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La conferenza prende le mosse da una forte tendenza critica tipica della letteratura contemporanea e in forte rottura rispetto a quella dell’Ottocento. Nell’Ottocento, infatti, si studiava un’opera letteraria perché la si considerava utile per approfondire ed analizzare l’individualità dell’autore e per scoprirne il volto nascosto. Al contrario, nella letteratura contemporanea, si da sempre più spazio all’idea che un’opera non coincida con l’individualità concreta e psicologica dell’autore anzi si crede che l’opera porti, in un certo senso, alla morte dell’autore e che essa presupponga il sacrificio dei caratteri particolari del soggetto a vantaggio di quelli neutrali ed anonimi del linguaggio.
L’idea di Foucault ruota intorno al concetto fondamentale di una funzione-autore che si sostituisce all’autore come individuo e fa emergere le condizioni formali di pratiche discorsive specifiche ed è per questo che diviene necessario studiare il ruolo del linguaggio e del discorso nella filosofia foucaultiana. Nonostante tutto, però, bisogna rendersi conto che tralasciare la figura dell’autore non è cosa facile, poiché sentiamo con tale personaggio un forte legame e difficilmente riusciamo a metterne in dubbio l’evidenza: esso rappresenta il punto forte dell’individualizzazione nella storia delle idee e in quella delle scienze.
A partire dal 1966, Foucault si dedicò, assieme a Deleuze, alle edizioni francesi delle opere di Nietzsche e fu proprio a partire da questa esperienza che si rinforza in lui l’interrogativo su come trattare il rapporto opera-autore. L’attribuzione di un autore, poi, non costituisce una funzione omogenea e per dimostrarlo Foucault fa quattro esempi che minano la spontaneità nell’associare un’opera all’espressione di un parlante o di uno scrivente che noi chiamiamo autore.
Il primo di questi esempi vuole minare il carattere storico di questa categoria. Essa, infatti, emerge solo quando diventa necessario un referente giuridico a cui possa appellarsi la legge nel caso di violazione di norme.
Una seconda caratteristica è la maniera diversa in cui si esercita la funzione-autore in base alle differenti discipline. Prima del diciottesimo secolo il nome dell’autore era fondamentale nei testi scientifici poiché garante del valore di verità, mentre i testi letterari circolavano perlopiù in maniera anonima. Più tardi, ci spiega Foucault, questa situazione viene ribaltata tant’è che l’importanza di un’opera letteraria è strettamente connessa alla fama del suo autore, mentre una scoperta scientifica viene considerata valida ed innovativa a prescindere da chi l’ha portata a termine.
Il terzo esempio fatto da Foucault riguarda l’attribuzione di un insieme di opere (un corpus appunto) alla medesima persona. La critica moderna applica come metodo quello dell’esegesi cristiana che presenta, però, diversi limiti: non tiene conto degli pseudonimi, degli abbozzi, delle lettere e delle infinite tracce verbali che ogni autore lascia dietro se stesso.
Il quarto ed ultimo esempio si basa sull’ambiguità degli elementi grammaticali presenti nel testo che non rimandano ad una sola persona, ma testimoniamo una pluralità di individui parlanti e scriventi.
La categoria dell’autore non rappresenta una solida base di argomentazione e diventa difficile, di conseguenza, porsi altri quesiti come l’evoluzione di una mentalità o l’influenza di un pensiero all’interno di un’opera. L’opera, dice Foucault è «l’effetto superficiale di unità più consistenti» e richiede uno studio approfondito delle pratiche discorsive entro cui essa ha validità.
Lo strutturalismo, a cui Foucault non è certo estraneo, si basa sull’idea di intransitività della letteratura che è un principio che postula l’assenza di un senso basato sull’intenzionalità dell’autore, per dare spazio al proliferare di un linguaggio infinito rinnovato eternamente nella letteratura. Foucault, infatti, dà molta importanza alla forma e tutto ciò accade in seguito al primato ottenuto dal significante rispetto al significato dopo la diffusione delle idee della linguistica saussuriana e dell’influenza del formalismo russo.
