modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


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-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

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Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

domenica 4 luglio 2010

Tesina: L'ordine del discorso

MICHEL FOUCAULT “L’ORDINE DEL DISCORSO”
“L’ordre du discours” rappresenta un progetto teorico che viene messo in atto in vista della realizzazione di tre obiettivi: rimettere in questione la nostra volontà di verità, restituire al discorso il suo carattere di evento, togliere via la sovranità del significante. Ed è proprio su questo che procederò con la mia analisi.
Foucault spiega il proprio metodo, i progetti di lavoro, il proprio campo di indagine; soprattutto, esamina le procedure che controllano, selezionano, organizzano e distribuiscono la produzione del discorso.
“Ma che c’è dunque di tanto pericoloso nel fatto che la gente parla e che i suoi discorsi proliferano indefinitamente? Dov’è dunque il pericolo?”
La frase posta in premessa dall’autore segna il punto di inizio della ricerca che si sviluppa attraverso le pagine successive e che pone come obbiettivo quello di descrivere ciò che è l’ordine del parlare dell’epoca e quali devono essere invece i traguardi futuri.
Nel testo Foucault riconosce al discorso una sua realtà materiale considerandolo pervaso da poteri e pericoli che non si possono cogliere istintivamente. La sua tesi rende espliciti i meccanismi di controllo, selezione, organizzazione e distribuzione della produzione del discorso presenti in ogni società. Questo avviene tramite certe procedure che depotenziano la materialità del discorso e che riguardano il desiderio e il potere.
Foucault descrive innanzitutto le procedure di esclusione esterna del discorso evidenziando che nella società dell’epoca la produzione del discorso è, appunto, controllata, selezionata, organizzata e distribuita attraverso procedure destinate a scongiurarne i poteri ed i pericoli ed a ridurne l’alea. Partendo da un’analisi del discorso che è scrittura per una filosofia del soggetto fondatore, lettura per una filosofia dell’esperienza e scambio per una filosofia della mediazione, esso è un’insieme di eventi discorsivi e in quanto tale non è né sostanza né accidente, né qualità o processo, non è immateriale perché avviene nella materialità, “esso è ciò per cui e attraverso cui si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi".
Egli individua tre procedure di esclusione o controllo che colpiscono il discorso:

