“L’ordine del discorso” di Michael Foucault esordisce con l’accostamento di due fondamentali argomenti: il problema dell’incipit in un qualsiasi discorso testuale e il controllo, da parte delle istituzioni, di ogni produzione testuale.
Uno degli elementi più accattivanti delle produzioni testuali è proprio l’incipit che l’autore sceglierà di donare al proprio lavoro. Ogni discorso, per venire alla luce, ha bisogno della volontà di un autore, che sceglierà un inizio per il proprio lavoro e darà a quest’ultimo il marchio dell’unicità.
Ogni testo si differenzia dagli altri suoi “simili” innanzitutto per il particolare inizio scelto e testimonia l’avvento di una produzione originale e differenziata, in mezzo a mille altre possibilità di scelta. Molto spesso è proprio la scelta del punto dal quale iniziare un testo a terrorizzare gli autori. Per l’autore si tratta di un vero e proprio “problema dell’inizio”. Quella di iniziare un testo sembrerebbe essere una scelta di una solennità ed importanza tale che non si possa affrontare nell’immediatezza e senza affrontare doverosi sensi di colpa autorali. Sembra legittimo poter dare vita ad un nuovo discorso solo dopo argute riflessioni e svariati tentativi di approccio al testo.
A proposito della paura dello scrittore, dinanzi ad un nuovo inizio, Foucault argomenta: “C’è in molti, penso, un simile desiderio di ritrovarsi dall’altra parte del discorso, senza aver dovuto considerare dall’esterno ciò che esso poteva avere di singolare, di terribile, di malefico, forse”(M.Foucault, L’ordine del discorso).
Il passo si riferisce, molto ironicamente, alla questione inerente al controllo esercitato sui testi da parte delle istituzioni. Questo controllo sembra giustificare un certo stato di timore nei confronti dell’essere multiforme e imprevedibile della materia testuale. È attribuito al discorso ed al suo “eterno divenire” un potere tale da poter stravolgere il normale corso delle cose, soprattutto in una società nella quale l’occhio delle autorità è sempre puntato al controllo delle masse e delle idee che proliferano tra di loro.
Foucault analizza le diverse forme in cui la produzione testuale viene controllata da parte dell’autorità e distinguerà queste in tre differenti categorie: le procedure d’esclusione, le procedure d’ordinamento-limitazione e le procedure che determinano regole d’accesso al discorso. In ciascuna delle seguenti partizioni, si ritrova la volontà di controllare e limitare gli effetti dirompenti e potenzialmente pericolosi ( soprattutto per i detentori del potere in ciascuno stato) della libera produzione testuale.
Nella discussione messa in atto dall’autore, è fondamentale prestare attenzione ad alcuni aspetti evidenziati a proposito della coppia discorso-potere. Il ruolo dell’educazione rientra tra le categorie sulle quali esercitare maggiore pressione e controllo.
“L’educazione ha un bell’essere, di diritto, lo strumento grazie al quale ogni individuo, in una società come la nostra, può accedere a qualsiasi tipo di discorso….Ogni sistema d’educazione è un modo politico di mantenere o di modificare l’appropriazione dei discorsi, con i saperi e i poteri che essi comportano”(Foucault, L’ordine del discorso).
È importante riflettere su questo breve passo per comprendere quanto l’educazione sia, la maggior parte delle volte, assoggettata a logiche di potere fittissime. È attraverso determinati tipi d’insegnamento che si formano i cittadini di ogni futura società, con i conseguenti diritti che essi dovranno rivendicare. Un’educazione troppo incentrata sul mantenimento dello status regolare del potere politico in una società, non potrà far altro che formare una classe politica e sociale inconsapevole delle altre e differenti possibilità di scelta. Così si viene a limitare il pluralismo, non solo intellettuale, ma anche testuale e discorsivo. Una società assoggettata a logiche di potere troppo fitte, limiterà la libera circolazione di idee e formerà cittadini poco liberi.
E’ forse il caso di ripensare, alla luce delle possibili conseguenze derivanti da un controllo politico troppo pressante, ad una società in grado di assoggettarsi a forme di governo totalitario come quello descritto in “1984” di G.Orwell. E’ proprio in quest’opera che è possibile rintracciare estreme, tuttavia possibili, conseguenze di un’azione politica mirata a controllare i discorsi in ogni momento della loro produzione. Nel testo orwelliano si parla di una lingua che sta per diventare una “Neolingua”, ossia una lingua in cui, a causa della limitatezza e semplicità dei significati veicolati dalle parole, è impossibile concepire un pensiero critico e autonomo. Quella del “big brother” è una società in cui tutto è sistematicamente controllato e organizzato secondo le esigenze del partito dominante. A tal proposito,risultano emblematici gli slogan del partito, ad esempio: "L'ignoranza è forza".
“E’ come se degli interdetti, degli sbarramenti, delle soglie, dei limiti, fossero stati disposti in modo da padroneggiare, almeno in parte, la grande proliferazione del discorso, in modo da alleggerire la sua ricchezza della parte più dannosa e da organizzare il suo disordine secondo figure che evitano quel che vi è di più incontrollabile” (Foucault, L’ordine del discorso).
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