modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

lunedì 5 luglio 2010

“Il testo è un feticcio che mi desidera”

Riflessioni su Il piacere del testo di Roland Barthes

di Miriam Lupia

Prima di addentrarci nella nostra analisi è preventivamente utile, probabilmente, cercare di capire in linee generali, di chi stiamo parlando e in quale atmosfera culturale possiamo collocare il suo pensiero. R. Barthes è nato nel 1916 in Normandia ed è morto a causa di un incidente a Parigi il 26 marzo del 1980. Laureato in letteratura classica (1939) e in seguito in grammatica e filologia (1943), ha insegnato in molti istituti e ha pubblicato, a partire dagli anni ’40 -’50, importanti opere critiche quali Il grado zero della scrittura, Mitologie. Dagli anni ’60 incomincia a pubblicare lavori nell’ambito dello Strutturalismo e della Semiologia: pubblica Elementi di semiologia (1966). Dopo questo fiorente periodo la carriera di Barthes, però, sembra cambiare rotta verso una posizione chiamata Post- strutturalista. La fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 sono caratterizzati da una produzione molto fortunata di articoli, libri e saggi, che ancora oggi occupano un posto di rilievo; tra questi spiccano La morte dell’autore (1968) e Il piacere del testo (1973), confermando Barthes come lo scrittore più influente di un periodo che era considerato culmine e della teoria e della critica letteraria. Entrando nello specifico della nostra analisi, ne Il piacere del testo (Plaisir du texte in lingua originale), R. Barthes ha tentato di trovare e affrontare le ragioni dei piaceri che il testo riserva alla lettura e, distinguendo il piacere (plaisir) dal godimento (jouissance), ci pone in una condizione di lettura ritmata e scandita dalla riflessione sui due poli opposti dovuta all’impossibilità di rintracciare un termine che li racchiuda entrambi. Questo porta ad un’ambiguità, in quanto il plasir si trova spesso a sfilare la sedia alla jouissance - come si può notare anche dallo stesso titolo – che, a ben vedere, per l’autore è significanza e non significato.

Ma partiamo per gradi. Innanzitutto bisogna spiegare cosa si intenda per testo. Il testo è un tessuto e come tale si fa, è un prodotto artigianale, si lavora in un intreccio perpetuo come la tela di un laborioso e paziente ragno, tanto che potremmo definire la teoria del testo con un neologismo: ifologia[1] . Il testo è un intertesto caratterizzato dall’impossibilità di avere vita propria senza collocarsi nel testo infinito. Capita spesso, infatti, di ritrovare altri autori in molti testi letterari, come se ogni realizzazione accompagnasse alla creatività la ripetizione di un precedente, un refrain. Quando parliamo di testo infinito pensiamo alla Biblioteca de Babel di J. L. Borges, quella a cui U. Eco ha attinto per Il nome della rosa, una biblioteca che esiste ab aeterno perché in ciascun libro può trovarsi qualsiasi cosa detta in altri, poiché il testo è inteso come una combinazione infinita di selezioni possibili. “Il testo di piacere è la Babele felice” affermava Barthes, il mito biblico della confusione delle lingue degli uomini non è più vissuto come una punizione.

Gli eruditi arabi associavano al testo la definizione di corpo certo[2] in quanto sembra che abbia le fattezze di una figura umana: ha una testa, un corpo centrale, una fine. Tale metafora organica è rintracciabile anche in Barthes che preferisce sostituire il termine corpo certo con corpo erotico - il testo è un feticcio che mi desidera – perché è il testo che mi sceglie attraverso una serie di invisibili alchimie: il vocabolario, i riferimenti, la leggibilità, ecc[3]. Il testo scritto però deve dare la prova di desiderarmi e può farlo solo attraverso la scrittura. Lo scrittore pertanto deve utilizzare il linguaggio, non in modo meccanico, senza affetto, ma deve civettare con lui.

Barthes scrive: “Ciò che interessa e impressiona il piacere è la faglia, la frattura, gli interstizi. [...] Né la cultura né la sua distruzione sono erotici, è la crepa fra l’una e l’altra che lo diventa.” Anche Sade ha parlato di un piacere della lettura che evidentemente deriva da certe rotture. Ecco dunque profilarsi un primo elemento fondamentale che è per l’appunto l’interstizio del godimento che si produce nell’enunciazione piuttosto che nella successione degli enunciati. Tale metafora viene utilizzata più volte nella tradizione: la ritroviamo ad esempio in un racconto taoista di Zhuang-zu del 500-600 a.C., in cui si parla di un sovrano che decide di osservare la tecnica di affettazione della carne di un macellaio di corte, il quale, proprio per non rovinarla, punta agli interstizi, ai vuoti, poiché nulla è continuo, facendo di questo sapere un modo per governare la propria vita e quella del regno; la ritroviamo nel Fedro di Platone – ridurre ad un’unica forma ciò che è molteplice - a proposito della semiotica del testo.