-INTERDETTO
-PARTIZIONE / ragione - follia
-VOLONTA’ DI VERITA’
In quanto Tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento, sono i tipi di interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perchè il discorso non è solo manifestazione (o negazione) di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere. Esso stesso è un potere.
Altra procedura di esclusione è la partizione o ragione-follia: l’opposizione tra ragione e follia, da cui nasce l’idea del Folle come colui i cui discorsi non circolerebbero come quelli degli altri. Dunque più che un principio di esclusione l’autore lo definisce una partizione (partage); la parola di alcuni viene considerata “nulla”, come se fosse inesistente, è la parola del folle, di nessun valore, perché egli è inesistente per il diritto (non può firmare un contratto), inesistente per la chiesa (nel rituale della messa non può ricevere la comunione). Il folle fa rumore, non parla.
“E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità” (pag. 11).
Infatti, per svariate epoche, il discorso del folle venne preso per verità di Dio, per semplice eresia o addirittura cadeva nel nulla, dimenticato nel momento esatto della sua enunciazione. In molti casi si attribuivano al folle strani poteri ad esempio quello di prevedere l’avvenire, la “follia” si riconosceva attraverso le sue parole che non erano ascoltate né accettate. Ma oggi tutto questo persiste? La parola del folle è dall’altra parte della separazione? Decisamente si. Afferma Foucault:
”basti pensare a tutta la rete di istituzioni che consente a qualcuno, medico o psicanalista, di ascoltare questa parola e che consente al paziente di venire a portare o a trattenere le sue povere parole”.
La separazione, dunque, anche se si dice cancellata, persiste e il medico ascolta sempre un discorso nel mantenimento di una cesura. La partizione al giorno d’oggi è ancora utilizzata, l’ascolto del discorso è carico di desiderio e potere. Poiché tutti i tipi di esclusione fanno parte di un sistema istituzionalmente costruito, si comprende che essi hanno ben salde origini nella storia e che nel corso delle epoche la struttura del sistema venne modificata più volte in concomitanza delle variazioni sociali.
Un terzo livello è quello del vero contro falso (volontà di verità). Vero e falso sono concetti contingenti alla storia, in continuo movimento, sorretti da istituzioni che usano anche la coercizione per imporre la “verità” accettabile. Non è nel livello della proposizione dove Foucault situa la partizione vero/falso, ma su una scala più ampia, quella che considera la volontà di verità degli uomini lungo il corso della storia. Storicamente, per esempio, Foucault cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso vero fosse quello pronunciato da chi di diritto e secondo il rituale richiesto(annunciava ciò che stava per accadere e pertanto contribuiva alla realizzazione dell’imminente evento). Un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità. Parlando della “nostra” società, Foucault dice:
“questa volontà di verità, come gli altri sistemi di esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri…”(pag. 15).
Ciò che conta, quindi, è come la società valorizza, distribuisce e attribuisce il sapere (e la verità). Il discorso della verità, la volontà di verità, istituzionalmente sanzionata, preme sugli altri discorsi, perché parola del potere.
Per comprendere la verità o la falsità di un discorso l’uomo ha bisogno di concentrarsi sul potere di costruire ambienti d’oggetti dai quali scopriremo poi enunciati veri o falsi. La volontà di verità è l’aspetto che più incuriosisce l’uomo poiché legato a doppio nodo con il desiderio di impadronirsi del discorso, con la possibilità di acquisire potere su di esso e con esso. Se è vero che il “discorso vero” è basato su fatti realmente riscontrabili, è anche vero che il discorso del folle può essere reale o vero nonostante le sue parole possano sembrarci falsità. E non è altrimenti vero che nei nostri discorsi appare spesso lo scherzo, che null’altro è se non il camuffamento di una verità? Allora come possiamo regolarci e capire cos’è che rende un discorso vero? L’analisi letterale, grammaticale di un discorso non può di certo aiutarci. Il pensiero del parlante forse? Ma come possiamo noi comprendere la verità insita nella parole di qualcuno?. Il discorso per quanto possa essere analizzato risulta realtà, non verità, poiché esso non riesce a donarci e farci comprendere appieno la sua entità. E’ realtà per il solo fatto che esso viene pronunciato, poiché viene enunciato da un parlante e udito, compreso, riconosciuto da un ricevente; è realtà perché occupa una posizione temporale e spaziale nel momento esatto della sua proliferazione; è realtà perché prima della sua enunciazione è realtà di verità, è pensiero in atto. La verità quindi non è riscontrabile nel suo senso stretto come ciò che è giusto e reale, ma come ciò che realmente può esser vero o falso.