Il formalismo russo inaugura il rifiuto del testo letterario fondato su un’analisi psicologica del’autore e baluardo di questa concezione è l’opera di Šklovskji L’arte come artificio comparso nel 1919. La corrente formalista russa esercita una grandissima influenza sullo strutturalismo francese basti pensare a due figure quali Roman Jakobson e Tzvetan Todorov che hanno costituito un vero e proprio ponte tra le due culture.
Tornando alla conferenza, ricordiamo che in questa vennero trattati temi già precedentemente affrontati nell’opera La mort de l’auteur di Roland Barthes. In questo piccolo articolo vengono riproposte importanti riflessioni come il confluire della soggettività nella scrittura che per Barthes è un ambito autonomo del linguaggio. Secondo Barthes la nascita dell’autore è un fenomeno concomitante alla nascita dell’individuo nell’età moderna. Così l’età contemporanea è caratterizzata dalla messa in discussione della soggettività e del carattere antropologico delle scienze che hanno prodotto un discorso letterario di cui gli autori non sono gli artefici. L’autore, secondo Barthes, viene sostituito dallo scripteur ovvero dal copista. Nella letteratura di Barthes l’opposizione tra écrivain (sinonimo di auteur) e scripteur gioca un ruolo fondamentale.
Già in lavori precedenti ( Sur Racine) Barthes aveva messo in discussione la centralità dell’autore e l’idea di un legame causale tra lui e la sua opera. Infatti, l’autore e l’opera sono solo il punto di partenza di un’analisi il cui orizzonte è il linguaggio.
Alla fine del testo della sua conferenza Foucault approda all’idea che l’autore è una figura variabile nel corso del tempo e della storia, non definita ma sempre legata alle pratiche di una società in cui i testi vengono trattati. Per Barthes e per Foucault il soggetto e l’autore incontrano l’annullamento della loro capacità individualizzante. Non si può negare che in entrambi i pensatori il discorso sulla morte dell’autore si leghi ad un’opposizione alla borghesia. Un aspetto importante di questa concezione è la problematizzazione del rapporto tra linguaggio e soggetto: il soggetto dell’enunciato non è più la sua origine unica ed assoluta, ma è una funzione rivestibile da una molteplicità di individui. Il linguaggio della letteratura contemporanea è irriducibile al pensiero e non funge da pura traduzione delle rappresentazioni del pensiero. Esso appare in tutto il suo essere frammentario e anonimo. È un mormorio senza autore in cui esso mostra il suo essere più proprio e ritrova lo spessore che lo pone come oggetto di scienza.
Il linguaggio è indipendente dal soggetto parlante e dagli oggetti designati. La sua materialità assieme alla limitatezza della parola, aprono al linguaggio letterario un infinito spazio di nuovi e possibili significati in cui ciò che si esprime non è la parola dell’autore, né dell’uomo, né quella di Dio, ma il linguaggio stesso.
Nel diciannovesimo secolo, ci dice Foucault, la situazione storica del periodo ha fatto nascere la filologia e la letteratura che, secondo lui, sono due facce della stessa medaglia. Foucault, nonostante sia molto vicino alle idee di Barthes, col passare del tempo comincia a diffidare dell’idea dell’autonomia della letteratura rispetto agli altri discorsi teorici e del primato del significante sul significato. Secondo Foucault, la letteratura, in quanto discorso sul linguaggio puro, manifesta un certo carattere paradossale, per cui essa è allo stesso tempo incompatibile con il discorso sull’uomo, poiché il linguaggio è sempre anteriore al soggetto, e tuttavia costantemente ricondotta al campo del trascendentale e all’emergere dell’uomo come oggetto di studio, dal momento che essa è uno dei prodotti di quella che Foucault chiama analitica della finitudine ovvero di un pensiero che tenta di definire le condizioni di possibilità della conoscenza a partire dalla contestazione del limite finito della natura umana. La linguistica strutturale è una contro-scienza perché se da un lato conduce alla dissoluzione dell’uomo, dall’altro manifesta sempre i tratti della riflessione trascendentale perché si fonda sull’opposizione significato/sistema.