La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si socchiude? Nella perversione (che è il regime del piacere testuale) non ci sono zone «erogene» (espressione del testo abbastanza fastidiosa); è l’intermittenza, come ha ben detto la psicoanalisi, che è erotica: quella della pelle che luccica fra due capi (la maglia e i pantaloni, fra due bordi (la camicia semiaperta, il guanto e la manica); è proprio questo scintillio a sedurre, o anche: la messa in scena di un’apparizione-sparizione[4]

Entrando nello specifico della distinzione tra testo di piacere e testo di godimento osserviamo che: il primo è quello che soddisfa, che appaga, che esalta, che proviene dalla cultura ed è legato alla pratica confortevole della lettura[5]; il secondo è quello che mette in una condizione di perdita, di una mancanza, quello che sconforta il lettore mettendo in crisi il suo io nonché il suo rapporto con il linguaggio. Il piacere in più è dicibile. Lo scrittore di piacere accetta la lettera, ne è ossessionato. Il godimento invece è in-dicibile, è interdetto, è atopos (non-luogo). Questo non-luogo del godimento, tuttavia, non si oppone dialetticamente al luogo, ma piuttosto lo attraversa e lo sovverte. Quando vi è critica essa verte esclusivamente sui testi di piacere, non può esservi su quelli di godimento. “Nessuna significanza (nessun godimento) si può produrre, ne sono convinto, in una cultura di massa” affermava l’autore francese auspicando alla necessità di poter scrivere “la triste, stupida, tragica storia di tutti i piaceri a cui le società obiettano o rinunciano”. A tal proposito potremmo affiancare a queste affermazioni quelle di M. Foucault, il quale in L’ordine del discorso, testo della lezione inaugurale al Collège de France negli anni ’70 del secolo scorso, ha analizzato le varie forme in cui la produzione del discorso è al contempo selezionata e controllata affinché se ne possano denigrare tanto i poteri quanto i pericoli all’interno della società.

[...] C'è sicuramente nella nostra società [...] una profonda logofobia, una sorta di sordo rancore contro questi eventi, contro questa massa di cose dette, contro il sorgere di tutti questi enunciati, contro tutto ciò che ci può essere, in questo, di violento, di discontinuo, di battagliero, di disordinato e di periglioso.

Ma facciamo un passo in dietro. Tornado al godimento possiamo aggiungere che esso sta in agguato e compare solo nel momento in cui si apre uno spazio di godimento[6], quando si apre cioè la possibilità che vi sia l’imprevedibile, il nuovo assoluto, perché solo il nuovo percuote la conoscenza[7]. Eppure si potrebbe dire anche il contrario, ovvero, che in egual misura la ripetizione possa generare godimento, ne sono un esempio le musiche incantatorie, i riti, ecc. Tuttavia, secondo Barthes, affinché sia erotica la ripetizione è necessario che sia letterale, formale. Si profilano così due opposte condizioni affinché la parola si rivesta di una patina erotica: sia se ripetuta ad oltranza, sia se inaspettatamente nuova.

Un’altra distinzione tra i due tipi di testo è che il testo di piacere non è quello che ci riconsegna esclusivamente o necessariamente dei piaceri. Il piacere viene continuamente deluso, svilito a tutto vantaggio di valori ritenuti più alti e pregevoli quali la verità, il progresso, la gioia, e così via. Il suo rivale è certamente il desiderio. Il testo di godimento invece non è mai quello che ci racconta un godimento.

Volendo pensare ad una tipologia di lettore, Barthes ritiene necessario attingere alla psicoanalisi – coinvolgendo il rapporto della nevrosi lettrice con la forma allucinata del testo - identificandone diversi tipi “clinici”: il feticista, l’ossessivo, il paranoico, l’isterico. Il primo si confà ad un tipo di testo spezzettato che ritaglia le citazioni e si nutre del piacere della parola; il secondo è amante dei metalinguaggi, della voluttà della lettera; il terzo, invece, predilige testi tortuosi, complicati, sviluppati come ragionamenti; infine l’isterico percorre il testo ingenuamente, privo di uno sguardo critico. Inoltre si rivela interessante osservare come l’autore, riflettendo sui regimi di lettura, metta in evidenza il fatto che sia pratica comune leggere con diversi ritmi di intensità.

Eppure il racconto più classico (un romanzo di Zola, di Dickens, di Tolstoj) porta con sé una sorta di tmesi indebolita: non leggiamo tutto con la stessa intensità di lettura; si stabilisce un ritmo, disinvolto, poco rispettoso verso l’integrità del testo; l’avidità della conoscenza ci induce a sorvolare o scavalcare certi passi (presentiti «noiosi») per ritrovare al più presto i luoghi scottanti dell’aneddoto [...]. Saltiamo impunemente le descrizioni, le spiegazioni, le considerazioni, le conversazioni[8].

