modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

martedì 6 luglio 2010

Barthes e Freud: Il piacere

Si può trarre piacere dalla lettura di un testo allo stesso modo in cui soddisfiamo le nostre pulsioni fisiologiche? È possibile ritenere un testo alla pari di qualunque oggetto erotico che ci provoca piacere? I continui rimandi di Barthes alle concezioni freudiane del piacere e del desiderio, nonché i riferimenti espliciti alla psicanalisi, ci indirizzano esattamente verso quest’idea: il piacere,il godimento sono qualcosa di univoco,non importa che siano diretti verso un corpo fisico o verso una qualunque espressione artistica. Ma andiamo per gradi. Innanzitutto come si distingue un testo di piacere da un testo freddo, da un “testo-balbettio”? Barthes afferma che un testo di piacere non è solo un testo scritto nel piacere, dal momento che il piacere di uno scrittore non corrisponde necessariamente con quello del suo potenziale lettore, il testo deve dare la prova di desiderare il lettore,di sceglierlo attraverso una serie di elementi dispersi nel testo. Ma il testo di piacere non va confuso con il testo di godimento. Barthes riconosce fra questi due testi una sorta di ambiguità per cui essi tenderebbero per alcuni versi ad identificarsi ma in realtà esistono delle differenze precise. Quando parliamo del testo di piacere ci riferiamo alla capacità di quest’ultimo di soddisfarci, di appagarci,esso è legato ad una tipologia di lettura confortevole del tutto in accordo con la nostra cultura. Il testo di godimento da questo punto di vista è esattamente l’inverso, esso ci sconforta, ci mette in uno stato di perdita , fa di tutto per far vacillare i nostri punti di riferimento, riesce a metterci totalmente in crisi. Esiste inoltre un'altra differenza che si fonda a partire da alcuni assunti psicanalitici per cui il piacere è dicibile,il godimento no. A partire da Lacan a Leclaire entrambi hanno affermato che il godimento rimane interdetto a chi parla, tutt’al più può essere espresso fra le righe. È per questo motivo che la critica dei testi si basa solo sui testi di piacere ed è sempre storica o prospettica. Il presente del godimento non si può spiegare a parole poiché la critica si basa sempre su delle radici culturali che mancano totalmente al godimento. La lettura del testo di godimento ha in se qualcosa di perverso: “So bene che sono solo parole,ma con tutto ciò…” , ci lasciamo trasportare da quella finzione come se fosse reale e in un attimo tutti quelli che sono i gusti, i valori, i ricordi del lettore, vengono persi di vista. Barthes definisce il lettore come una sorta di controeroe che nel momento del piacere costruisce uno spazio personale e completamente asociale in cui abolisce tutte le barriere imposte dall’esterno che rifiutano i prinpici dell’illogicità e della contraddizione. È una sorta di eterno conflitto fra l’Io e il Superio. Freud meglio di chiunque altro ha messo in luce questo contrasto affermando che la vita psichica deve essere intesa in termini di pulsioni,prevalentemente di carattere sessuale,che sono una sorta di energia interna che deve essere in un modo o nell’altro scaricata onde evitare di star male. Freud definisce questa energia libido. Secondo lo psicanalista nella nostra psiche convivono due principi che sono il principio del piacere e il principio della realtà. Il primo tende a soddisfare la libido,l’altra la contrasta per far integrare l’individuo nel contesto sociale. Ne deriva che col tempo le diverse autorità a partire dalla figura paterna ci portano a reprimere le nostre passioni tanto da rimodellare il nostro io e il nostro comportamento per essere ben accetti all’interno della società. È la vittoria dell’apollineo nietzschiano sul dionisiaco, la vittoria della razionalità e della società sugli impulsi irrazionali e vitalistici dell’individuo, una sorta di dovere kantiano che ci impedisce di fare ciò che l’Io vorrebbe fare. Ma esiste un luogo indisturbato in cui è ancora possibile soddisfare i propri istinti e questo luogo è il corpo testuale. A quanto pare per Barthes anche ciò che spinge uno scrittore a produrre un testo non è altro che un ripiego rispetto a un impulso non soddisfatto. “Folle non posso, sano non degno,nevrotico sono” scrive Barhes. I testi vengono scritti per incanalare quello stato di nevrosi che scaturisce dall’impossibilità di rispondere alle nostre esigenze, alle nostre richieste, così che l’autore si rifugia nel testo e quello che ne risulta sono dei testi paradossalmente invitanti che riescono a sedurre il lettore. “L’opera in fondo sarebbe scritta da un gruppo socialmente deluso o impotente … la letteratura sarebbe l’espressione di questa delusione”.La nevrosi per Freud derivava essenzialmente da questo. I nostri istinti per quanto possano essere repressi o limitati dalle regole esterne non potranno mai essere eliminati del tutto perché fanno parte del nostro modo di essere. Ne consegue che affinchè l’individuo viva in uno stato di equilibrio interno ha bisogno comunque di esternare i suoi impulsi, non importa se ciò avviene attraverso una forma d’arte o meno. È proprio la mancanza di equilibrio secondo Freud, a scatenare quei conflitti psicologici interni che a lungo andare provocano appunto condizioni di nevrosi, di isteria o addirittura dei traumi. Neanche il lettore, secondo Barthes, si può ritenere esente da queste forme di nevrosi. Esistono infatti, secondo il filosofo, quattro tipologie di lettore in base al rapporto che si instaura fra la nevrosi e la forma allucinata del testo:

· Il feticista,ama il testo in quanto spezzettato,ritagliato,prova piacere per le singole parole.

· L’ossessivo,quelli per cui il linguaggio ritorna di cui fanno parte logofili, linguisti,semiologi,filologi ecc.

· Il paranoico,ama i testi che assumono la forma del ragionamento,i testi tortuosi

· L’sterico,si getta nel testo prendendolo per oro colato.