Nonostante il riconoscimento di questa natura paradossale del linguaggio, che si riflette nella letteratura e nella linguistica, non vuol dire che la posizione di Foucault porti ad un superamento di esse. Infatti da un lato si può presupporre un atteggiamento di sospensione tra creare una nuova forma di pensiero oppure chiudersi in un modo di sapere costituito nel secolo precedente. L’idea che la letteratura non fa altro che parlare di se stessa e del linguaggio e che è necessaria per lo studio di quest’ultimo non è più sufficiente e ciò è dimostrato nella teoria di Foucault dal fatto che egli utilizzi maggiormente il termine discorso rispetto linguaggio. Infatti, non studia il linguaggio, ma il discorso in quanto insieme delle rappresentazione epistemiche in un dato momento storico.
In un’intervista del 1970, Foucault si rifà al carattere autonomo della scrittura che ritroviamo negli scritti di Barthes, soffermandosi sugli aspetti trasgressivi di questa. Questo tema viene anche accennato nell’opera L’ordine del discorso, dove Foucault paragona la scrittura ad una sorta di assoggettamento. Oltre ad insistere sul fatto che l’autonomia della letteratura sia una caratteristica storica, spiega la necessità di integrare la letteratura con un’azione di tipo politico ed è in questo momento che si cerca di capire l’oscuro passaggio in Foucault dall’interesse della letteratura allo studio delle forme di potere che è un discorso non senza conseguenze per quanto concerne la figura dell’autore. la letteratura contemporanea è un luogo neutro che scagiona colui che lo scrive, alleggerendolo della responsabilità della sua opera. Identificando nello scrittore un luogo passivo in cui si incontra un linguaggio superiore, ha cancellato l’atto linguistico che lega l’autore alla sua opera e che sta all’origine della figura dell’autore come referente giuridico delle parole pronunciate o scritte. L’insistere da parte di Foucault sulla problematicità di certe caratterizzazioni tradizionali della figura dell’autore , ritenute, oggi traballanti, non equivale a decretarne la sua morte assoluta. Alla luce della critica che Foucault fa nell’intervista del 1970 bisogna chiedersi se egli, invece di sigillare la morte dell’autore, non voglia al contrario, optare per una direzione diversa. Quando egli parla di funzione-autore si pone seriamente il problema di occuparsi dei fitti intrecci di relazioni che ne prendono il posto, in opposizione all’abbandono al relativismo di un linguaggio anonimo e scevro di ogni interesse politico ed etico.
Per capire come la cosiddetta analisi archeologica della funzione-autore assume un posto così determinante a discapito dell’interesse per la critica letteraria è infatti indispensabile citare Nietzsche come riferimento costante delle riflessioni foucaultiane.
Nietzsche, infatti, nel momento in cui nella Genealogia della Morale vede nel linguaggio e in chi lo detiene il fondamento del potere che genera discorsi filosofici e morali, pone per primo la domanda sul «chi parla» come centrale per la filosofia. A tale interrogativo la letteratura ha combattuto col motto già citato «Cosa importa chi parla?». Foucault parla qui di una distanza mai colmata entro cui si situano tutti gli studi sul linguaggio che hanno portato alla dissoluzione dell’uomo/soggetto/autore. Eppure non è così semplice sbarazzarci di lui. Il vuoto lasciato dall’autore deve fare scattare una ricerca ancora più approfondita che risponda dell’impegno filosofico che la domanda di Nietzsche ha posto.
