modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
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per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
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Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

lunedì 5 luglio 2010

Foucault: funzione-autore

[] Credo che esista un altro principio di rarefazione di un discorso. Esso è sino a un certo punto, complementare al primo. Si tratta dell’autore. L’autore considerato, naturalmente, non come l’individuo parlante che ha pronunciato o scritto un testo, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità ed origine dei loro significati, come fulcro della loro coerenza […]

Da questa citazione voglio iniziare questo mio elaborato e concentrarmi particolarmente su ciò che Foucault definisce funzione-autore, ma per fare ciò bisogna, innanzitutto, iniziare da una conferenza, che egli tenne nel 1969, dal titolo “Che cos’è un autore”.

La conferenza ha inizio con una citazione di Beckett, ovvero : “Cosa importa chi parla?”.

Foucault adotta questa citazione come paradigma del fenomeno della sparizione dell’autore nella letteratura contemporanea e tenta di enunciare l’avvento di una nuova metodologia di analisi, rivolta anche al resto delle discipline, in cui, al posto dell’autore come individuo, si instaura quella, che Foucault definisce funzione-autore.

Le parole di Foucault ruotano intorno all’idea fondamentale di una funzione-autore, che si sostituisce all’autore come individuo, ed esemplifica così il metodo, definito da Foucault archeologico, di fare emergere le condizioni formali di pratiche discorsive specifiche. Abbandonare la figura dell’autore non è facile. L’attribuzione di un autore non costituisce una funzione omogenea. Foucault cita quattro esempi con cui si tende ad associare un’opera all’espressione volontaria di un soggetto parlante o scrivente, così definito autore. Il primo di questi esempi tiene conto del carattere storico, ovvero nel momento in cui diventa necessario un referente giuridico a cui la legge possa fare appello in caso di violazione di determinate norme.

Una secondo esempio è caratterizzato dal modo in cui la funzione-autore si esercita a seconda delle discipline (caratteristica non separabile dal contesto storico):

[…] nell’ordine del discorso scientifico l’attribuzione ad un autore era, nel medioevo, indispensabile, in quanto costituiva un indice di verità. Si riteneva che una proposizione detenesse dall’autore stesso il suo valore scientifico.[…]

Da queste parole s’intuisce come prima del XVIII secolo, il nome dell’autore era fondamentale per quanto riguardava il campo scientifico, mentre le opere letterarie circolavano per la maggior parte anonimamente.

Dopo questo periodo la situazione è un po’ cambiata, infatti il valore di un’opera letteraria si lega maggiormente alla notorietà dell’autore mentre in campo scientifico una scoperta viene ritenuta valida indipendentemente dalle caratteristiche individuali di chi l’ha prodotta.

Come terzo esempio Foucault giudica i problemi relativi all’attribuzione di un corpus di opere alla medesima persona. La critica non tiene conto, tuttavia, dei problemi relativi a pseudonimi, abbozzi, lettere e in generale del numero infinito di tracce verbali che un individuo lascia dietro di sé.

Per concludere, Foucault mostra l’ambiguità presenti in un’opera, i quali mettono in luce una pluralità di individui parlanti.

Bisogna dire che la conferenza di Foucault è stato assimilata all’articolo di Roland Barthes “La morte dell’autore” , in questo articolo si afferma il confluire di ogni soggettività nella scrittura, che per Barthes equivale al linguaggio.

Secondo Barthes l’autore viene sostituito dallo scripteur (il copista), proprio l’opposizione tra écrivain, che nell’articolo è sinonimo di auteur, e scripteur gioca un ruolo fondamentale per comprendere il carattere autonomo e storico del linguaggio letterario a cui Barthes sottomette tutte le attività prodotte intorno alla letteratura.

Per Foucault come per Barthes, soggetto e autore sembrano trovare un strada comune nel pensiero contemporaneo dove notiamo un annullamento delle loro caratteristiche individualizzanti

[…]un’analisi dell’opera che non si riferisce alla psicologia, all’individualità, né alla biografia personale dell’autore, ma a un’analisi delle strutture autonome, delle leggi della loro costruzione[…] (Intervista a Michel Foucault).