Ma questo non è l’unico aspetto per cui associamo Freud a Barthes. Quando parliamo di testo ci riferiamo ad esso come se esso fosse un corpo costituito da diverse zone erogene, proprio come un corpo umano. Alcuni eruditi arabi, afferma Barthes, definiscono il testo come corpo certo. Il testo non è solo un corpo nel senso in cui lo intendono i grammatici ma è anche un corpo di godimento costituito da relazioni erotiche e che non ha nessun rapporto col testo in senso fisico. Infatti il piacere del testo non si può ridurre alla sua grammatica così come il piacere corporeo non si può ridurre al semplice bisogno fisiologico. Quando leggiamo un testo trasferiamo il nostro corpo erotico nel testo in modo che esso assuma una forma umana e lo lasciamo libero di soddisfare i propri bisogni. Non solo, nel processo di lettura il testo diventa un oggetto di piacere alla pari di tutti gli altri , e ciò può avvenire in due modi differenti : Associando il testo a qualunque piacere della vita oppure identificandolo come uno dei luoghi o dei momenti della nostra perversione. Ora secondo Barthes queste due modalità andrebbero unificate in modo da eliminare quell’apparente contrapposizione fra vita pratica e vita contemplativa. Un corpo testuale però non necessariamente deve appagarci, viceversa un testo può rimanere nella sfera del semplice e puro Desiderio. Il desiderio è quello che caratterizza un testo erotico rispetto a un semplice testo. Barthes sottolinea questa differenza anche all’interno di un'altra sua opera ovvero ne “La camera chiara” , dove in alcuni passi, analizzando una fotografia erotica realizzata da Mapplethorpe afferma che essa, a differenza delle foto pornografiche in cui l’intento è semplicemente quello di ostentare il sesso, lascia spazio all’immaginazione andando al di fuori della sua cornice. È un po’ la stessa differenza tra raffigurazione e rappresentazione teorizzata da Barthes a proposito dei testi, ma ci tornerò più tardi. “La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si dischiude?” E’ a partire da questa affermazione che Barthes spiega l’analogia tra l’erotismo di un corpo e quello prodotto da una forma d’arte. Egli afferma che come un corpo erotico si caratterizza per il fatto che non mostra tutto ma vi è una sorta di gioco di apparizione- sparizione, o come afferma la psicanalisi, di intermittenza, così un testo erotico è proprio quello che ci non presenta subito la verità, per cui siamo animati dal desiderio di conoscere la fine della storia. Ci comportiamo, dice Barthes, come degli spettatori di cabaret che saliamo improvvisamente sul palco per accelerare lo strip-tease della ballerina. Allo stesso modo imponiamo il ritmo ai nostri testi,più il desiderio di conoscenza è forte più siamo portati a sorvolare quelle parti del testo che riteniamo poco funzionali a svelare la verità, per cui leggiamo rapidamente descrizioni, conversazioni ecc. Se da un lato quindi l’erotismo è rappresentato da un sogno da collegiale,quello di vedere il sesso, dall’altra viviamo il desiderio molto più intellettuale della soddisfazione romanzesca. È per questo che Barthes preferisce i racconti brevi. I testi devono essere necessariamente corti per lasciare spazio al desiderio, all’immaginazione prodotta da ciò che l’autore non scriverà mai. Le opere erotiche sono quelle che rappresentano un attesa, non tanto la scena erotica in se, ed è per questo che quando ci troviamo di fronte alla scena che attendevamo ci sentiamo delusi. A quanto pare il Desiderio, a differenza del Piacere sarebbe maggiormente accettato tanto da avere,a differenza dell’ultimo, una sua dignità epistemica. Questo appare strano dal momento che il Desiderio non è mai appagato e pure sia la politica che la psicanalisi considerano il Piacere come qualcosa di negativo. Tutte le filosofie lo hanno rimosso, persino Nietzsche ha affermato che l’edonismo è un pessimismo e all’interno della società cerca di essere eliminato in favore di valori più nobili come la Verità,la Gioia ecc. Il corpo erotico,come accennavo prima,si presenterebbe nella modalità della raffigurazione all’interno del testo. Attraverso la raffigurazione per esempio l’autore potrebbe apparirmi indirettamente,potrei concepire un desiderio verso un personaggio del romanzo o ancora concepire il testo come spezzettato in tanti luoghi erotici. Con la rappresentazione invece, non solo parteciperebbero altri sensi oltre a quello del desiderio, per di più ogni elemento rimarrebbe all’interno della sua cornice, tutto sarebbe già stato detto o mostrato al suo interno. È il carattere erotico di alcuni testi a far si che essi possano essere associati ai sogni, nel modo in cui Freud li intende. Freud ha dedicato gran parte della sua carriera alla zona inconscia della nostra psiche. I sogni sono forse il luogo in cui il nostro inconscio si manifesta più di frequente e in cui riversiamo i nostri desideri, le nostre paure più nascoste. Freud ha dedicato un intera opera a questa tematica,forse la più famosa,il cui titolo è “L’interpretazione dei sogni” . In questo scritto Freud afferma che nei sogni si vengono a manifestare dei contenuti rimossi della nostra psiche, ma tutto ciò non avviene in maniera esplicita ma secondo uno spostamento per cui il significato di questi contenuti viene ad essere associato ad altri oggetti o simboli senza una relazione apparente. Da qui la distinzione fra significato manifesto e significato latente, ciò che sogniamo e il suo significato nascosto. Nei sogni così come nei testi erotici quindi possiamo individuare un attesa, un desiderio insoddisfatto che si manifesta però sotto altre forme apparentemente incongruenti col desiderio stesso. Il sogno, dice Barthes, è un aneddoto incivile fatto con sentimenti civilizzatissimi. Il sogno esprime dunque dei sentimenti assolutamente comuni , solo che il modo il cui questi vengono espressi fa si che essi non appaiano in maniera esplicita. Lo stesso avviene all’interno del testo,la differenza è che nel testo può avvenire anche il contrario: “un aneddoto leggibilissimo con sentimenti impossibili”. Rimane comunque fermo il fatto che attraverso il testo o attraverso il sogno raggiungiamo lo stesso fine : L’appagamento di un desiderio. Il godimento però può essere raggiunto anche in altro modo. Afferma Freud : “Nell’adulto , la novità costituisce sempre la condizione del godimento”. Dal punto di vista testuale è lo stesso dal momento che ogni valutazione su un testo si basa sempre sull’opposizione Vecchio-Nuovo. Il Vecchio rappresenta il linguaggio ripetuto,quello che tutte le istituzioni ci trasmettono continuamente fino a farlo diventare uno stereotipo. Quando però all’interno di questi stereotipi si presenta il Nuovo, esso appare sempre in maniera più marcata ed esso è fonte di godimento. Il nuovo è quindi un eccezione che si distacca da tutto ciò che è socialmente condiviso, dalle regole, dalle ideologie, è l’Es freudiano che vince sul Superio. È proprio per questo che il godimento è asociale. La lettura è questo. Un momento privato in cui entriamo in contatto con lato più intimo del nostro io. Quello che avviene è quello che Freud definirebbe transfert. Durante la sua attività medica le sue pazienti finivano per innamorarsi di lui. Quello che apparentemente sembrava qualcosa di negativo si rivelò invece utile poiché facilitava la liberazione da quelle barriere che impedivano di accedere alla parte più profonda della personalità. Lo stesso avviene quando ci troviamo di fronte a un testo di piacere. Il sentimento amoroso è una delle forme attraverso il quale si manifesta il godimento. Provare amore verso un testo ci libera dalla razionalità per dare sfogo ai nostri istinti, ai nostri desideri. Non importa quanto essi siano illogici,senza senso, quanto si oppongano alle ideologie, ai valori, alle regole. Essi possono essere vissuti proprio perché il testo rappresenta un luogo sicuro, tranquillo, un luogo in cui, come afferma Barthes, ci si distacca dalla guerra dei linguaggi,dei socioletti, delle finzioni. La finzione è quel linguaggio che,essendo accettato dalla comunità, si diffonde in ogni ambito della vita sociale diventando doxa. Il testo di piacere è estraneo a questo conflitto,l’unica cosa che possiamo dire di fronte ad esso è : “è così,è questo per me”. L’emozione che proviamo non ha niente a che vedere con l’autore, con la lingua,col la cultura o con la società. È il nostro inconscio che parla, che si intravede nei testi,la soggettività che prevale sulla socialità.