Le procedure d’esclusione, dunque, concernano il desiderio e il potere. Oltre a queste, esistono altre procedure di controllo e delimitazione del discorso. Se le procedure d’esclusione sono procedure attuate dall’esterno, vi sono procedure interne al discorso, ovvero sono i discorsi stessi che tendono al controllo. Sono procedure che funzionano come principi di classificazione, di ordinamento e di distribuzione che vogliono padroneggiare una dimensione del discorso che Foucault chiama dell’evento (èvènement) e del caso.
Tra le procedure di controllo (o di limitazione) vi sono:
il commento, che limita il discorso, lo controlla, lo fossilizza. Per l’autore nelle società esiste un dislivello tra i discorsi: quelli che “si dicono” ma che non restano, passano nel momento in cui vengono enunciati; e quelli che restano, che originano nuovi atti, che vengono ritualmente trasmessi, che variano, che vengono ripresi o citati (esempi forniti per il nostro sistema culturale: testi religiosi e giuridici, letteratura, libri scientifici). Le categorie non sono immodificabili: quello che oggi si commenta domani sarà dimenticato. Ma la funzione resta, per Foucault. Dunque, tra i testi primitivi (primari) e quelli di commento vi è una relazione per cui i primi possono tornare, riattualizzarsi, moltiplicare il proprio senso. Si possono, allora, costruire nuovi discorsi. Il commento deve dire per la prima volta quel che era stato detto e che non era stato detto. Il commento è un discorso che non nasce dal caso, parte da un testo, dice cose anche diverse, ma ripropone il testo di partenza. Nel commento
‘..il nuovo non è in ciò che è detto, ma nell’evento del suo ritorno ’ (pag. 22).
L’ autore: Foucault non intende per autore chi scrive o recita un testo, ma la funzione dell’autore trascende la presenza e la materialità di chi realmente scrive un’opera; a seconda delle epoche, in Europa l’autore ha conferito status di verità alla propria opera solo in virtù della sua firma, oppure non si è preoccupato di rendere nota la sua identità, come per i testi del Medioevo. Nel medioevo la attribuzione ad un autore costituiva indice di verità. Si riteneva che quanto dicesse un autore autorevole detenesse automaticamente valore scientifico, e dal XVII secolo questa funzione non ha cessato di venir meno, in campo scientifico ed in campo letterario. Foucault afferma che sarebbe assurdo negare o elidere l’individuo che scrive un’opera o inventa un teorema scientifico, ma ciò non toglie che il discorso, o l’opera, o l’invenzione va analizzato anche per quello che è e non soltanto per chi lo ha scritto. Credo che la funzione dell’autore implichi la fase del commento, che ripete ciò che esiste in salsa nuova. Il principio dell’autore, invece, limita il discorso alla sua individualità, cerca di dare coerenza alle infinite possibilità del linguaggio.
La disciplina, o meglio l’organizzazione delle discipline, richiama principi diversi da quelli del commento e della funzione dell’autore. La disciplina è un insieme di metodi, un corpus di proposizioni considerate come vere. Essa non è ripetitiva, ma al contrario è propositiva, necessita di nuovi enunciati. Però non tutto quello che può esser detto di vero costituisce il patrimonio di una disciplina, perché in una disciplina convergono anche errori che poi avranno una funzione propositiva, e poi la verità, in una specifica disciplina, deve essere esposta secondo regole determinate con contenuti determinati (strumenti concettuali o tecnici, metafore accettabili). Per l’autore “la disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso” (pag. 29). Lo fa riattualizzando le regole per cui una proposizione può dirsi “nel vero”, appartenente a buon diritto ad una disciplina, se ne condivide i campi teorici. L’organizzazione della disciplina limita dall’interno il discorso.
Un terzo gruppo di procedure di controllo del discorso colpisce le condizioni di messa in opera dei discorsi, e quindi limitano (e selezionano) gli individui che vogliono tenerli (i soggetti parlanti). Non tutte le regioni del discorso sono alla portata di tutti, perché appesantite da sistemi di regole e condizioni per la loro attuazione. Foucault dice che lo scambio e la comunicazione sono “figure positive che operano all’interno di sistemi complessi di restrizione”, da cui non sono indipendenti.
Il rituale è un sistema di costrizione che implica comunicazione: il rituale definisce le qualità che deve avere l’officiante (che deve agire, muoversi e parlare secondo formule convenzionali, dunque restrittive); determina l’efficacia del discorso su coloro che ascoltano e impone dei limiti. Le proprietà del parlante determinano dunque chi può officiare un rito e chi no.
Altri esempi di limitazione del soggetto parlante:
-le società di discorso fanno circolare i discorsi in ambienti chiusi. Un tempo erano i rapsodi che, soli, possedevano la conoscenza dei poemi da recitare ed eventualmente da trasformare e tra parola ed ascolto i ruoli non erano mutabili. Oggi sono la “istituzionalizzazione del libro”, e cioè la differenza tra lo “scrittore” e qualsiasi altro essere scrivente o parlante, il segreto scientifico, l’appropriazione del discorso economico o politico, la dottrina che diffonde un unico insieme di discorsi.