Un aspetto essenziale di questa concezione è il problema del rapporto tra linguaggio e soggetto: il soggetto dell'enunciato non è più la sua origine unica e assoluta, ma una funzione caratterizzata da una molteplicità di individui. Già secondo l’analisi che Foucault delinea in Le parole e le cose, il linguaggio appare in tutto il suo essere frammentario, anonimo, disperso: mormorio senza autore in cui esso mostra il suo ESSERE.

Tuttavia bisogna concentrare la nostra attenzione sugli effetti della morte dell’autore che in Foucault assume un aspetto peculiare, egli, infatti è molto restio nel descrivere una storia lineare dell’autore e ciò soprattutto emerge in Le parole e le cose dove più che delineare una continuità, Foucault si sofferma sui punti di rottura.

In un’intervista del 1970, Foucault si rifà esplicitamente al carattere autonomo ed intransitivo della scrittura che ritroviamo esemplificata negli scritti di Barthes, soffermandosi sull’aspetto trasgressivo di questa. Se la scrittura, da Sade fino a Bataille e Blanchot, ha potuto creare il luogo di un’etica autonoma destinata a fare scandalo in mezzo alla rete degli altri discorsi, la possibilità di una funzione

di autentica trasgressione della scrittura all’interno del mondo contemporaneo è pressoché scomparsa, dal momento che essa è stata recuperata all’interno del sistema borghese-capitalista Oltre ad insistere ulteriormente sul fatto che l’autonomia della letteratura sia una caratteristica puramente storica e non essenziale, Foucault afferma la necessità di integrare l’attività letteraria con un’azione di tipo politico. Parlando di Sade, Foucault afferma:

[…] Mi interesso alla letteratura, nella misura in cui è il luogo in cui la nostra cultura ha operato alcune scelte originarie. La condizione storica in cui la scrittura e la letteratura potevano crearsi un mondo autonomo dalle ideologie è venuta meno: Barthes, e quelli che come lui affermano l’intransitività della scrittura, non fanno che dilatare il discorso appartenente ad un’epoca conclusa, di cui Blanchot, il quale ancora seppe costituire con la letteratura uno spazio irriducibile allo spazio reale rappresenta l’ultimo grande emblema.[…]

In questa conferenza si capisce così il passaggio dall’interesse nei confronti del linguaggio e delle opere letterarie allo studio delle forme di potere.

Questo tipo di discorso non è senza conseguenze riguardo al problema dell’autore. La letteratura contemporanea, identificandosi con un luogo neutro è diventata l’alibi che scagiona colui che scrive, alleggerendolo dalla responsabilità della sua opera. Identificando nello scrittore il luogo passivo in cui si incontra un linguaggio superiore, ha cancellato l’atto linguistico che lega l’autore alla sua opera e che sta all’origine della figura dell’autore come referente giuridico delle parole pronunciate o scritte (Che cos’è un autore?). L’insistere da parte di Foucault sulla problematicità di certi caratteri tradizionali della figura dell’autore, ritenute oggi traballanti, sulla dispersione degli elementi , non equivale al decretarne la sua morte assoluta. Quando egli parla di funzione-autore, si pone seriamente il problema di occuparsi dei fitti intrecci di relazioni che ne prendono il posto, in opposizione all’abbandono al relativismo di un linguaggio anonimo e privo di ogni interesse etico e politico.

[…]Un’ermeneutica che si ripiega su una semiologia crede all’assoluta esistenza dei segni: abbandona la violenza, l’incompiuto, l’infinità delle interpretazioni per far regnare il terrore dell’indice, e sospettare il linguaggio[…] (Nietzsche, Freud e Marx,).

La neutralità dell’analisi dei significanti linguistici rinnega il compito primo della filosofia, così come esso prorompe nei testi di Nietzsche, che è quello di


[…]impadronirsi, violentemente, di un’interpretazione già esistente che deve rovesciare, capovolgere, fare a pezzi a martellate[…] (Nietzsche, Freud e Marx, ).