"L'ORDINE DEL DISCORSO E LE SUE VARIE PROCEDURE"
di Barbara Argirò, matr:107381, FSCC


"Nel discorso che devo oggi tenere, e in quelli che mi occorrerà tenere qui, forse per anni, avrei voluto poter insinuarmi surrettiziamente. Più che prendere la parola, avrei voluto esserne avvolto, e portato ben oltre ogni inizio possibile"


Paul Michel Foucault (Poitiers, 15 ottobre 1926 – Parigi, 25 giugno 1984) è stato uno storico e filosofo francese, uno tra i grandi pensatori del XX secolo. Una delle sue opere fondamentale, è: L'ordine del discorso, presentato alla lezione inaugurale del Collège de France negli anni '70.Nell'opera egli affronta, la potenza degli enunciati e i metodi che sono stati adottati nel corso della storia per controllare e organizzare i discorsi. Questo breve scritto, pubblicato in Francia nel 1971 costituisce ancor oggi, un documento di grande importanza. In esso, l'autore pone al centro delle proprie preoccupazioni , la questione dei rapporti tra discorso, verità e potere. Ne l'ordine del discorso Foucault analizza le varie forme di produzione del discorso nella società, che sono controllate e selezionate, in modo da scongiurarne i poteri e i pericoli. I discorsi perciò non proliferano liberamente, anche questi come altre sfere della vita sono sottoposti a controlli e limitazioni e sono il risultato di un ordine fatto, attraverso specifiche procedure.

Tra esse la prima è quella dell’interdetto. Non tutti possono parlare di tutto in qualsiasi circostanza. Tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione o negazione di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere. Gli interdetti formano una sorta di reticolo, che è più esposto nelle regioni della sessualità e della politica, dove sono più comuni discorsi poco trasparenti e puliti.

La seconda procedura d’esclusione è la follia. Più precisamente alla pertizione che veniva a crearsi tra la parola vera o non vera che il folle diceva. Esso può essere dimostato già dal Medioevo in Europa la parola del folle era la manifestazione della sua follia. Infatti lo sua parola o non era presa in considerazione, o se lo era, veniva ritenuta fonte di verità, come se avessero uno strano potere di prevedere il futuro. Oggi Il folle lo si ascolta e capisce tramite una rete di psicologi, psicoanalisti e medici che collaborano spesso con gli ospedali psichiatrici.

La terza procedura d'esclusione è quello del vero contro il falso. Essi sono concetti legati al corso della storia, e perciò in continuo movimento. Foucault considera quindi la volontà di verità degli uomini lungo il corso della storia. Egli parla dell'antica Grecia, dove il discorso era vero se era fatto dalle autorità legittimata secondo un preciso rito; un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva, non era perciò importante ciò che "era" o "faceva", ma solamente ciò che "diceva". Ciò che conta, è come la società valorizza la verità. Il discorso della verità e quindi la volontà di verità, preme sugli altri discorsi. Secondo Foucault questa procedura è la più importante in quanto ingloba le altre due, infatti sià l'interdetto che la follia sono caratterizzate dal desiderio di verità.

Queste procedure d’esclusione non sono però le uniche. Esse sono attuate dall’esterno, vi sono anche procedure interne al discorso. Sono procedure che vogliono padroneggiare in una dimensione del discorso che Foucault chiama dell’evento (événement) e del caso.

-Il commento: Nella società esistono due tipi di discorsi: quelli che si dicono ma che non restano e passano nel momento in cui vengono enunciati; e quelli che restano e originano nuovi atti, che vengono trasmessi e possono anche variare. Dunque, i testi primari possono tornare, riattualizzarsi, moltiplicare e cambiare il proprio senso, costituendo allora, nuovi discorsi. Il commento deve dire per la prima volta quel che era stato detto e che non era stato detto. Il commento è un discorso che parte da un testo, dice cose anche diverse, ma ripropone il testo di partenza. Nel commento il nuovo non è in ciò che è detto, ma nell’evento del suo ritorno.

-L’autore: Foucault non intende per autore che scrive o recita un testo, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità di origine dei loro significati. La funzione dell’autore non è dipendente da chi realmente scrive un’opera ed è una funzione modificata nel tempo. Nel Medioevo infatti i testi, soprattutto scientifici, richiedevano un autore, perchè ciò era sinonimo di verità, a seconda a quale autore erano attribuiti era più facile classificarli come opere vere o false. In seguito ciò accadeva anche per i testi letterari e quelli non riconosciuti fino ad allora, dovevano essere appropriati a qualcuno.

-La disciplina: Tratta principi diversi da quelli dell'autore e del commento. Diverso dal primo, perchè la disciplina non è "scritta" da un autore ma è formata da un sistema di teorie; diverso dal secondo, perchè ogni disciplina deve creare nuove proposizioni e perciò non può basarsi su un senso che deve essere riscoperto e ripetuto. L a disciplina inoltre deve rivolgersi ad un piano di oggetti determinato ognuno in un settore specifico, perciò per appartenete ad una disciplina una proposizione deve trattare di un certo tipo di elementi teorici. Per l’Autore, la disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso.

Un terzo gruppo di procedure di controllo colpisce le condizioni di messa in opera dei discorsiIl discorso: ‘una sorta di pensiero rivestito dei suoi segni e reso visibile dalle parole’. Per portare avanti il suo lavoro, l’Autore spiega i principi metodologici che intende seguire:

-principio di rovesciamento: si pensa che nel discorso ci siano delle figure positive come l'autore, la disciplina e la volontà di verità ma esse appaiono poi come un gioco negativo. Non sono infatti fonti da cui il discorso fluisce libero, ma fattori restrittivi di rarefazione del discorso.