I regimi di lettura individuati sono due: l’uno, ignorando i giochi della lingua, si sofferma sulle articolazioni del testo; l’altro è minuziosamente attento a ogni elemento del testo, meticolosamente aderisce al testo. Ma in tutto ciò, che ruolo riveste l’autore? Se in Barthes l’autore come istituzione è morto, eclissato in quanto persona, dall’altro canto è anche vero che, in un certo qual modo, nel testo si sente il bisogno della sua figura come lo stesso autore sente il bisogno della nostra presenza. Proust, in un breve scritto comparso per la prima volta su La Rinaissance Latine nel 1905, a proposito dell’autore e in particolare di Gautier afferma che:

[...] le sue frasi ne disegnano la fisionomia senza che egli se ne accorga;se infatti si scelgono le parole non sulla base dell’affinità con l’essenza stessa del proprio pensiero, ma per il desiderio di descriversi, si rappresenta quel desiderio ma non se stessi. [...] Quando un libro non è specchio di una forte personalità, riflette pur sempre singolare difetti dello spirito[9].

Come affermava Julia Kristeva ogni enunciato compiuto corre il rischio di essere ideologico, l’autore non può fare a meno di mettere un po’ di sé in quello che scrive perché viene concepito e partorito da lui. Oppure possiamo ricorrere nuovamente a Michel Foucault, per il quale l’autore è principio di raggruppamento dei discorsi, unità di origine dei loro significati. Scrive Barthes: “Nessun oggetto sta in rapporto costante col piacere. Pure, per lo scrittore, questo oggetto esiste; non è il linguaggio, è la lingua, la lingua materna.” Lo scrittore è costantemente coinvolto nella guerra della finzione e, attraverso il linguaggio (e quindi la scrittura), risulta sempre fuori-luogo, atopico come preferisce descriverlo Barthes. Lo scrittore è sempre alla deriva però al contempo la nega, rimuove il godimento. Vi è deriva ogni volta che il linguaggio sociale viene meno; questa deriva può anche essere chiamata intrattabile o idiozia. Alla domanda: “Come può un testo, che è linguaggio, essere fuori dai linguaggi” Barthes risponde che:

[...] In primo luogo il testo liquida ogni metalinguaggio, ed è in questo che è testo: nessuna voce (Scienza, Causa, Istituzione) sta dietro a quello che si dice. Secondariamente, il testo distrugge fino in fondo, fino alla contraddizione, la propria categoria discorsiva, il riferimento sociolinguistico (il suo «genere»). [...] Infine il testo può, se ne ha voglia, aggredire le strutture canoniche della stessa lingua (Sellers): il lessico (neologismi esuberanti, parole allungabili, translitterazioni), la sintassi (non più cellula logica, non più frase)[10] .

Quella che definisce " La scienza dei godimenti del linguaggio " ha quale ruolo fondamentale la pratica in quanto generatrice di testi, ritenuti esempi di ars erotica piuttosto che puro e semplice metalinguaggio. In conclusione alla sua opera l’autore cerca di immaginare un’ipotetica estetica del piacere testuale suggerendo la pratica, per altro molto poco o mai usata, della scrittura ad alta voce.

Nell’antichità, la retorica comprendeva una parte dimenticata, censurata dai commentatori classici: l’actio, insieme di ricette atte a permettere l’esternamento corporeo del discorso: si tratta di un teatro dell’espressione, l’oratore-attore «esprimendo» la sua indignazione, la sua compassione, ecc. La scrittura ad alta voce, invece, non è espressiva; lascia l’espressione al feno-testo, al codice regolare della comunicazione; è portata [...] dalla grana della voce, che è un misto erotico di timbro e di linguaggio, e può quindi essere anch’essa, al pari della dizione, la materia di un’arte: l’arte di condurre il proprio corpo [...] [11].

C’è sempre qualcosa di molto sensuale in tutto ciò che ha a che fare con la pratica della scrittura in Barthes, nel modo in cui la descrive e ne fa un’arte, oserei dire quasi una ars amatoria. Forse è proprio grazie a questa passione pulsionale verso la parola, a quel suo modo di prendersene cura, che l’autore è riuscito, e ancora oggi riesce, a suggestionare il mondo letterario ed a occuparvi un posto di rilievo.

Bibliografia

Barthes, R.
1973 Le plaisir du texte , Ed. du Seuil, Paris ( 1999 trad. it.
Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, Biblioteca Einaudi, Torino)
Foucault, M. 1971, L’ordre du discours, Ed. Gallimard, Paris (2004 trad. it. L’ordine del discorso, Einaudi, Torino)

Proust, M. 2007 Del piacere di leggere, Passigli Editori, Firenze (titolo orig. Sur la lecture)


[1] R. Barthes, Il piacere del testo. Milano 1999, Einaudi, pp. 124

[2] Ivi pp. 86

[3] Ivi pp. 94

[4] Ivi pp. 80

[5] Ivi pp. 83

[6] Ivi pp. 76

[7] Ivi pp. 105

[8] Ivi pp. 81

[9] M. Proust, Del piacere di leggere, 1905

[10] R. Barthes, Il piacere del testo, Milano 1999, Einaudi, pp. 97

[11] Ivi pp. 126

Nessun commento:

Posta un commento