Per comprendere come l’analisi “archeologica” assume un posto così determinante a discapito dell’interesse per la critica letteraria è infatti indispensabile citare Nietzsche, come riferimento costante delle riflessioni di Foucault. Nietzsche infatti, nel momento in cui, nella Genealogia della Morale, vede nel linguaggio, e in chi lo detiene, il fondamento del potere che genera i discorsi filosofici e morali, pone per primo la domanda sul «chi parla» come centrale per la filosofia. A questo quesito la letteratura ha ribattuto con il motto «Cosa importa chi parla?». Foucault parla qui di una distanza mai colmata dove si situano tutti gli studi sul linguaggio che hanno portato alla dissoluzione dell’uomo/soggetto/autore.

Quando Foucault insiste, nel corso della conferenza sull’autore, non può fare a meno di citare di seguito l’autore/autorità, cioè Beckett, che ha emesso tale enunciazione; così facendo, Foucault non fa che aumentare il problema della questione sull’autore. Secondo Foucault, il vuoto lasciato dal soggetto deve fare scattare una ricerca ancora più approfondita che risponda alla domanda di Nietzsche ha posto.

Se il linguaggio continua ad incarnare uno dei luoghi privilegiati in cui il sapere si manifesta, la questione centrale non consiste nello studiare le sue forme. Il problema del linguaggio in Foucault non è mai separabile da altri due temi fondamentali, follia e trasgressione, che si incrociano continuamente, delineando, nel punto della loro intersezione, il vuoto lasciato dal soggetto. Per questo motivo si può capire come il linguaggio in Foucault non assuma lo stesso statuto autoreferenziale che ritroviamo nello strutturalismo di Barthes.

Queste sono le ragioni per cui, benché l’interesse per la letteratura in l’Archeologia del sapere sia scomparso dagli elementi del primo piano, Foucault continua a fare ampio riferimento al discorso sull’autore. Per comprendere la funzione-autore è dunque indispensabile concentrarsi

sull’ appropriazione del discorso, ovvero sul come si definisca il diritto di qualcuno a parlare e ad essere competente nella comprensione di un certo tipo di discorso, chiamando in causa elementi esterni quali il desiderio, gli interessi e i rapporti di potere. Lo statuto di autore comporta innanzitutto un sistema di differenziazione e di rapporti a diversi livelli.

Gli studi degli analitici permisero a Foucault di comprendere meglio il linguaggio e il suo funzionamento, quindi la definizione del discorso in quanto pratica Prendiamo in esempio l’analisi dei nomi propri enunciata da Searle (Atti linguistici) dove viene descritta la problematicità che lega il nome dell’autore alla produzione che gli viene attribuita. Secondo Searle il nome proprio non è una funzione puramente denotativa né tantomeno descrittiva. Il nome, secondo Searle, designa piuttosto un criterio elastico di identificazione. Foucault adotta le riflessioni di Searle per concludere che l’atto linguistico da cui si ottiene il nome dell’autore implica una pratica diversa dal nominare un semplice elemento del discorso. Quindi se l’autore come individualità scompare, resta la funzione classificatoria che permette di fare luce sui rapporti d’autentificazione, di spiegazione reciproca tra differenti testi che si ritengono attribuibili alla stessa persona, essa permetterebbe di delineare la figura dell’autore dall’esterno, come sagoma vuota che si crea dall’intersezione delle diverse pratiche che compongono la funzione-autore.

La funzione-autore indica inoltre che un certo tipo di discorso assume un’importanza specifica, segnando una rottura con il discorso da cui ha preso le mosse, essa

[…]dà vita a un certo gruppo di discorsi e al suo modo di essere singolare è quindi caratteristica di un certo modo di esistenza, di circolazione e di funzionamento di certi discorsi all’interno di una società […]

In un’intervista di qualche anno prima Foucault insiste, citando non a caso l’esempio di Blanchot, sul nome come funzione primordiale

[…]è attraverso il nome che in un’opera si segna una modalità irriducibile al mormorio anonimo di tutti gli altri linguaggi[...]