-principio di discontinuità: i discorsi non sono illimitati ma sono pratiche discontinue, che si intrecciano, affiancano ma anche ignorano ed escludono.

-principio di specificità: il mondo non è complice della nostra conoscenza, bisogna concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose, esso non spiega quindi la natura del mondo e delle cose, è invece una pratica che si impone ad esse, non è una decifrazione del mondo.

-principio dell’esteriorità: bisogna spsi verso il nucleo del discorso, non verso le sue condizioni esterne, verso i suoi limiti.


Quest'opera di Foucault anche se breve ha segnato molto il panorama della filosofia del linguaggio. E' infatti un'opera di estrema attualità, che tratta di elementi presenti nel mondo del discorso, ma elementi a cui noi spesso non facciamo caso.
Parlando di me tessa, posso infatti affermare che, analizzando questo argomento ho riflettuto sui vari discorsi e sui vari meccanismi che essi implicano, trovandoli molto interessanti. Posso affermare che in un certo senso quest'opera è come se mi avesse "aperto gli occhi" sui vari meccanismi del discorso e perciò della comunicazione, alcune delle procedure che egli analizza sono infatti applicate nei nostri discorsi quotidiani, servirebbe solamente fermarsi a rifletterci un po' e non considerarli in modo superficiale. Ogni procedura, può a mio avviso, essere attualizzata e contestualizzata nella nostra società, tenendo comunque conto dei mutamenti storici, sociali e culturali. Anche se con delle differenze e con dei mutamenti tali meccanismi sono attualmente attivi nella prodizione dei discorsi.
Foucault tratta le procedure che servono per ottenere dei buoni discorsi, essi sono autosufficienti e non sono riconducibili a niente che è al di fuori di loro stessi.I discorsi si inseriscono però in una trama di rapporti di potere che caratterizzano ogni società essi comunque non dovrebbero essere destabilizzati e influenzati dalla minaccia del potere. E' proprio questo il punto in cui si inserisce l'opera di Foucault.


lunedì 5 luglio 2010

Il piacere, come una Babele felice

di Davide Costantino Basile.

E’ forse erroneo considerare quanto appena citato dal titolo? E’ possibile pensare che il mito babelico della mescolanza delle lingue, improvvisamente venga sovvertito, e da punizione diventi miracolo? In questo breve enunciato è racchiusa tutta l’audacia di Barthes nell’andare oltre le classi grammaticali e morfo-sintattiche, per aprire un capitolo nuovo inerente alle problematiche testuali.

Perché io acquisto un libro? Perché come un cannibale mi getto su di lui, per cibarmi di esso, della sua essenza? Molto semplice, perché ne traggo piacere; è il piacere che mi porta a divorare un testo, è la sua linfa vitale ciò di cui io ho bisogno. Ma è giusto andare per piccoli passi.

Ho un libro tra le mani, lo sfoglio lentamente e nel frattempo ,a piccole dosi, lo leggo. L’intero testo, una frase o semplicemente un parola, può catturare la mia attenzione. Barthes, sa bene che se c’è qualcosa che mi piace, è perché è generata nel piacere, ma ciò a cui mira l’autore, che istituzionalmente muore, non è tanto il soggetto, quanto il campo, lo spazio potenziale all’interno del quale può darsi il piacere. L’aspetto invitante è che il piacere può darsi in una miriade di modi differenti; ad esempio una descrizione ossessiva, come riportato in Bouvard et Pècuchet:

"delle tovaglie, dei lenzuoli, degli asciugamani, pendevano verticalmente, attaccati con stanghette di legno a corde tese".

Barthes gusta qui un eccesso di precisione, una sorta di esattezza maniaca del linguaggio, una follia di descrizione. E ancora, in un testo di Stendhal, passa del cibo nominato: latte, tartine, formaggio alla panna Chantilly, marmellate di Bar, arance di Malta, fragole zuccherate. Ma qui ci sarebbe il rischio di pensare che si tratti solo di un piacere di pura golosità; semplicemente, accade che quando qualcuno rappresenta qualcosa al proprio interlocutore, allega alla rappresentazione l’ultimo stadio della realtà, ciò che in essa vi è di intrattabile e che non potrebbe essere fatto con termini quali idealismo o marxismo, poiché ci muoviamo sul piano della concretezza reale.

Si può stabilire allora un significato da attribuire al piacere? Per Barthes il piacere è soddisfazione, appagamento, è legato cioè a una pratica confortevole della lettura. E’ anche vero però che non bisogna cadere nell’ambiguità, quella generata dalla confusione dei termini piacere e godimento.

Non sono, infatti la medesima cosa; mentre cioè il piacere è appagamento, il godimento sconforta, fa vacillare, genera un mancamento che mette in discussione i principi psicologici, storici e culturali su cui si posa l’individuo. Allora è chiaro che si può riprendere Sade, il quale afferma che nell’ambito della ridistribuzione linguistica (che si attua sempre attraverso una frattura), si creano due bordi; da un lato la lingua, copiata quasi a mo di plagio, in forma canonica, così come la si conosce; dall’altro lato, i contenuti possono assumere una miriade di forme possibili, anche la forma della distruzione della lingua. Da un lato quindi la cultura, dall’altro evidentemente la sua distruzione. In termini semplicistici, potremmo intendere il piacere come cultura, il godimento come la sua distruzione. Ma perché il godimento è distruzione della cultura?

Il primo punto da analizzare è il carattere atopico del godimento. Barthes, infatti, passando per Lacan e Lecler, conclude che una delle sostanziali differenze tra il piacere e il godimento è che il secondo è fondamentalmente “indicibile”, cosa che del resto lo porterà a stretto rapporto con la paura. Il piacere invece, è dicibile, in termini di critica, poiché è cultura, e si rifà tanto al passato delle cose già dette, quanto al futuro, delle cose ancora da dire. La critica infatti, verte sempre su testi di piacere e mai di godimento.

Questa concezione di atopia, di non-luogo, non si contrappone al luogo, ma lo trapassa e lo sovverte, evidentemente facendo riflettere il lettore sulle pratiche di tale sovvertimento, che si ripercuote su quella che Barthes definirà “distruzione dell’arte”, ad opera degli artisti stessi, che modificano il loro significante.

