od il commento. La critica è per usare le parole dell'autore “entrare nella perversione dello scrittore, osservare di nascosto, quasi clandestinamente il suo piacere”. Del commento invece, come detto sopra, ne parla Foucault: “il commento scongiura il caso del discorso assegnandogli la sua parte: esso consente certo di dire qualcosa di diverso dal testo stesso, ma a condizione che sia questo testo stesso ad essere detto e in qualche modo compiuto”. Vi sono quindi dei discorsi, che passano con l'atto stesso del pronunciarsi, mentre altri che invece sono alla base di altri enunciati che da un lato riprendono un testo già scritto, dall'altro dicono con parole nuove e nuovi contenuti ciò che era già stato espresso nel testo originale.
Il testo di godimento è quello che mette in stato di perdita, che sconvolge il lettore fino a fargli perdere la consistenza del proprio io. In questo caso si ha un carattere asociale di godimento. Questo tipo di testo è un testo insostenibile, impossibile, perchè è un testo fuori – piacere, fuori – critica, fuori dall'ordinario, cioè è atipico. Di un testo sì fatto non si può parlare, se non attraverso un altro testo di godimento, scrivendo nello stesso modo. Il godimento è l'eccezione della regola, la ribellione, la novità, è il piacere fatto a pezzi e non arriva al momento giusto, né giunge piano piano a maturazione, ma è una foga che si scatena tutta in una volta sola. Il godimento è perciò la scossa che precede il piacere, la fonte da cui quest'ultimo ha origine.

III PUNTO.
Il testo è composto da quello che Barthes chiama “immagini del linguaggio”: la parola, la scrittura, la frase.
La parola è intesa come unità singola, come strumento o segno grazie al quale abbiamo la possibilità di esprimere un pensiero. Foucalt sostiene infatti che un atto discorsivo è “un pensiero rivestito dai segni e reso visibile dalle parole”. Per portare avanti il suo lavoro, Foucault spiega i principi metodologici che intende seguire:
- principio di rovesciamento: autore; disciplina; volontà di verità non sono fonti da cui il discorso fluisce libero e si moltiplica, ma fattori restrittivi di rarefazione del discorso.
- principio di discontinuità: autore; i discorsi sono pratiche discontinue, che si intrecciano, affiancano ma anche ignorano ed escludono. Non esiste una volta svelati i meccanismi di rarefazione del discorso, un mondo del non – detto da portare alla luce.
- principio di specificità: il discorso non spiega la natura del mondo e delle cose, è invece una pratica che si impone alle cose, non è una decifrazione meccanica del mondo. Il discorso, però, rende regolari gli eventi.
- principio dell’esteriorità: partire dal discorso per cercarne le possibilità esterne che l’hanno reso ciò che è (limitandolo), non decifrarne un possibile contenuto interno.
La scrittura è la traslitterazione della parola. Barthes la definisce come “la scienza dei godimenti del linguaggio, il modo in cui le parole vengono distribuite all'interno del testo”. Si può scrivere secondo due criteri: conformandosi e seguendo adeguatamente i canoni stabiliti dalle scuole, dalle buone maniere, dalla cultura, oppure si può scrivere utilizzando un metodo di scrittura mobile, vuoto, pronto a cambiare per assumere qualsiasi effetto l'autore voglia dargli. Si vedono così contrapposti due modelli di scrittura: il primo che ha come base la cultura, il secondo che invece mira a distruggere la cultura stessa. Il piacere del testo è dato da una via di mezzo tra questi due modi di scrivere. La tecnica che maggiormente attrae il lettore è la suspance, una improvvisa rottura del racconto che si spiega progressivamente e che fa crescere la voglia di sapere, la volontà di verità di cui parla Foucault.
La frase è la misura logica di un discorso, quando è compiuta, rende compiuto anche il discorso stesso. La frase è gerarchica, al suo interno si riscontrano infatti delle reggenze e delle subordinazioni. Barthes la paragona al “gioco degli scacchi: immutabile per quanto riguarda la struttura, ma infinitamente rinnovabile nel suo contenuto”.