La funzione-autore sostituisce al nome di un’individualità la molteplicità dei discorsi sulla modalità di circolazione, di valorizzazione, di attribuzione, di appropriazione dei discorsi; è per questa ragione che Foucault propone di sostituire all’autore il ruolo di fondatore di discorsività . Un fondatore di discorsività, ad esempio, Marx o Freud, segna l’avvento di una nuova metodologia per lo studio del sapere dal momento che, come già Foucault rilevava in una conferenza del 1964, nel suo pensiero

[…]più ci si inoltra nell’interpretazione e più ci si avvicina, contemporaneamente, a una regione molto pericolosa nella quale non solo l’interpretazione incontra il suo punto di capovolgimento, ma dove essa stessa scompare come interpretazione, portando forse con sé la scomparsa dello stesso interprete[...]

Nell’intento di porre fine all’autore come individuo, Foucault si rivolge alla peculiarità di certe figure, quali Freud e Marx, le quali, rendendo possibile un discorso fondato non tanto su analogie quanto sulle differenze ,permettono la proliferazione infinita di altri discorsi e delineano quindi la condizione formale dell’esistenza delle discipline (Cfr. L’ordine del discorso, p. 21).

Questa tematica sul proliferare infinito dei discorsi ci richiama da vicino alle tesi esposte in L’ordine del discorso. È dunque possibile rintracciare già nella conferenza qualche accenno allo studio del controllo delle pratiche discorsive, e si fa spazio quindi alla questione dei rapporti di potere. Sicuramente questa tematica non emerge improvvisamente nel pensiero foucaultiano: l’idea del moltiplicarsi all’infinito dei discorsi non può essere separato dall’interrogarsi sui rapporti di potere. Foucault afferma che ciò che caratterizza la cultura contemporanea non è voler sapere tutto, ma voler dire tutto, moltiplicare all’infinito gli oggetti dei discorsi . Il discorso ha un legame molto stretto sia con il desiderio sia con il potere, non tanto poiché nasconde il desiderio o perché è strumento ideologico del sistema, ma in quanto il discorso stesso è in primo luogo oggetto di desiderio, ciò di cui il potere cerca di impadronirsi (L’ordine del discorso, p.13). L’unico modo per impadronirsi del discorso, immettersi nel suo grande anonimato, è isolarlo, delimitarlo, definire l’opposizione per cui esso può essere vero o falso, imporre dei nomi, così come quelli degli autori, la cui autorità ostacoli questo proliferare. Foucault, parla di un proliferare pericoloso dei discorsi (L’Ordine del discorso, p. 12), in opposizione al quale l’autore si pone come principio di economia, di rarefazione, secondo l’espressione adottata in seguito (L’ordine del discorso, p. 19-23).

C’è dunque una doppia tendenza che emerge dall’accostare il tema dell’autore allo studio dei rapporti di potere,non c’è separazione fra il proliferare di un discorso, il rapporto che questo detiene con il desiderio di moltiplicarsi all’inifinito, e il discorso sul potere che per impadronirsene lo limita. Questa volontà di impadronirsi del discorso, volontà di dire, viene letta da Foucault come la chiave fondamentale che ha permesso che, nei diversi contesti storici, si producessero certi tipi di opposizioni tra il discorso vero e quello falso (L’ordine del discorso, p. 17).

La funzione-autore, quindi, deve essere vista in applicazione allo studio dei sistemi di verità che delimitano le pratiche discorsive. Tutto ciò non è avvenuto in maniera omogenea nella storia né tanto meno nei vari campi del sapere, infatti, l’autorialità scientifica ha un effetto di verità diverso rispetto a quello incarnato da una figura come Freud nei confronti della psicoanalisi.

Per concludere, tale elaborato, citerò una frase che riassume le posizioni del filosofo riguardo alla figura dell’autore:

[…]non domandatemi chi sono e non chiedetemi di restare lo stesso: è una morale da stato civile; regna sui nostri documenti. Ci lasci almeno liberi quando si tratta di scrivere […]

Bibliografia delle opere citate:

Roland Barthes, Il piacere del testo

Roland Barthes, La mort de l’auteur

Michel Foucault, Le parole e le cose

Michel Foucault, Nietzsche, Freud e Marx

Michel Foucault, Che cos’è un autore?

Michel Foucault, L’archeologia del sapere

Michel Foucault, L’ordine del discorso

John Searle, Atti linguistici





Laura Liberti

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