Il piacere dal canto suo, per quanto ricco di pregi, non è mai certo. Infatti esso deriva sempre da una seconda o ancor più successiva lettura di un testo, che mi appaga e mi soddisfa. Il godimento è ben altra cosa: esso è novità (da non confondersi con lo stereotipo del nuovo; nove volte su dieci la novità altro non è che tale stereotipo); e allora per questo motivo il piacere non è mai certo, poiché non è sicuro che un testo, a una successiva lettura mi piacerà; e anche per questo infondo che Barthes affermerà che all’interno della teoria del testo, difficilmente possiamo trovare una posizione al piacere del testo. Per quanto concerne il godimento, invece, a contraddistinguerlo non vi è solo la sua indicibilità, ma anche e soprattutto il suo carattere di precocità. Infatti esso giunge sempre quando meno me lo aspetto, mi travolge, irruente, e si esaurisce in un unico lampo. Un po’ come quando si osserva un quadro contemporaneo; dopo il primo sguardo tutto finisce, e gli occhi dovranno allora posarsi su qualcos’altro, poiché tutto termina in uno sguardo fugace.

Qualcuno si potrebbe chiedere a questo punto se sia possibile categorizzare il piacere. Sembra sinceramente un’impresa ardua. In primis, il punto di partenza ci porta a considerare il carattere dilatorio del piacere del testo. Il testo di piacere è sempre breve, e assomiglia tanto a una sorta di introduzione, introduzione di qualcosa che non verrà mai detto o scritto. Il motivo è molto semplice. Come nota Barthes, ciò che in noi eccita della scena erotica, non è la scena in se, ma la sua preparazione, la sua anticipazione, i preliminari; non appena la scena sboccia dinnanzi ai miei occhi c’è delusione, non siamo appagati.

Inoltre non è possibile compiere una completa selezione dei testi di piacere e analizzarli; ci sarebbe tuttavia una mistica del testo; potrei materializzare tale piacere, oggettivarlo, renderlo simile a qualunque altro piacere (un piatto di pasta per esempio) e ascriverlo al catalogo delle mie sensualità; potrebbe però esservi al tempo stesso una perdizione soggettiva, e in quel caso si apre la strada al godimento, alla massima purezza della perversione.

Esatto perversione. Il lettore è tremendamente perverso. Il piacere non ha bisogno di scegliere con capriccio una ideologia, poiché esso è perverso, si allontana dall’unità morale imposta dalla società; siamo perversi nella commento, poiché come osservatori godiamo clandestinamente del piacere altrui.

Ma i punti più alti di perversione li tocchiamo su due fronti:

- Quando traiamo piacere dalla lettura tragica, poiché esso deriva da un testo di cui conosciamo ogni singolo elemento, come nell’Edipo, in cui sappiamo che questi verrà smascherato. Sembra la variante del godimento. Infatti esso non solo è dato dalla novità, ma dalla ripetizione perfetta di parole o testi, che mantengono un velo magico e aurorale. Sia nel caso del nuovo, che in quello della ripetizione, vi si trova lo statuto dell’eccesso, del godimento.

- Quando in una mano portiamo il libro di piacere e nell’altra quello di godimento, un po’ come se al contempo fossimo assertori o edonisti della cultura e dall’altro fautori della sua distruzione.

Si è detto della possibilità di considerare come forma di godimento la ripetizione. Il fatto è che in una società come la nostra, essa è considerata eccessiva, e pertanto messa da parte.

Nel momento in cui la ripetizione perde la sua aura di magia, eccoci nello stereotipo, che è solo la ripetizione naturale privo di alcunché di inebriante. Qui Barthes realizza uno dei tantissimi rimandi a Nietzsche, il quale afferma che la verità è frutto del solidificarsi di ancestrali metafore. Allora alla stregua di questo, possiamo pensare che anche lo stereotipo nella sua solidificazione temporale diviene realtà. E’ anche vero però che esso mi nausea, qualora il legame tra due parole importanti diventa ovvio, e allora diserto tale legame: sono di nuovo nel godimento.

Fino a questo punto il percorso di Barthes è apparso piuttosto chiaro; egli, partendo da un contrasto nei confronti delle accuse di contraddizione logica (poiché il piacere del testo non si ricerca nella teoria del testo), giunge a dare rilevanza al piacere e al godimento, definendoli rispettivamente come appagamento e mancamento, e definendo le difficoltà oggettive di un’analisi dettagliata, “scientifica” di questi termini.

Ma è proprio qui che Barthes ancora una volta ci sorprende; se nella teoria del testo non c’è posto per il piacere, e se esso difficilmente può essere ricercato nella Linguistica, che Barthes ritiene poco “semiologica” e nemica del testo, allora ecco la presentazione di una nuova scienza: la Scienza dei Godimenti del Linguaggio, ovvero la scrittura, che rappresenta il kamasutra del linguaggio stesso.

Il testo mi desidera, ed è la scrittura la matrice di tale desiderio. Sono i vocaboli, i termini, il lessico, i rimandi che spingono il testo verso di me; e all’interno del testo trovo sempre l’altro, l’autore, morto istituzionalmente certo; ma io ho bisogno di lui, come lui ha bisogno di me.

Questo rivaluta il rapporto tra l’autore e il lettore; il primo non è la parte attiva che si estranea dal secondo come parte passiva; il testo è l’occhio attraverso cui egli mi osserva e mi parla. Sembra un po’ come riprendere l’esempio di Silesius, quando afferma che l’occhio attraverso il quale osservo Dio è lo stesso attraverso il quale egli osserva me. L’autore, ad ogni modo, non ha una collocazione fissa; egli è spesso alla deriva, si muove dietro i movimenti storici, gli chiedo tutto e niente.

Così come l’autore, anche il piacere può essere sintetizzato come una costante e continua deriva. Infatti il piacere non è sempre eroico e trionfante, non è muscoloso ed energico. Io mi lascio trasportare dalle illusioni, dai giochi, dalle seduzioni, e vado alla deriva, pur rimanendo immobile.

Il piacere inoltre non coincide con testi di piacere, così come evidentemente il godimento non è dato da testi di godimento. Il piacere non è il rapporto tra il mimo e il modello ma tra il mimo e l’ingannato.

Come collocare precisamente il godimento e il piacere? Il godimento può essere il neologismo, sensualità degli alfabeti, scolpiti dall’abilità degli artigiani e dalla psicologia dei popoli; è la sensualità della significanza che non è significato, ma godimento. Allo stesso tempo, il piacere è il valore promosso al rango suntuoso di significante (con un chiaro rimando alla scrittura ad alta voce, che seduce attraverso le assonanze e le prosodie).

Il punto di partenza era abbastanza chiaro; il piacere del testo è una Babele felice.