Abbandonare la letteratura significa inaugurare una teoria delle pratiche discorsive che non poggi esclusivamente sulle forme del linguaggio. Se il linguaggio continua ad incarnare uno dei luoghi privilegiati in cui il sapere si manifesta, la questione centrale non consiste nello studiare le sue forme: esso non è altro che una superficie di una trama molto complicata che si apre dietro di esso. Il problema del linguaggio in Foucault non è mai separabile da altri due temi fondamentali, follia e trasgressione che si incrociano continuamente delineando nel loro punto d’incontro il vuoto lasciato dal soggetto. Per questo motivo si può capire come il linguaggio in Foucault non assuma lo stesso statuto autoreferenziale che ritroviamo nello strutturalismo di Barthes. Esso non pone le condizioni formali allo studio delle altre discipline con le quali,al contrario, si intreccia continuamente. Il problema dell’autore è un caso particolare della ricerca metodologica cui Foucault offre un dispiegamento teorico. Come facciamo ad affrontare certe unità epistemologiche a noi familiari come quelle di autore, libro, teoria all’interno di un’analisi che procede proprio smembrandole? E Foucault risponde facendo entrare in gioco oltre a delle pratiche discorsive, delle pratiche non discorsive. Per comprendere la funzione-autore è necessario concentrarsi sul regime di appropriazione del discorso, ovvero sul come si definisca il diritto di qualcuno a parlare e ad essere competente nella comprensione di un certo tipo di discorso, chiamando in causa degli elementi esterni quali il desiderio , gli interessi e i rapporti di potere. Lo statuto di autore comporta, innanzitutto, un sistema di differenziazione e di rapporti a diversi livelli. L’atto linguistico da cui si ottiene il nome dell’autore implica una pratica diversa dal nominare un semplice elemento del discorso. Quindi se l’autore come individualità scompare, resta la funzione classificatoria che permette di fare luce sui rapporti di omogeneità, di filiazione, d’autentificazione, di spiegazione reciproca o concomitante tra differenti testi che si ritengono attribuibili alla stessa persona: essa permetterebbe di delineare la figura dell’autore dall’esterno, come sagoma vuota che si crea dall’intersezione delle diverse pratiche che compongono la funzione-autore.
La funzione-autore indica inoltre che un certo tipo di discorso assume una valenza ed un’importanza specifica, segnando una rottura con il discorso da cui ha preso le mosse, essa dà vita a un certo gruppo di discorsi e al suo modo di essere ed è quindi caratteristica di un certo modo di esistenza, di circolazione e di funzionamento all’interno di una società. Si potrebbero associare questi procedimenti alle categorie elaborate da Foucault in cui si propone un’analisi degli enunciati in base ad un principio di rarefazione,il quale si propone di filtrare tutto ciò che rimanda ad un’intenzione soggiacente per fare emergere la singolarità dell’enunciato in quanto evento, così come esso si presenta nel suo aspetto più esplicito e superficiale. La funzione-autore, sprovvista delle caratteristiche di interiorità e di intenzionalità, si collocherebbe precisamente entro questo tipo di pratiche. Foucault insiste sul nome come funzione primordiale poiché, secondo lui, è attraverso il nome che in un’opera si segna una modalità irriducibile al mormorio anonimo di tutti gli altri linguaggi. Propone di sostituire all’autore il ruolo di fondatore di discorsività. Già in una conferenza del 1968, Foucault dice che ciò che caratterizza la cultura contemporanea non è voler sapere tutto, ma voler dire tutto,moltiplicare all’infinito gli oggetti del discorso. Il discorso ha un legame molto stretto sia con il desiderio che col potere, non tanto poiché nasconde il desiderio o perché è strumento ideologico del sistema dominante: il discorso è, in primo luogo, oggetto del desiderio, ciò di cui il potere cerca di impossessarsi e l’unico modo per impadronirsi del discorso è isolarlo, delimitarlo, definire l’opposizione per cui esso può essere vero o falso, imporre dei nomi, così come quelli degli autori, la cui autorità ostacoli questo proliferare. L’autore non scompare in Foucault: continua a scrivere nonostante la sua individualità sia stata travolta dal partage tra il desiderio, che moltiplica i discorsi e il potere, che li limita
C’è comunque una doppia tendenza che emerge nell’accostare il tema del’autore allo studio dei rapporti di potere, tendenze che emergerà più tardi in maniera esplicita: non c’è separazione fra il proliferare di un discorso, il rapporto che esso detiene con il desiderio di moltiplicarsi all’infinito, e il discorso sul potere che per impadronirsene lo limita. Questa volontà di impadronirsi del discorso, questa volontà di dire, viene letta da Foucault come la chiave fondamentale che ha permesso che, nei diversi contesti storici, si producessero certi tipi di opposizioni tra il discorso vero e quello falso.
La funzione-autore deve essere considerata all’interno del metodo critico che egli applica allo studio dei sistemi di verità che delimitano le pratiche discorsive.