- le dottrine assoggettano bidirezionalmente soggetti parlanti e discorsi;
- l’appropriazione sociale dei discorsi: l’educazione consente a qualsiasi individuo di accedere a qualsiasi tipo di discorso, ma è anche vero che distribuisce e vieta permessi segnati dalla distanza tra le classi sociali. Per Foucault “ogni sistema di educazione è un modo politico di mantenere o di modificare l’appropriazione dei discorsi, con i saperi ed i poteri che essi comportano” (pag. 35).
In conclusione, i soggetti parlanti non possono accedere a tutti i tipi di discorso, e non tutti i tipi di discorso sono fatti propri dai gruppi sociali. Questi sono i sistemi di assoggettamento del discorso.
L’autore poi parla di elisione della realtà del discorso nel pensiero filosofico attraverso alcuni temi, quali:
-il soggetto fondatore, incaricato di animare le forme vuote della lingua;
-esperienza originaria: il discorso esiste già nelle cose ed esprime il suo senso, quindi è il linguaggio che deve parlare di qualcosa che già esiste;
-la mediazione universale: lo scambio continuo dei discorsi non è che un gioco che alla fine, finisce con l’annullare il discorso stesso. Sembrerebbe che in tutto questo lavoro si mettesse al centro dell’attenzione il discorso stesso, invece si finisce con il valorizzare il discorso già tenuto che è diventato “evento”. L’autore propone quindi di smuovere le acque e di indurre il pensiero resistente a:
- rimettere in questione la volontà di verità.
- restituire al discorso il carattere di evento.
- eliminare l sovranità del significante.
Dunque propone di applicare alcuni principi guida:
-principio di rovesciamento: l’autore, la disciplina, la volontà di verità che secondo la tradizione, sono la scaturigine del discorso, producono invece la rarefazione del discorso.
-principio di discontinuità: il fatto che ci siano sistemi di rarefazione non significa che vi è un discorso sotterraneo che non è venuto alla luce. I discorsi sono pratiche “discontinue”: si incrociano, si affiancano ma anche si ignorano e si escludono.
-principio di specificità: il discorso non è un gioco di significati precostituiti ma è una pratica che imponiamo alle cose.
-principio dell’esteriorità: dal discorso bisogna partire non per andare verso il suo nucleo interno ma verso le sue condizioni esterne di possibilità.
A questo punto quattro nozioni governano l’analisi:
evento – serie – regolarità – condizione di possibilità. Esse si contrappongono alle nozioni che hanno dominato la storia tradizionale delle idee:
evento > creazione
serie > unità
regolarità > originalità
condizione di possibilità > significato
I discorsi, allora, devono essere considerati, non solo, come si è fatto fin’ora, per far apparire strutture di lunga durata ma devono essere trattati come “insieme di eventi discorsivi” accettando di introdurre l’alea come categoria nella produzione degli eventi. Occorre tener conto che nel discorso incide il caso, il discontinuo, la materialità.
La ricerca ispirata a questi quattro principi opera secondo due prospettive diverse ma articolate fra loro: la critica e la genealogia. Dunque “da una parte l’insieme critico”: mettere in atto il principio del rovesciamento ed individuare le forme di esclusione, della limitazione e della appropriazione ed indagare sul perché sono sorte e si sono elaborate; dall’altra “l’insieme genealogico”: come si sono formati i discorsi attraverso a dispetto o con l’appoggio dei sistemi di costrizione.
E traccia i percorsi di tale analisi: la partizione tra follia e ragione nell’epoca classica, il linguaggio della sessualità dal XVI al XIX secolo, ma soprattutto il discorso vero e il discorso falso, il rituale e l’irrituale partendo dalla sofistica, passando dall’Inghilterra del XVII secolo che vede nascere nuove strutture politiche e finendo alla società industriale ed alla sua ideologica positivistica.
L’analisi del discorso sembra offrire strumenti più raffinati per interpretare i fenomeni culturali legati alla contemporaneità: la specializzazione accademica con i suoi effetti di frammentazione e distorsione della diffusione culturale; la televisione quale forma di produzione e istanza di controllo della cultura popolare e delle identità culturali all’epoca della globalizzazione; le relazioni di potere che presiedono al discorso scientifico, con particolare attenzione all’affermarsi delle nuove tecnologie; il rinnovarsi delle forme di potere per il controllo dei nuovi media come internet. Non è possibile chiudere la lista degli studi culturali ispirati a Foucault ed all’analisi del discorso. Bisogna però rilevarne l’uso anche in una prospettiva che potremo definire metodologica, o riflessiva, definita Critical Discourse Analysis.

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