La chiave di lettura scelta come punto di partenza, prevedeva la possibilità di considerare il piacere come realizzatosi lì dove vi è la coabitazione dei linguaggi, che lavorano spalla a spalla. Eppure le considerazioni di Barthes, ci portano ovviamente a considerare tutti i linguaggi come tante differenti regioni, incastonate in un immenso mosaico. E’ chiaro che questi linguaggi lottano per l’egemonia, e a prevalere su gli altri è quello che diviene doxa (opinione, differenziato dal paradoxa ovvero confutazione), divenendo cioè stereotipo. Lo stereotipo è il linguaggio dei media, dello sport, della politica.

A divenire doxa è il linguaggio cioè che riesce in ultima istanza ad aggredire l’avversario, ad additarlo come semiscientifico o semietico. Cioè quel linguaggio che con un unico termine riesce a descrivere, generalizzare, screditare e vomitare l’avversario, il nemico, come per fargliela pagare.

E noi, in quanto soggetti che vivono nel linguaggio, cosa facciamo? L’unica modo per salvarci è abitare uno di questi linguaggi, scegliere di esserne parte. Il carattere atopico del linguaggio ci permette di estraniarci dall’aspetto conflittuale dei linguaggi; è come se esso dicesse al contempo “agio ed esclusione”. Infatti tra due conflitti vi è sempre il periodo di pace, il tempo di una “buona birra fresca”. Il piacere del testo si colloca lì, lì dove cioè il carattere guerresco si placa e avviene la desquamazione della punta acuminata della penna dell’autore.

La domanda a questo punto che sorge spontanea è:”se il testo è scrittura, è linguaggio, allora come fa ad estraniarsi dal conflitto tra i linguaggi”?

L’idea di fondo è che dovrebbe comunque esistere un’ultima ennesima parola, definitiva. Allo stesso tempo, nel momento in cui io nomino sono nominato. Succede qualcosa di imprevisto al testo: in primo luogo il testo liquida ogni metalinguaggio, ed è in questo che è testo: nessuna voce (Scienza, Causa, Istituzione) sta dietro a ciò che dice.

Inoltre il testo opera una profonda distruzione della propria categoria discorsiva, il suo riferimento sociolinguistico: è la comicità che non fa ridere, la citazione senza virgolette. Emerge un nuovo stato filosofale della materia linguistica, è allora linguaggio e non un linguaggio.

Le conclusioni cui Barthes giunge sono emozionanti. Ogni volta che analizzo un testo che mi da piacere, in esso non ritrovo la mia soggettività, ma il mio individuo, l’elemento che mi separa dagli altri corpi: è il mio corpo di godimento quello che ritrovo; questo è anche il mio soggetto storico, e dopo una complessa combinatoria di elementi biografici, sociologici e nevrotici regolo il gioco del piacere (culturale) e del godimento (non culturale) e mi presento come soggetto attualmente fuori posto, venuto troppo tardi o troppo presto; troppo che non è ne un errore ne un rimpianto, ma che indica un posto nullo. Sono anacronistico, alla deriva, e il piacere si mostra come neutro.

La distinzione tra piacere e godimento permette a Barthes e alla sua opera di non essere mera satira; egli non ignora la possibilità di un accordo strutturale tra forme contestanti e forme contestate, ma non si sfugge alla logica del rovesciabile.

L’opera di Barthes resta suggestiva poiché attraverso la teoria dei godimenti del testo riesce a operare il rapporto tra piacere e godimento, e permette di superare la classica teoria del testo, trascendendo le classiche forme morfo-sintattiche del linguaggio.

Foucault: funzione-autore

[] Credo che esista un altro principio di rarefazione di un discorso. Esso è sino a un certo punto, complementare al primo. Si tratta dell’autore. L’autore considerato, naturalmente, non come l’individuo parlante che ha pronunciato o scritto un testo, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità ed origine dei loro significati, come fulcro della loro coerenza […]

Da questa citazione voglio iniziare questo mio elaborato e concentrarmi particolarmente su ciò che Foucault definisce funzione-autore, ma per fare ciò bisogna, innanzitutto, iniziare da una conferenza, che egli tenne nel 1969, dal titolo “Che cos’è un autore”.

La conferenza ha inizio con una citazione di Beckett, ovvero : “Cosa importa chi parla?”.

Foucault adotta questa citazione come paradigma del fenomeno della sparizione dell’autore nella letteratura contemporanea e tenta di enunciare l’avvento di una nuova metodologia di analisi, rivolta anche al resto delle discipline, in cui, al posto dell’autore come individuo, si instaura quella, che Foucault definisce funzione-autore.

Le parole di Foucault ruotano intorno all’idea fondamentale di una funzione-autore, che si sostituisce all’autore come individuo, ed esemplifica così il metodo, definito da Foucault archeologico, di fare emergere le condizioni formali di pratiche discorsive specifiche. Abbandonare la figura dell’autore non è facile. L’attribuzione di un autore non costituisce una funzione omogenea. Foucault cita quattro esempi con cui si tende ad associare un’opera all’espressione volontaria di un soggetto parlante o scrivente, così definito autore. Il primo di questi esempi tiene conto del carattere storico, ovvero nel momento in cui diventa necessario un referente giuridico a cui la legge possa fare appello in caso di violazione di determinate norme.

Una secondo esempio è caratterizzato dal modo in cui la funzione-autore si esercita a seconda delle discipline (caratteristica non separabile dal contesto storico):

[…] nell’ordine del discorso scientifico l’attribuzione ad un autore era, nel medioevo, indispensabile, in quanto costituiva un indice di verità. Si riteneva che una proposizione detenesse dall’autore stesso il suo valore scientifico.[…]

Da queste parole s’intuisce come prima del XVIII secolo, il nome dell’autore era fondamentale per quanto riguardava il campo scientifico, mentre le opere letterarie circolavano per la maggior parte anonimamente.

Dopo questo periodo la situazione è un po’ cambiata, infatti il valore di un’opera letteraria si lega maggiormente alla notorietà dell’autore mentre in campo scientifico una scoperta viene ritenuta valida indipendentemente dalle caratteristiche individuali di chi l’ha prodotta.

Come terzo esempio Foucault giudica i problemi relativi all’attribuzione di un corpus di opere alla medesima persona. La critica non tiene conto, tuttavia, dei problemi relativi a pseudonimi, abbozzi, lettere e in generale del numero infinito di tracce verbali che un individuo lascia dietro di sé.

Per concludere, Foucault mostra l’ambiguità presenti in un’opera, i quali mettono in luce una pluralità di individui parlanti.

Bisogna dire che la conferenza di Foucault è stato assimilata all’articolo di Roland Barthes “La morte dell’autore” , in questo articolo si afferma il confluire di ogni soggettività nella scrittura, che per Barthes equivale al linguaggio.

Secondo Barthes l’autore viene sostituito dallo scripteur (il copista), proprio l’opposizione tra écrivain, che nell’articolo è sinonimo di auteur, e scripteur gioca un ruolo fondamentale per comprendere il carattere autonomo e storico del linguaggio letterario a cui Barthes sottomette tutte le attività prodotte intorno alla letteratura.

Per Foucault come per Barthes, soggetto e autore sembrano trovare un strada comune nel pensiero contemporaneo dove notiamo un annullamento delle loro caratteristiche individualizzanti

[…]un’analisi dell’opera che non si riferisce alla psicologia, all’individualità, né alla biografia personale dell’autore, ma a un’analisi delle strutture autonome, delle leggi della loro costruzione[…] (Intervista a Michel Foucault).

Un aspetto essenziale di questa concezione è il problema del rapporto tra linguaggio e soggetto: il soggetto dell'enunciato non è più la sua origine unica e assoluta, ma una funzione caratterizzata da una molteplicità di individui. Già secondo l’analisi che Foucault delinea in Le parole e le cose, il linguaggio appare in tutto il suo essere frammentario, anonimo, disperso: mormorio senza autore in cui esso mostra il suo ESSERE.

Tuttavia bisogna concentrare la nostra attenzione sugli effetti della morte dell’autore che in Foucault assume un aspetto peculiare, egli, infatti è molto restio nel descrivere una storia lineare dell’autore e ciò soprattutto emerge in Le parole e le cose dove più che delineare una continuità, Foucault si sofferma sui punti di rottura.

In un’intervista del 1970, Foucault si rifà esplicitamente al carattere autonomo ed intransitivo della scrittura che ritroviamo esemplificata negli scritti di Barthes, soffermandosi sull’aspetto trasgressivo di questa. Se la scrittura, da Sade fino a Bataille e Blanchot, ha potuto creare il luogo di un’etica autonoma destinata a fare scandalo in mezzo alla rete degli altri discorsi, la possibilità di una funzione

di autentica trasgressione della scrittura all’interno del mondo contemporaneo è pressoché scomparsa, dal momento che essa è stata recuperata all’interno del sistema borghese-capitalista Oltre ad insistere ulteriormente sul fatto che l’autonomia della letteratura sia una caratteristica puramente storica e non essenziale, Foucault afferma la necessità di integrare l’attività letteraria con un’azione di tipo politico. Parlando di Sade, Foucault afferma:

[…] Mi interesso alla letteratura, nella misura in cui è il luogo in cui la nostra cultura ha operato alcune scelte originarie. La condizione storica in cui la scrittura e la letteratura potevano crearsi un mondo autonomo dalle ideologie è venuta meno: Barthes, e quelli che come lui affermano l’intransitività della scrittura, non fanno che dilatare il discorso appartenente ad un’epoca conclusa, di cui Blanchot, il quale ancora seppe costituire con la letteratura uno spazio irriducibile allo spazio reale rappresenta l’ultimo grande emblema.[…]

In questa conferenza si capisce così il passaggio dall’interesse nei confronti del linguaggio e delle opere letterarie allo studio delle forme di potere.

Questo tipo di discorso non è senza conseguenze riguardo al problema dell’autore. La letteratura contemporanea, identificandosi con un luogo neutro è diventata l’alibi che scagiona colui che scrive, alleggerendolo dalla responsabilità della sua opera. Identificando nello scrittore il luogo passivo in cui si incontra un linguaggio superiore, ha cancellato l’atto linguistico che lega l’autore alla sua opera e che sta all’origine della figura dell’autore come referente giuridico delle parole pronunciate o scritte (Che cos’è un autore?). L’insistere da parte di Foucault sulla problematicità di certi caratteri tradizionali della figura dell’autore, ritenute oggi traballanti, sulla dispersione degli elementi , non equivale al decretarne la sua morte assoluta. Quando egli parla di funzione-autore, si pone seriamente il problema di occuparsi dei fitti intrecci di relazioni che ne prendono il posto, in opposizione all’abbandono al relativismo di un linguaggio anonimo e privo di ogni interesse etico e politico.

[…]Un’ermeneutica che si ripiega su una semiologia crede all’assoluta esistenza dei segni: abbandona la violenza, l’incompiuto, l’infinità delle interpretazioni per far regnare il terrore dell’indice, e sospettare il linguaggio[…] (Nietzsche, Freud e Marx,).

La neutralità dell’analisi dei significanti linguistici rinnega il compito primo della filosofia, così come esso prorompe nei testi di Nietzsche, che è quello di


[…]impadronirsi, violentemente, di un’interpretazione già esistente che deve rovesciare, capovolgere, fare a pezzi a martellate[…] (Nietzsche, Freud e Marx, ).

Per comprendere come l’analisi “archeologica” assume un posto così determinante a discapito dell’interesse per la critica letteraria è infatti indispensabile citare Nietzsche, come riferimento costante delle riflessioni di Foucault. Nietzsche infatti, nel momento in cui, nella Genealogia della Morale, vede nel linguaggio, e in chi lo detiene, il fondamento del potere che genera i discorsi filosofici e morali, pone per primo la domanda sul «chi parla» come centrale per la filosofia. A questo quesito la letteratura ha ribattuto con il motto «Cosa importa chi parla?». Foucault parla qui di una distanza mai colmata dove si situano tutti gli studi sul linguaggio che hanno portato alla dissoluzione dell’uomo/soggetto/autore.

Quando Foucault insiste, nel corso della conferenza sull’autore, non può fare a meno di citare di seguito l’autore/autorità, cioè Beckett, che ha emesso tale enunciazione; così facendo, Foucault non fa che aumentare il problema della questione sull’autore. Secondo Foucault, il vuoto lasciato dal soggetto deve fare scattare una ricerca ancora più approfondita che risponda alla domanda di Nietzsche ha posto.

Se il linguaggio continua ad incarnare uno dei luoghi privilegiati in cui il sapere si manifesta, la questione centrale non consiste nello studiare le sue forme. Il problema del linguaggio in Foucault non è mai separabile da altri due temi fondamentali, follia e trasgressione, che si incrociano continuamente, delineando, nel punto della loro intersezione, il vuoto lasciato dal soggetto. Per questo motivo si può capire come il linguaggio in Foucault non assuma lo stesso statuto autoreferenziale che ritroviamo nello strutturalismo di Barthes.

Queste sono le ragioni per cui, benché l’interesse per la letteratura in l’Archeologia del sapere sia scomparso dagli elementi del primo piano, Foucault continua a fare ampio riferimento al discorso sull’autore. Per comprendere la funzione-autore è dunque indispensabile concentrarsi

sull’ appropriazione del discorso, ovvero sul come si definisca il diritto di qualcuno a parlare e ad essere competente nella comprensione di un certo tipo di discorso, chiamando in causa elementi esterni quali il desiderio, gli interessi e i rapporti di potere. Lo statuto di autore comporta innanzitutto un sistema di differenziazione e di rapporti a diversi livelli.

Gli studi degli analitici permisero a Foucault di comprendere meglio il linguaggio e il suo funzionamento, quindi la definizione del discorso in quanto pratica Prendiamo in esempio l’analisi dei nomi propri enunciata da Searle (Atti linguistici) dove viene descritta la problematicità che lega il nome dell’autore alla produzione che gli viene attribuita. Secondo Searle il nome proprio non è una funzione puramente denotativa né tantomeno descrittiva. Il nome, secondo Searle, designa piuttosto un criterio elastico di identificazione. Foucault adotta le riflessioni di Searle per concludere che l’atto linguistico da cui si ottiene il nome dell’autore implica una pratica diversa dal nominare un semplice elemento del discorso. Quindi se l’autore come individualità scompare, resta la funzione classificatoria che permette di fare luce sui rapporti d’autentificazione, di spiegazione reciproca tra differenti testi che si ritengono attribuibili alla stessa persona, essa permetterebbe di delineare la figura dell’autore dall’esterno, come sagoma vuota che si crea dall’intersezione delle diverse pratiche che compongono la funzione-autore.

La funzione-autore indica inoltre che un certo tipo di discorso assume un’importanza specifica, segnando una rottura con il discorso da cui ha preso le mosse, essa

[…]dà vita a un certo gruppo di discorsi e al suo modo di essere singolare è quindi caratteristica di un certo modo di esistenza, di circolazione e di funzionamento di certi discorsi all’interno di una società […]

In un’intervista di qualche anno prima Foucault insiste, citando non a caso l’esempio di Blanchot, sul nome come funzione primordiale

[…]è attraverso il nome che in un’opera si segna una modalità irriducibile al mormorio anonimo di tutti gli altri linguaggi[...]

La funzione-autore sostituisce al nome di un’individualità la molteplicità dei discorsi sulla modalità di circolazione, di valorizzazione, di attribuzione, di appropriazione dei discorsi; è per questa ragione che Foucault propone di sostituire all’autore il ruolo di fondatore di discorsività . Un fondatore di discorsività, ad esempio, Marx o Freud, segna l’avvento di una nuova metodologia per lo studio del sapere dal momento che, come già Foucault rilevava in una conferenza del 1964, nel suo pensiero

[…]più ci si inoltra nell’interpretazione e più ci si avvicina, contemporaneamente, a una regione molto pericolosa nella quale non solo l’interpretazione incontra il suo punto di capovolgimento, ma dove essa stessa scompare come interpretazione, portando forse con sé la scomparsa dello stesso interprete[...]

Nell’intento di porre fine all’autore come individuo, Foucault si rivolge alla peculiarità di certe figure, quali Freud e Marx, le quali, rendendo possibile un discorso fondato non tanto su analogie quanto sulle differenze ,permettono la proliferazione infinita di altri discorsi e delineano quindi la condizione formale dell’esistenza delle discipline (Cfr. L’ordine del discorso, p. 21).

Questa tematica sul proliferare infinito dei discorsi ci richiama da vicino alle tesi esposte in L’ordine del discorso. È dunque possibile rintracciare già nella conferenza qualche accenno allo studio del controllo delle pratiche discorsive, e si fa spazio quindi alla questione dei rapporti di potere. Sicuramente questa tematica non emerge improvvisamente nel pensiero foucaultiano: l’idea del moltiplicarsi all’infinito dei discorsi non può essere separato dall’interrogarsi sui rapporti di potere. Foucault afferma che ciò che caratterizza la cultura contemporanea non è voler sapere tutto, ma voler dire tutto, moltiplicare all’infinito gli oggetti dei discorsi . Il discorso ha un legame molto stretto sia con il desiderio sia con il potere, non tanto poiché nasconde il desiderio o perché è strumento ideologico del sistema, ma in quanto il discorso stesso è in primo luogo oggetto di desiderio, ciò di cui il potere cerca di impadronirsi (L’ordine del discorso, p.13). L’unico modo per impadronirsi del discorso, immettersi nel suo grande anonimato, è isolarlo, delimitarlo, definire l’opposizione per cui esso può essere vero o falso, imporre dei nomi, così come quelli degli autori, la cui autorità ostacoli questo proliferare. Foucault, parla di un proliferare pericoloso dei discorsi (L’Ordine del discorso, p. 12), in opposizione al quale l’autore si pone come principio di economia, di rarefazione, secondo l’espressione adottata in seguito (L’ordine del discorso, p. 19-23).

C’è dunque una doppia tendenza che emerge dall’accostare il tema dell’autore allo studio dei rapporti di potere,non c’è separazione fra il proliferare di un discorso, il rapporto che questo detiene con il desiderio di moltiplicarsi all’inifinito, e il discorso sul potere che per impadronirsene lo limita. Questa volontà di impadronirsi del discorso, volontà di dire, viene letta da Foucault come la chiave fondamentale che ha permesso che, nei diversi contesti storici, si producessero certi tipi di opposizioni tra il discorso vero e quello falso (L’ordine del discorso, p. 17).

La funzione-autore, quindi, deve essere vista in applicazione allo studio dei sistemi di verità che delimitano le pratiche discorsive. Tutto ciò non è avvenuto in maniera omogenea nella storia né tanto meno nei vari campi del sapere, infatti, l’autorialità scientifica ha un effetto di verità diverso rispetto a quello incarnato da una figura come Freud nei confronti della psicoanalisi.

Per concludere, tale elaborato, citerò una frase che riassume le posizioni del filosofo riguardo alla figura dell’autore:

[…]non domandatemi chi sono e non chiedetemi di restare lo stesso: è una morale da stato civile; regna sui nostri documenti. Ci lasci almeno liberi quando si tratta di scrivere […]

Bibliografia delle opere citate:

Roland Barthes, Il piacere del testo

Roland Barthes, La mort de l’auteur

Michel Foucault, Le parole e le cose

Michel Foucault, Nietzsche, Freud e Marx

Michel Foucault, Che cos’è un autore?

Michel Foucault, L’archeologia del sapere

Michel Foucault, L’ordine del discorso

John Searle, Atti linguistici





Laura Liberti